‘Discesa volante’ per la pausa pranzo, l’azzardo costa caro al muratore: incidente e niente indennizzo

Respinta, in via definitiva, la richiesta avanzata nei confronti dell’Inail. Decisiva la ricostruzione dell’episodio la caduta nel vuoto del lavoratore è stata frutto della scelta assurda di scendere aggrappandosi ai tubi del ponteggio.

Pausa pranzo ad alto rischio per il muratore, che sceglie la strada più tortuosa per raggiungere lo spazio di solito utilizzato per consumare il proprio pasto. Ma in questo passaggio ‘volante’, realizzato attaccandosi ai tubi del ponteggio, egli mette un piede in fallo e precipita nel vuoto. Tale condotta, davvero assurda a rigor di logica, è fatale anche dinanzi ai giudici il lavoratore, difatti, vede respinta la richiesta presentata all’Inail e finalizzata ad ottenere un corposo indennizzo per i postumi dell’incidente. Cassazione, sentenza n. 15705, sez. Lavoro, depositata oggi . Caduta. Ricostruita nei dettagli – anche grazie alle parole del lavoratore – la dinamica dell’episodio l’uomo, impegnato come muratore per alcuni interventi di carpenteria per l’intonacatura di uno stabile , scende dall’impalcatura per andare in pausa pranzo, ma, facendolo, mette un piede in fallo, precipitando nel vuoto, finendo prima su un tetto e poi sul lastrico stradale . Alla luce di questo quadro, i giudici di primo e di secondo grado concordano è priva di senso la richiesta dell’uomo di ottenere dall’Inail l’ indennizzo dei conseguenti postumi di invalidità temporanea assoluta e invalidità permanente . Ciò per una ragione semplicissima il fattaccio è derivato da una scelta arbitraria del lavoratore , ossia scendere tenendosi ai tubi del ponteggio piuttosto che utilizzare l’ accesso sicuro costituito dalla botola che collegava il piano del ponteggio con quello inferiore per poi accedere al terrazzino dove consumare il pasto. Azzardo. E l’ottica delineata nei giudizi di merito viene condivisa anche dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, respingono le obiezioni mosse dal lavoratore, e finalizzate, in sostanza, a sostenere la tesi della responsabilità dell’imprenditore. Decisive proprio le dichiarazioni rese, nell’immediatezza, dal lavoratore all’ispettore dell’Inail , e relative alla circostanza di aver preferito scendere attaccandosi ai tubi del ponteggio, anziché utilizzando la non lontana botola . Quelle parole, spiegano i giudici, non lasciavano alcun dubbio sulla ingiustificata e pericolosa condotta tenuta dal lavoratore , configurando così un rischio elettivo non indennizzabile . Confermata, di conseguenza, la decisione di respingere la richiesta avanzata dall’uomo nei confronti dell’Inail.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 marzo – 9 luglio 2014, n. 15705 Presidente Vidiri – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Reggio Calabria, B.C. deduceva che in data 8 marzo 1995 lavorava, con mansioni di muratore, alle dipendenze di F.V.G., occupandosi dei lavori di carpenteria per l'intonacatura dello stabile sito in via Pio XI che intorno alle 11,45 era sceso dall'impalcatura sulla quale si trovava per la pausa pranzo e nel discendere metteva un piede in fallo precipitando nel vuoto, finendo prima su di un tetto in eternit e poi sul lastrico stradale. Chiedeva pertanto la condanna dell'INAIL all'indennizzo dei conseguenti postumi di invalidità temporanea assoluta e invalidità permanente. Il giudice di primo grado, nella resistenza dell'Inail, istruiva la causa mediante prova per testi e c.t.u. all'esito rigettava la domanda, ritenendo che l'evento derivasse da una scelta arbitraria dei lavoratore, il quale aveva creato volutamente, in base a ragioni personali, una situazione diversa da quella inerente l'attività lavorativa, determinando perciò una causa interruttiva dei nesso eziologico con quest'ultima ciò in quanto il lavoratore per accedere al piano inferiore, dove era sceso per consumare il pasto, pur in presenza di un accesso sicuro costituito dalla botola che collegava il piano dei ponteggio con quello inferiore, preferì scendere dal ponteggio, tenendosi ai tubi che lo componevano, solo perché la botola era distante circa 8 metri. Avverso la sentenza ha proposto appello il C. resisteva l'INAIL. Con sentenza depositata il 6 giugno 2011, la Corte d'appello di Reggio Calabria rigettava il gravame. Per la cassazione propone ricorso il C., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria. Resiste l'INAIL con controricorso. Motivi della decisione 1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia una insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. . Lamenta che i giudici di appello, nel considerare che la botola gli avrebbe consentito di accedere al piano inferiore del ponteggio ma non al terrazzino dove egli era solito consumare il pasto, ammisero implicitamente che il comportamento dei C. fu necessitato dallo stato dei luoghi, come emergeva del resto dalle deposizioni testimoniali raccolte. 