Licenziamento nullo perché intimato in gravidanza: dovute le retribuzioni fino al verificarsi di una causa di risoluzione del rapporto

In tema di contratto di apprendistato, regolato dalla l. n. 25/1955, la lavoratrice, il cui licenziamento sia stato dichiarato nullo per violazione dell’art. 54 del d. lgs. 26 marzo 2001 n. 151, ha diritto in caso di mancato esercizio del diritto di recesso da parte del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 19 di detta legge, alle retribuzioni alla stessa spettanti fino al verificarsi di una legittima causa di risoluzione del rapporto e non fino alla scadenza del periodo di apprendistato.

Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 5051/2016, pubblicata il 15 marzo. La vicenda impugnazione di licenziamento intimato a lavoratore nel corso del rapporto di apprendistato, per violazione delle norme a tutela della maternità. Una lavoratrice veniva licenziata nel corso del periodo di apprendistato, per motivi disciplinari. Il Tribunale adito dichiarava nullo il licenziamento per violazione del divieto di cui all’art. 54 d. lgs. n. 151 del 2001 e condannava il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice e risarcire il danno nella misura pari alle mensilità maturate tra licenziamento e riammissione in servizio. Proposto gravame dall’azienda, la Corte d’Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, condannando l’azienda al risarcimento nella minor misura della retribuzioni dalla data del licenziamento alla scadenza del contratto di apprendistato. Ricorreva così in Cassazione la lavoratrice. Il regime del rapporto di apprendistato. La lavoratrice ricorrente censura la decisione della Corte territoriale in quanto alla fattispecie è stata erroneamente applicata per analogia la disciplina del contratto di formazione e lavoro. Questa tipologia di rapporto è da intendersi quale contratto a termine viceversa nel rapporto di apprendistato, a termine è soltanto l’inquadramento del lavoratore, mentre il rapporto di lavoro nel suo complesso deve essere considerato a tempo indeterminato, costituendo il periodo di apprendistato unicamente una fase preliminare all’instaurazione di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Per la cessazione del rapporto necessario un espresso atto di disdetta. Il motivo di censura proposto è ritenuto fondato dal Supremo Collegio. Il contratto di apprendistato, come disciplinato dalla l. 19 gennaio 1955 n. 25, applicabile ratione temporis al caso in decisione, fa sorgere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, contraddistinto da due fasi distinte la prima, preliminare, caratterizzata da causa mista di prestazione di lavoro e scambio di nozioni formative atte ad istruire il lavoratore apprendista la seconda di vero e proprio rapporto di lavoro a tempo indeterminato, purché non venga esercitata la facoltà di recesso da parte del datore di lavoro al termine del periodo di apprendistato. Mantenuto in essere il rapporto a seguito dell’annullamento del licenziamento. Nel caso in esame il datore di lavoro aveva intimato il licenziamento, successivamente annullato in sede giudiziaria. Ciò ha comportato che il rapporto di lavoro proseguisse alle medesime condizioni in essere prima del licenziamento annullato. Consegue che, non avendo il datore di lavoro esercitato il diritto di recesso previsto dall’art. 19 della l. n. 25/1955, il rapporto è proseguito fino a che non sia intervenuto una valida causa di risoluzione del rapporto. Nello specifico fino a che la lavoratrice non abbia dichiarato di volersi avvalere dell’indennità sostitutiva alla reintegrazione, rifiutando l’offerta di ripresa in servizio adottata dall’azienda a seguito della sentenza di primo grado. E, dunque, la Corte d’Appello ha errato nel dichiarare dovute le retribuzioni unicamente fino alla fine del periodo di apprendistato anziché fino al successivo termine di cessazione del rapporto di lavoro. Per tali motivi la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, accogliendo il motivo proposto e rinviando ad altra corte di merito per la decisione in conformità al principio di diritto affermato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 dicembre 2015 – 15 marzo 2016, n. 5051 Presidente Roselli – Relatore Negri Della Torre Svolgimento del processo Con sentenza del 28 ottobre 2008 il Tribunale di Treviso dichiarava nullo il licenziamento irrogato a L.M. nel corso del rapporto di apprendistato tra la stessa e Billa A.G., in quanto intimato in violazione del divieto di cui all’art. 54 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità e condannava la datrice di lavoro a riammettere in servizio la lavoratrice e al risarcimento del danno dalla stessa subito, in misura pari all’ammontare delle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella dell’effettivo ripristino del rapporto. In parziale riforma di detta sentenza la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 552/2009 depositata il 6 agosto 2010, condannava Billa A.G. al risarcimento dei danni nella ridotta misura pari all’ammontare delle retribuzioni spettanti alla L. dalla data del licenziamento sino al 28/2/2005, data di scadenza del contratto di apprendistato. A sostegno della propria decisione la Corte distrettuale richiamava il contratto di formazione e lavoro e l’orientamento di legittimità, secondo il quale a tale tipologia di contratto, in quanto species del genus contratto di lavoro a tempo determinato, non sono applicabili, in caso di disdetta da parte del datore di lavoro alla prevista scadenza, né la norma di cui all’art. 6 l. n. 604 del 1966, né quella di cui all’art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300 in ragione di ciò riteneva assorbito l’appello incidentale della lavoratrice, volto ad ottenere la speciale tutela di cui all’art. 18. