Tempestiva la contestazione intervenuta all’esito del processo penale

La contestazione disciplinare preordinata al licenziamento è da ritenersi tempestiva quando, sebbene non sia immediata rispetto all’addebito, è comunicata a seguito della decisione di rinvio a giudizio o all’esito del procedimento penale che vede coinvolto il lavoratore indisciplinato.

Meno immediatezza, più certezza, così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25686, depositata il 4 dicembre 2014. Dare tempo al tempo. Un’addetta all’incasso di Poste Italiane spa si appropriava indebitamente di una somma di denaro versata da un cliente mediante assegno circolare non trasferibile. Pur ricevendo l’assegno nel mese di agosto 1997, la lavoratrice versava l’importo corrispettivo nel conto corrente della cliente solamente nel mese di novembre dell’ anno successivo, in seguito alle proteste di quest’ultima ed alla susseguente indagine interna e di polizia . L’ispezione alle casse della posta si era conclusa a fine luglio 1998 e, sporta denuncia, Poste Italiane riceveva la comunicazione del rinvio a giudizio solo nell’agosto del 1999, quindi a due anni dalla malefatta. Solo dopo la notizia del rinvio a giudizio, il datore di lavoro provvedeva a constare l’addebito alla dipendente, sanzionandola con il licenziamento disciplinare. La lavoratrice, licenziata e rinviata a giudizio per appropriazione indebita, impugnava il provvedimento espulsivo adducendo l’intempestività o comunque la mancata immediatezza della contestazione disciplinare, che, in effetti, era intervenuta dopo due anni dal fatto addebitato. I giudici dei primi due gradi di giudizio propesero per l’illegittimità del licenziamento, a causa dell’intempestività della contestazione. Poste Italiane ricorreva, quindi, in Cassazione ove riceveva la soddisfazione di veder dichiarato legittimo il licenziamento comminato. Con l’ordinanza 29298/2008, la Suprema Corte, di fronte ad un comportamento indisciplinato che rappresentava altresì un’ipotesi di reato, attribuiva al datore di lavoro la facoltà di rinviare la contestazione dell’addebito sino al rinvio a giudizio, se non sino all’esito del procedimento penale. Questo perché il procedimento penale offre elementi di valutazione più sicuri. Meglio una contestazione non immediata, ma sicura secondo la Corte di Cassazione è quindi ragionevole che, per maggior certezza, il datore di lavoro voglia attendere la conferma della commissione di un reato, se non con la sentenza, almeno con la decisione di rinvio a giudizio. Nonostante tale decisone la Corte d’Appello avanti alla quale era stato rinviato il giudizio per la decisione di merito, faceva orecchie da mercante e confermava l’illegittimità del licenziamento, dando peso all’abbondante lasso di tempo trascorso tra il fatto addebitato e la contestazione. In effetti, tra la malefatta e la relativa contestazione erano trascorsi circa due anni e non appariva ragionevole che, al fine della conoscenza del fatto e della sua riferibilità al lavoratore fosse necessario ottenere una decisione dal Tribunale penaletanto più che il datore di lavoro aveva preso conoscenza del fattaccio, già dopo un anno dalla commissione, all’esito dell’indagine espletata. Corte d’Appello testarda. La Corte di Cassazione si vede, quindi, costretta a redarguire la Corte territoriale che non aveva seguito le sue indicazioni, date proprio in risposta ad un apposito ricorso e non rilevabili da una mera tendenza giurisprudenziale! La Suprema Corte sottolinea il principio dell’intangibilità di quanto statuito in sede di legittimità, con conseguente possibilità per il giudice di ultima istanza di sindacare la sentenza di rinvio, rinviando, nuovamente, alla Corte d’Appello disobbediente”, con esplicito invito ad aderire all’orientamento romano.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 novembre – 4 dicembre 2014, n. 25686 Presidente Vidiri – Relatore Bandini Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Catania, con sentenza in data 16.3.2006, confermò la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato dalla Poste Italiane spa a C.M.D. , stante la ritenuta violazione del principio dell'immediatezza della contestazione più in particolare il Giudice del gravame aveva ritenuto che, a seguito dell'ispezione interna, la datrice di lavoro disponeva già di tutti gli elementi utili per la compiuta valutazione del fatto, verificatosi nell'estate del 1997, e che, pertanto, non era necessario attendere, per la contestazione, l'esito della denuncia sporta all'Autorità Giudiziaria, la quale avrebbe