L’accordo azienda – sindacati è il principe della mobilità

La bontà dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità è valutata, ex ante, in sede di accordo tra azienda e sindacato il criterio di scelta può esser unico, a condizione che consenta la formazione di una graduatoria rigida e che sia applicabile dal datore di lavoro senza alcun margine di discrezionalità.

Questa la decisione della Corte di Cassazione, in tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, contenuta nella sentenza n. 27237, depositata il 22 dicembre 2014. Mobilità. Un lavoratore eccepiva l’illegittimità del proprio licenziamento, intimato nell’ambito di una procedura di mobilità, in quanto non sussisteva il motivo posto alla base della mobilità medesima trasformazione e riduzione dell’attività aziendale a fronte dell’impossibilità di riconvertire su impianti a nuove tecnologie un certo numero di lavoratori. Accordo tra azienda e sindacati e vissero tutti felici e contenti. Il licenziamento collettivo è regolato dalla l. n. 223/1991 e si apre con l’accordo circa i criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità, stretto tra l’azienda e le rappresentanze sindacali in essa presenti. Tale accordo è fondamentale sia dal punto di vista formale e procedurale, che sostanziale. Esso deve rispettare il principio di non discriminazione, pena le sanzioni previste dall’art. 15 Statuto dei Lavoratori, nonché il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità, nonché essere coerenti con la ragione che ha determinato la mobilità dei lavoratori. Inoltre, la l. n. 223/1991, nel prevedere con estrema accuratezza la procedura di formazione del provvedimento di messa in mobilità, ha introdotto un significativo mutamento nel controllo giurisdizionale circa la legittimità del licenziamento collettivo. In particolare, il controllo sull’effettiva necessità di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva, nonché sui criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, è effettuato, ex ante , dalle parti sociali, in sede di accordo ex art. 4 l. n. 223/1991. Ciò significa che, una volta siglato l’accordo, l’esigenza di ridimensionamento ed i criteri di scelta si danno per buoni, per accettati. Al giudice, quindi, non resta che il controllo sulla correttezza procedurale dell’operazione di mobilità. Di conseguenza, in sede giurisdizionale, non possono essere svolte censure circa l’effettiva necessità di riduzione del personale, a meno che non si contestino specificamente le violazioni degli artt. 4 e 5 l. n. 223/1991. L’ardua scelta dei criteri di scelta. In sede di accordo tra azienda e sindacati viene affrontato il merito della procedura di mobilità perché licenziare? Chi licenziare? L’accordo può prevedere anche un solo criterio di scelta dei lavoratori da licenziare, a condizione che esso solo consenta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità. Detto ciò, è quindi idoneo a determinare la scelta dei lavoratori da licenziare, il criterio della prossimità al pensionamento esso permette di individuare il lavoratore che subirebbe il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire in breve tempo il reddito da lavoro con il reddito da pensione. Le doglianze legittime. Il lavoratore ricorrente non contesta di essere stato prossimo alla pensione, ma il fatto di non poter essere ricollocato sugli impianti a nuove tecnologie. Tale doglianza è infondata, da qui il rigetto del ricorso in Cassazione. Infatti, l’unico criterio di scelta sul quale si erano accordati l’azienda ed i sindacati era la prossimità al pensionamento, ed in nessun modo veniva preso in considerazione il possibile ricollocamento presso i nuovi impianti. Di conseguenza la possibilità del ricollocamento del lavoratore non poteva essere oggetto né del giudizio di merito, né di quello di legittimità. In ogni caso, quand’anche il lavoratore avesse contestato la sua anzianità di servizio, la bontà del criterio della prossimità alla pensione sarebbe comunque stata esclusa dal sindacato del giudice, poiché valutata ex ante dalle parti sociali. L’azienda dopo la mobilità Prosegue la sua attività con il nuovo e ridimensionato assetto produttivo, pertanto le condotte datoriali - quali, ad esempio, la richiesta di lavoro straordinario, l’assunzione di nuovi lavoratori o l’esternalizzazione di parte della produzione - successive al licenziamento collettivo, non incidono tout court sulla legittimità del medesimo. Tali condotte inficiano la validità del licenziamento solo se fanno emergere violazioni alla procedura ex artt. 4 e 5 l. n. 223/1991, oppure se sono poste in essere per colmare vuoti di organico generati dal licenziamento, oppure ancora, se vi è stato un ampliamento dell’attività economica non giustificato dalle ragioni che avevano determinato la riduzione del personale. Quindi, l’accordo tra azienda e sindacati è l’inizio ed il fulcro della procedura di mobilità, tutte le doglianze potranno attenere alla procedura o tutt’al più ad un’incoerente gestione aziendale post mobilità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 novembre – 22 dicembre 2014, n. 27237 Presidente Ma cioce – Relatore Amendola Svolgimento del processo 1.