Via libera alla trasformazione d'imperio del part time in full time

di Antimo Di Geronimo

di Antimo Di Geronimo Il potere del datore di lavoro pubblico, introdotto dall'art. 16 della legge 183/2001, di trasformare i rapporti di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, anche contro la volontà del lavoratore interessato, non viola la normativa comunitaria. Lo ha stabilito il Tribunale di Trento, in sede di reclamo, capovolgendo l'esito di un procedimento d'urgenza, che invece aveva affermato il diritto di una dipendente a tempo parziale dello stesso Tribunale, di mantenere il part time anche contro la volontà dell'Amministrazione ordinanza collegiale del 16 giugno . La trasformazione unilaterale non viola la normativa comunitaria. Il collegio non ha condiviso, dunque, la tesi del giudice monocratico, secondo cui la clausola 5 co. 2 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale recepito dalla direttiva 15.12.1997 n 97/81/CE, esclude che una norma nazionale possa prevedere la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno senza il consenso del lavoratore. Secondo i giudici, infatti, la stessa norma comunitaria, dopo aver stabilito che il rifiuto del lavoratore non deve costituire in quanto tale motivo valido di licenziamento, fa salva la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato . Le esigenze organizzative precludono il rifiuto a pena di risoluzione del rapporto. Ciò comporta che, qualora vi siano esigenze organizzative o tecniche o produttive, che impongano la trasformazione dei rapporto da tempo parziale a tempo pieno o viceversa, il datore, a fronte del rifiuto del lavoratore, potrebbe procedere al licenziamento per ragioni risultanti da necessità di funzionamento dello stabilimento . E tali ragioni, sempre secondo il collegio, appaiono assimilabili alla nozione di giustificato motivo oggettivo ex art. 3 L. n. 604/1966 costituito da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed la regolare funzionamento di essa . Pertanto, il lavoratore che non acconsente alla trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno si espone al rischio di esser licenziato, perché il rifiuto integra un giustificato motivo oggettivo. Il Collegato riequilibra le parti. Oltre tutto il Collegato lavoro, nel riportare la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part time all'interno di un sistema di regole, diretto alla cancellazione del diritto potestativo del lavoratore di ottenere la trasformazione in favore di una decisione consensuale di entrambe le parti, non introduce trattamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori a tempo parziale. Ciò perché, la impossibilità per la parte datoriale di ricondurre a tempo pieno i rapporti a tempo parziale, di fatto, riduce le possibilità degli altri lavoratori la possibilità di ottenere a loro volta il part time. Se il rifiuto legittima il licenziamento, la trasformazione è compatibile con le norme UE. E dunque non vi è un chiaro contrasto tra la normativa comunitaria, che consente il licenziamento in presenza di ragioni organizzative, o tecniche o produttive collegate al rifiuto del lavoratore alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa, e la norma interna che consente al datore di lavoro pubblico, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, di sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati . E neppure può essere invocato, a sostegno della irrevocabilità del part time, il principio costituzionale dell'affidamento, perché l'art. 16 L.183/2011 costituisce jus superveniens che, in riferimento ad un rapporto di durata, qual è il rapporto di lavoro subordinato, incide sulle prestazioni future. Sullo stesso argomento, leggi anche No alla trasformazione d'imperio del part time in full time, di Antimo Di Geronimo, DirittoeGiustizi@ 9 giugno 2011