poi provveduto al rinvio a giudizio per il reato di cui all'art. 314 cp a riprova di ciò stava il fatto che, nella lettera di contestazione disciplinare pervenuta alla dipendente il 30.10.1999 , la parte datoriale aveva affermato espressamente di voler prescindere dall'esito del procedimento penale. Questa Corte, con ordinanza n. 29298/2008, accogliendo il ricorso proposto dalla parte datoriale, cassò la pronuncia d'appello, rinviando alla Corte d'Appello di Messina. Nella suddetta ordinanza questa Corte osservò quanto segue Il ricorso fornisce i dati temporali omessi, ed essi non sono contestati ex adverso. La C. si appropriò della somma mediante l'incasso, in data 29 agosto 1997, di un assegno circolare non trasferibile che un incaricato della Sicilcassa le aveva consegnato in pagamento di versamenti in conto corrente che essa effettuò solo in data 20 e 26 novembre 1997, in seguito alle proteste della cliente e alla susseguente indagine. Conclusa l'ispezione il 31 luglio 1998 e sporta denuncia, Poste in data 24 agosto 1999 ricevette comunicazione dei rinvio a giudizio della C. per il reato di cui all'art. 314 c.p. il successivo 9 settembre procedette alla contestazione dell'addebito e alla sospensione cautelare. La sentenza impugnata nega al datore di lavoro, che abbia denunciato i fatti all'autorità giudiziaria, la facoltà di rinviare la contestazione, non dicesi fino all'esito del procedimento penale, ma anche soltanto fino al rinvio a giudizio. Il che contrasta con la logica comune e con la giurisprudenza della Corte Cass. n. 12649/04, n. 241/06 , la quale ritiene legittimo attendere gli esiti del procedimento penale, perché questo offre elementi di valutazione più sicuri. Nella specie, poi, il Collegio di merito ha ignorato le difese della C. in sede ispettiva, in ordine ad ipotesi astrattamente possibili, anche se poco credibili. È dunque ragionevole che la società abbia voluto attendere la conferma proveniente se non dalla sentenza, almeno dalla richiesta di rinvio a giudizio. Chiaramente viziato sul piano logico è il ragionamento con il quale la Corte etnea fa discendere dall'avvertimento sulla ininfluenza dell'esito dell'instaurato procedimento penale, la prova del superamento di ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza della C. , a prescindere dall'iniziativa del Pubblico ministero, senza verificare se con detta riserva il datore di lavoro intendesse soltanto chiarire di non voler comunque rinunciare ad un'autonoma valutazione delle risultanze processuali e, quindi, riaffermare il principio dell'autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale. Questo vizio della motivazione è censurato efficacemente con l'odierno ricorso”. Riassunto il giudizio, la Corte d'Appello di Messina, con sentenza dei 28.9-3.11.2010, rigettò il gravame proposto dalla Poste Italiane spa, osservando quanto segue - nel rispetto del principio affermato dalla Suprema Corte, con il quale si afferma la possibilità di rinviare la contestazione in esito al rinvio a giudizio, occorre pur sempre valutare, ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l'esercizio del potere disciplinare, ai fini della tempestività di quest'ultimo, il tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento, considerata l'autonomia fra quello penale e quello disciplinare - alla luce delle cadenze temporali che avevano contraddistinto la vicenda, se ne doveva dedurre che il notevole tempo trascorso tra il fatto e l'avviamento dei procedimento disciplinare - circa due anni - non appare certamente ragionevole al fine della conoscenza del fatto e della sua riferibilità al lavoratore, già pienamente acquisita dal datore di lavoro in esito all'indagine ispettiva e sulla quale non ha espletato alcuna influenza l'instaurato procedimento penale - pertanto, nel rispetto del principio sancito dal Supremo Corte, andava affermato che se appare del tutto lecito che il datore di lavoro rinvii ogni decisione quanto meno fino al rinvio a giudizio, pur tuttavia occorre sempre valutare se tale intervallo di tempo appaia in qualche modo necessario per acquisire una migliore conoscenza dei dati di cui si è detto, stante l'autonomia conclamata tra il procedimento disciplinare e quello penale - nel caso di specie non vi erano elementi di sorta - e, del resto, la relativa prova era a carico del datore di lavoro - per affermare che il tempo trascorso fosse stato utilizzato a tal fine, per cui l'appello non meritava accoglimento. Avverso la suddetta sentenza del Giudice del rinvio, la Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato tre motivi e illustrato con memoria. L'intimata C.M.D. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 384, comma 2, cpc, deduce che il Giudice del rinvio, disattendendo tutte le indicazioni della Corte di Cassazione, ha ribadito che, nel caso di specie, il recesso sarebbe stato intempestivo non sussistendo alcun motivo di differire la contestazione degli addebiti sino al provvedimento di rinvio a giudizio, essendo i fatti ben noti all'azienda a seguito dell'attività ispettiva, non seguita da altri accertamenti. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 384, comma 2, cpc, degli artt. 1175, 1375 e 2119 cc, dell'art. 7 legge n. 300/70, degli artt. 1 e 3 legge n. 604/66 e degli artt. 1362 e ss cc, la ricorrente si duole che il Giudice del rinvio, disattendendo tutte le vincolanti indicazioni della Suprema Corte ed in aperta violazione delle norme sul procedimento disciplinare, abbia ritenuto il licenziamento intempestivo, omettendo di considerare come, nella fattispecie, l'accertamento e la valutazione dei fatti, considerate le plausibili anche se poco credibili giustificazioni rese dalla lavoratrice, aveva richiesto uno spazio temporale maggiore derivante dalla necessità di acquisire i risultati delle indagini svolte preliminarmente in sede penale. I predetti due motivi, fra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente. 1.2 Questa Corte, con la ricordata ordinanza di cassazione della pronuncia resa in grado d'appello, nell'affermare il principio secondo cui deve ritenersi legittimo il differimento della contestazione quantomeno fino al rinvio a giudizio, ha precisato che tanto deriva dai fatto che il procedimento penale offre elementi di valutazione più sicuri e, calando tale principio nella vicenda all'esame, ha chiaramente evidenziato che, a fronte delle difese fornite dalla lavoratrice, astrattamente possibili, anche se poco credibili, era ragionevole che la Società avesse voluto attendere la conferma proveniente se non dalla sentenza, almeno dalla richiesta di rinvio a giudizio. In altri termini, nello specifico contesto, il pur generale principio della possibilità di rinviare la contestazione all'esito del procedimento penale o, quantomeno, al momento del rinvio a giudizio, trovava specifico riscontro, a fronte delle giustificazioni rese dalla lavoratrice, nell'esigenza di avere il conforto, derivante dall'esito delle indagini penali, della sussistenza dell'addebito. Rilevata, nel senso testé indicato, l'effettiva portata dei principi di diritto affermati da questa Corte nella surricordata ordinanza, deve considerarsi che, secondo gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità - l'enunciazione del principio di diritto vincola sia il giudice del rinvio, sia la stessa Corte di Cassazione, qualora la stessa sia nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza del giudice del rinvio cfr, ex plurimis, Cass., nn. 10037/2001 8485/2003 11716/2014 - la sentenza della Corte di Cassazione che dispone il rinvio vincola il giudice del rinvio non solo ai principi di diritto affermati, ma anche con riferimento ai relativi presupposti di fatto, da ritenersi implicitamente accertati in via definitiva nelle pregresse fasi di merito conseguentemente, dall'applicazione del principio generale dell'intangibilità del decisum statuito in sede di legittimità, deriva che il sindacato della Corte di Cassazione sulla sentenza del giudice dei rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nei controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3881/2006 22419/2009 . Deve allora convenirsi che la Corte d'Appello di Messina, con la sentenza impugnata, non ha rettamente inteso il senso e la valenza del principio di diritto a cui avrebbe dovuto conformarsi, finendo per decidere la controversia, sostanzialmente sulla base degli stessi argomenti già fatti propri dalla pronuncia resa in grado di appello e poi cassata, sul fondamento della negazione della legittimità del differimento della contestazione al momento, quantomeno, del rinvio a giudizio della lavoratrice i motivi all'esame sono dunque fondati. 3. L'accoglimento dei suddetti motivi comporta l'assorbimento del terzo, con il quale sono stati dedotti vizi di motivazione su plurimi punti decisivi della controversia. 4. In definitiva la sentenza va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi a quanto statuito con l'ordinanza di questa Corte n. 29298/2008 e provvedendo altresì sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbito il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Palermo.