- Con sentenza del 3 maggio 2011, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da S.M. nei confronti della Fiat Group Automobiles Spa volto ad accertare l'illegittimità del licenziamento subito con decorrenza 27 dicembre 2006 all'esito di una procedura di mobilità ex lege n. 223 dei 1991. La Corte territoriale - per quanto ancora qui interessa - ha ritenuto generiche e prive di adeguato riscontro probatorio le deduzioni svolte dal lavoratore in ordine al difetto del nesso causale tra la procedura intrapresa dalla società ed il licenziamento intimato, oltre che infondate quelle che investivano la correttezza procedurale del recesso. Ha altresì considerato priva di valore significativo la proposta di assunzione con contratto a tempo determinato effettuata dalla Fiat al M. successivamente al licenziamento. 2.- Per la cassazione di tale sentenza S.M. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso la società. Motivi della decisione 3.- Con l'unico motivo del ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, nonché omessa e contraddittoria motivazione, il ricorrente deduce che il giudice investito della valutazione della legittimità del licenziamento collettivo deve accertare la sussistenza del nesso causale tra il progettato ridimensionamento ed i singoli provvedimenti di recesso. Lamenta che sulle circostanze di fatto dedotte la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi o, comunque, le avrebbe superficialmente valutate. Eccepisce che la motivazione posta a base della comunicazione di apertura della procedura di mobilità era stata l'impossibilità di riconvertire su impianti a nuova tecnologia un certo numero di lavoratori, per cui si sarebbe dovuto verificare che il M. fosse tra costoro. Considera come incompatibile la proposta di nuova assunzione a tempo indeterminato rispetto alla prospettata impossibilità di riconvertire il ricorrente su processi produttivi tecnologicamente avanzati. 4.- II ricorso è infondato. Questa Corte ha più volte affermato che la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, che si traduce in un accordo sindacale concluso dai lavoratori attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell'obiettività e della generalità e devono essere coerenti col fine dell'istituto della mobilità dei lavoratori. É stato altresì costantemente affermato che in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la legge n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo ma la correttezza procedurale dell'operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l'autorità giudiziaria di un'indagine sulla presenza di effettive esigenze di riduzione o trasformazione dell'attività produttiva cfr., tra le altre, Cass. n. 21541 del 2006 Cass. n. 19347 del 2007 Cass. n. 5089 del 2009 . Inoltre è stato precisato che in materia di collocamento e mobilità e di licenziamenti collettivi il criterio di scelta adottato nell'accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l'individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella prossimità al pensionamento, purché esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro Cass. 2 settembre 2003 n. 12871 Cass. 6 ottobre 2006 n. 21541 . Si tratta infatti di un criterio oggettivo, che permette di scegliere a parità di condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione ex plurimis~Cass. n. 4186 del 2013 . 5.