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la L. , affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria Billa A.G. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 437 c.p.comma per avere la Corte distrettuale pronunciato sull’eccezione, proposta per la prima volta in grado di appello, per la quale il diritto al risarcimento della lavoratrice doveva essere limitato ai soli danni maturati sino alla cessazione dell’apprendistato ovvero, in subordine, sino alla data dell’avvenuto superamento del periodo annuale di tutela della maternità . Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 19 l. 19 gennaio 1955, n. 25 nonché della l. n. 604/1966 e dell’art. 18 l. n. 300/1970, avendo la Corte erroneamente richiamato la disciplina del contratto di formazione e lavoro, che è contratto a termine, mentre nell’apprendistato a termine è soltanto l’inquadramento del lavoratore. L’apprendistato rappresenta, infatti, una fase preliminare all’instaurazione di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e per la sua cessazione è richiesto un espresso atto di disdetta, in mancanza del quale il lavoratore è mantenuto In servizio con la qualifica conseguita. Era, pertanto, da ritenere che, non essendosi il rapporto interrotto in virtù del licenziamento, dichiarato nullo, né essendo stato disdettato ex art. 2118 c.comma alla scadenza del 28/2/2005, esso si fosse convertito automaticamente in rapporto di lavoro ordinario a tempo indeterminato e tale rapporto era successivamente cessato solo quando la lavoratrice, Con raccomma 27/11/2008, aveva rifiutato la ripresa del servizio che Billa le offriva in ottemperanza alla sentenza di primo grado, chiedendo l’indennità sostitutiva della reintegrazione. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio deduce che il licenziamento era stato qualificato dalla datrice di lavoro come disciplinare, peraltro in violazione del principio di immediatezza della contestazione e in mancanza di un comportamento così grave da giustificare il recesso, e comunque era da considerarsi discriminatorio, in quanto determinato da ragioni di sesso, sicché dovevano trovare applicazione le norme generali a tutela dei licenziamenti e conseguentemente le sanzioni di cui all’art. 18 l. n. 300/70. Il primo motivo di ricorso non può essere accolto. Al riguardo si osserva che nel rito del lavoro la preclusione in appello di un’eccezione nuova, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., sussiste nel solo caso in cui la stessa, essendo fondata su elementi e circostanze non prospettati nel giudizio di primo grado, abbia introdotto nel secondo grado di giudizio un nuovo tema di indagine, così alterando i termini sostanziali della controversia e determinando la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione. Nella specie, non vi è stato, invece, alcun ampliamento dei temi di indagine, posto che l’esistenza di un contratto di apprendistato, già desumibile con piana evidenza dalla lettera di assunzione, costituiva fatto pacifico tra le parti, secondo quanto risulta dall’esame congiunto del ricorso introduttivo e della memoria di costituzione in primo grado della società, e l’eccezione, di cui ora si discute, era volta al mero contenimento degli effetti patrimoniali della decisione dichiarazione di nullità del recesso , dolendosi la datrice di lavoro di essere stata condannata al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella dell’effettivo ripristino del rapporto, anziché alla più ridotta misura di risarcimento costituita dalle retribuzioni maturate dal recesso fino alla scadenza del periodo di apprendistato, la cui durata 24 mesi del pari costituiva fatto processualmente incontroverso fra le parti. Ne consegue che gli elementi essenziali alla base della questione posta all’attenzione della Corte territoriale, e cioè la natura del contratto e la durata di esso, come l’entità degli effetti risarcitori da collegarsi ad un’invalida interruzione del rapporto, erano già tutti presenti nel materiale conoscitivo e dl discussione oggetto del giudizio di primo grado, così da non determinare alcun pregiudizio difensivo. Si deve, quindi, concludere che, nel caso di specie, si è in presenza di un’eccezione in senso lato, sottratta alla preclusione di cui all’art. 437 c.p.comma e proponibile validamente in grado di appello. È invece fondato e deve essere accolto il secondo motivo di ricorso. Il contratto di apprendistato, quale disciplinato dalla l. 19 gennaio 1955, n. 25 in vigore fino al 24 ottobre 2011 e, quindi, applicabile ratione temporis