2.-Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denuncia una insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. sotto un diverso profilo. Si duole in sostanza che l'imprenditore è responsabile degli infortuni occorsi ai propri dipendenti anche quando essi siano stati causati da colpa o imperizia, ipotesi che al più poteva ravvisarsi nella specie, dovendosi invece escludere un comportamento abnorme, considerato che utilizzando la botola egli non avrebbe mai potuto accedere se non attraverso una finestra posta molto in alto rispetto al pavimento al terrazzino su cui soleva ed aveva in tesi unicamente la possibilità, di consumare il suo pasto. Lamenta poi che la Corte di merito non aveva considerato che attorno al pontile erano presenti delle reti di protezione e che in generale la giurisprudenza ha sempre ritenuto che gli spostamenti del lavoratore necessitati dal consumo dei pasti non esorbitavano dal normale svolgimento dell'attività lavorativa. 3.- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili. Deve infatti in primo luogo rilevarsi che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente dei mancato o assolutamente insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio e dunque circa fatti costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi dei diritto , che avrebbe certamente comportato una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice dei merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa cfr. da ultimo Cass. n. 3668\13 , ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione cfr, ex plurimis, Cass., sez. un. nn. 25984\10 e 13045/1997 Cass. n. 5802/1998 . Ne discende che le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano dei tutto irrazionali le argomentazioni dei giudice dei merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata cfr. ex plurimis, Cass., nn. 10833\10, 8718/2005 15693/2004 2357/2004 12467/2003 16063/2003 3163/2002 . Quanto alla dedotta erronea valutazione dei documenti e testimonianze di causa, deve rilevarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di risultanze probatorie, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova trascurate od erroneamente interpretate dal giudice di merito, indicandone inoltre ai fini di cui all'art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c. la loro esatta ubicazione all'interno dei fascicoli di causa Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726 , al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza dei ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915 Cass. ord. 16.3.12 n. 4220 Cass. 9.4.13 n. 8569 . Nella specie il ricorrente non riproduce in ricorso gli atti e documenti verbali ispettivi e verbali di udienza contenenti le dichiarazioni dello stesso ricorrente, esaminate dalla Corte d'appello, e delle testimonianze raccolte che sarebbero stati erroneamente valutati dalla Corte di merito. Premesso infine che la giurisprudenza citata dal ricorrente circa la riconducibilità all'attività lavorativa anche dei tempo necessario o utile al fine della consumazione dei pasti è inconferente, riguardando la diversa ipotesi dell'infortunio in itinere , deve rimarcarsi che nella specie la Corte territoriale ha congruamente ritenuto che le dichiarazioni rese nell'immediatezza dal lavoratore all'ispettore dell'Inail circostanza, quella di aver preferito scendere attaccandosi ai tubi dei ponteggio anziché utilizzando la non lontana botola, confermata nel corso dell'audizione libera del ricorrente in prime cure , non lasciavano alcun dubbio sull'ingiustificata e pericolosa condotta tenuta dal lavoratore, configurando un rischio elettivo non indennizzabile ex plurimis, Cass. n. 19494\09 Cass. n. 3786\09 . 3.- Il ricorso è pertanto inammissibile. Le spese di lite sono irripetibili, non applicandosi, ratione temporis, il d.l. n. 269\03. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.