- E' esattamente quanto accaduto nella fattispecie concreta laddove con l'accordo sindacale di chiusura della procedura -- riportato nella sentenza impugnata - si convenne che il criterio di individuazione dei sopra richiamati 300 lavoratori compatibilmente con le esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali è costituito dalla possibilità per il lavoratore di conseguire un trattamento di quiescenza nell'ambito dell'arco temporale di fruizione dell'indennità di mobilità ordinaria . Non è in contestazione che il M. fosse tra i lavoratori che conseguivano un trattamento di quiescenza nell'ambito dell'arco temporale di fruizione dell'indennità di mobilità ordinaria. Pertanto egli non può dolersi dell'essere stato individuato tra i licenziandi sulla base di un criterio di scelta legittimamente adottato. Piuttosto parte ricorrente sembra lamentare che la Corte napoletana non avrebbe adeguatamente valutato circostanze di fatto dalle quali risulterebbe un difetto di coerenza tra dichiarazioni contenute nella comunicazione di apertura della procedura di mobilità e la scelta del lavoratore. In particolare denuncia che nella sentenza impugnata non si sarebbe verificato se il M. fosse o meno tra i lavoratori che non potevano essere riconvertiti su impianti a nuova tecnologia, condizione individuata nella comunicazione di apertura della procedura quale causa degli esuberi, senza altresì considerare la contraddittoria proposta di nuova assunzione successivamente rivolta dalla Fiat al M. medesimo. Tali doglianze non tengono conto che il criterio di scelta concordato tra l'azienda e le organizzazioni sindacali era quello della prossimità alla pensione di per sé legittimo - e non emerge dall'accordo che tale canone di selezione dovesse operare esclusivamente tra i lavoratori non riconvertibili su impianti a nuova tecnologia. Non può poi trascurarsi che la comunicazione di apertura della procedura che individua gli esuberi espressamente si riferisce ad un piano di contenimento dei costi di struttura e di funzionamento , per cui del tutto legittimamente, all'esito del confronto sindacale, si è scelto di perseguire tale obiettivo privilegiando un criterio di scelta che determinasse il minor costo sociale. Infine va evidenziato che la Corte di merito ha respinto le critiche formulate dal ricorrente alla sentenza di primo grado in ordine all'insussistenza del nesso di causalità tra il progetto di riduzione del personale e il provvedimento di recesso, osservando che le circostanze addotte dal lavoratore erano prive del requisito di specificità quanto alla dedotta estraneità delle mansioni del ricorrente ai concetti di tecnologia avanzata e riconvertibilità , posti a fondamento dei licenziamenti , ovvero prive di decisività quanto alla rilevanza attribuita alla proposta di assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato . Il ricorrente ha censurato tali stA.izioni sostenendo che negli atti introduttivi del giudizio di primo grado e del giudizio d'appello erano stati esattamente individuati i criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali e puntualmente descritta la posizione lavorativa del M Tali censure non possono tuttavia trovare ingresso in questa sede in quanto le critiche formulate dal ricorrente - lungi dall'indicare le ragioni per cui determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le norme delle quali viene denunciata la violazione o dai denunciare lacune o effettive contraddizioni logiche nella motivazione che sorregge l'accertamento di fatto sul quale è fondata la decisione impugnata - si risolvono, in realtà, nella prospettazione - inammissibile in questa sede - di una diversa ricostruzione del medesimo fatto e nella richiesta di una rivalutazione del giudizio di merito, che resta preclusa in questa sede di legittimità ove non si configuri l'omessa o insufficiente considerazione di fatti decisivi, ovvero il mancato rispetto della soglia di plausibilità logica delle argomentazioni adottate a sostegno della decisione in termini, in fattispecie analoga, v. Cass. n. 24071 del 2013 v. pure Cass. n. 24260 del 2013 . Quanto poi alla significativítà della proposta di assunzione a tempo nyeterminato successiva al licenziamento è appena il caso di rammentare che condotte datoriali, quali la richiesta di svolgimento di lavoro straordinario, l'assunzione di nuovi lavoratori o la devoluzione all'esterno dell'impresa di parte 'della produzione, successive al licenziamento collettivo, non sono suscettibili di incidere sulla validità del licenziamento stesso, una volta che la procedura di mobilità si sia svolta nel rispetto dei vari adempimenti previsti dalla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, ove non risulti la necessità di colmare vuoti di organico originati ingiustificatamente dal processo di ristrutturazione, e ove non si sia in presenza di un ampliamento dell'attività economica dell'impresa, non giustificata sulla base delle ragioni che hanno portato alla riduzione del personale da ultimo, Cass. n. 1253 del 2011 . 6.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna del ricorrente a[ pagamento delle spese, come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio di legittimità liquidate in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.