al rapporto dedotto in giudizio , dà, infatti, origine ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, costituito dalla sequenza di due fasi distinte, di cui la prima è contraddistinta da causa mista, posto che al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge, con funzione specializzante, lo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale, a cui sono connesse l’obbligazione del datore di lavoro di impartire idoneo insegnamento e dell’apprendista di fornire la cooperazione necessaria alla sua più utile attuazione e la seconda - configurata come eventuale, dipendendo dal mancato esercizio, da parte del datore di lavoro, del diritto di recesso legalmente attribuitogli dall’art. 19 l. cit. Qualora al termine del periodo di apprendistato non sia data disdetta a norma dell’art. 2118 del Codice civile l’apprendista è mantenuto in servizio con la qualifica conseguita mediante le prove di Idoneità ed il periodo di apprendistato è considerato utile ai fini dell’anzianità di servizio del lavoratore - assimilabile in ogni aspetto ad un ordinario rapporto di lavoro subordinato. In tal senso è la previsione normativa della disdetta ai sensi dell’art. 2118 c.c., e cioè con periodo di preavviso, istituto corrispondente all’esigenza, propria di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di evitare che la parte, che subisce il recesso, si trovi di fronte improvvisamente alla rottura del contratto, ma abbia, in caso di licenziamento, la possibilità di procurarsi un’altra occupazione e di ricercare, nel caso di dimissioni, un idoneo sostituto nel mercato del lavoro. In tal senso converge altresì e univocamente la seconda parte della disposizione, là dove è stabilito, nel caso di mancato esercizio del diritto potestativo, che l’apprendista è mantenuto in servizio con la qualifica conseguita mediante le prove di idoneità ed il periodo di apprendistato è considerato utile ai fini dell’anzianità di servizio del lavoratore tali previsioni, infatti, dimostrano come il termine finale della formazione professionale non identifichi un termine di scadenza del contratto, che, pertanto, non può ritenersi a tempo determinato, e come, in assenza di disdetta, vi sia continuazione di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sia pure spogliato della complessità iniziale e ricondotto alla causa tipicamente afferente alla sua forma ordinaria. Ne consegue che il rapporto di lavoro, una volta proseguito a seguito del mancato esercizio del diritto di recesso, resta assoggettato alle ordinarie cause di risoluzione nella specie, esso non si è interrotto in virtù del licenziamento, dichiarato nullo perché intimato in stato di gravidanza e, pertanto, rimasto privo di effetti solutori e deve ritenersi continuato, non essendovi stata disdetta ai sensi dell’art. 19 l. n. 25/1955 da parte del datore di lavoro, anche oltre la data 28 febbraio 2005 di scadenza del periodo di apprendistato e fino al 27/11/2008, allorquando la ricorrente ebbe a comunicare, così determinandone la cessazione cfr. ricorso, pag. 12 , di non voler più riprendere servizio, nonostante l’invito in tal senso di Billa A.G Il terzo motivo di ricorso deve essere respinto. È, infatti, consolidato l’orientamento di questa Corte di legittimità, secondo il quale il divieto di licenziamento di cui all’art. 2 della legge n. 1204 del 1971 opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio e, pertanto, comporta, ai sensi del comma 5 dell’art. 54 del d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151, la nullità del licenziamento intimato nonostante il divieto anche in caso di violazione delle disposizioni procedurali di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, con la conseguente prosecuzione del rapporto e configurabilità del diritto della lavoratrice al pagamento delle retribuzioni Cass. 1 dicembre 2010, n. 24349 . D’altra parte, la ricorrente, pur avendo richiesto al giudice di appello di applicare la disciplina di cui all’art. 18, non ha Impugnato il capo della sentenza di primo grado, in cui è stata statuita la nullità del licenziamento 28 febbraio 2004 per violazione dell’art. 54 del D.Lgs. 151/2001 cfr. punto 1 del dispositivo , ritenendone anzi l’esattezza né ha allegato, nel proprio atto introduttivo, che il licenziamento potesse avere natura discriminatoria, collegando l’applicazione del regime sanzionatorio previsto dalla l. n. 300/1970 alla sola deduzione di un licenziamento disciplinare illegittimo. La sentenza va conseguentemente cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, la quale si uniformerà al seguente principio di diritto In tema di contratto di apprendistato, regolato dalla l. n. 25/1955, la lavoratrice, il cui licenziamento sia stato dichiarato nullo per violazione dell’art. 54 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ha diritto - in caso di mancato esercizio del diritto di recesso da parte del datore di lavoro ai sensi dell’art. 19 di detta legge - alle retribuzioni alla stessa spettanti fino al verificarsi di una legittima causa di risoluzione del rapporto e non fino alla scadenza del periodo di apprendistato . P.Q.M. la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.