Sì alle riprese effettuate da un datore di lavoro diverso dal proprio

di Giulia Milizia

di Giulia Milizia * La Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza n. 2117 del 20 dicembre 2010, depositata lo scorso 28 gennaio, fa interessanti riflessioni sul valore probatorio delle immagini della videosorveglianza, sulle problematiche connesse all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori L. n. 300/70 e su altri aspetti previdenziali. La vicenda affrontata. Alcuni vigilantes venivano licenziati per essersi introdotti, durante il loro turno di lavoro, nei locali di una ditta per cui prestavano il servizio di sorveglianza, senza che ne ricorressero i presupposti di urgenza, di forza maggiore e senza autorizzazione alcuna. La prova dell'accesso invito domino era data dalle registrazioni della telecamera installata nell'ufficio per proteggere gli effetti personali del suo titolare e la documentazione aziendale ivi custodita. Il licenziamento era impugnato in tribunale per l'inefficacia probatoria delle riprese e per chiedere un risarcimento danni relativi ad alcuni cespiti della retribuzione. In primo grado le loro ragioni venivano respinte e, in appello, parzialmente accolte solo per la refusione dei danni così che ricorrevano in Cassazione. Il loro datore proponeva controricorso. Entrambi sono stati unificati e rigettati. La normativa sulla videosorveglianza. Questa è una vexata questio regolata dall'art. 4 dello statuto dei lavoratori. Il datore di lavoro è soggetto a forti limitazioni per l'installazione di telecamere nei locali della sua azienda. In primis possono servire solo per la prevenzione di furti dei beni o di danneggiamenti della stessa VALERINI Smascherata dalla telecamera nascosta installata dal datore di lavoro legittima la condanna penale della cassiera infedele Cass. pen. sez. V n. 20722/10 negli arretrati del 23/06/10 . È, però, assolutamente vietata ogni forma di controllo a distanza del lavoratore, perché potrebbe essere in contrasto con le sue libertà di opinione, di autodeterminazione, di riservatezza e ledere la sua dignità per ovvi motivi. Infatti il datore non può spiare le opinioni dei dipendenti o controllare la loro produttività etc. ed usare questi dati contro di loro o come prove per un eventuale licenziamento. Non possono, dunque, essere installate in luoghi diversi da quelli adibiti allo svolgimento delle proprie mansioni il bagno, i luoghi di svago, lo spogliatoio ed altri locali riservati esclusivamente agli impiegati. Devono essere autorizzate e concordate con le rappresentanze sindacali, altrimenti il loro collocamento sarebbe antisindacale. In mancanza dell'accordo con le RSU e RSA la videosorveglianza deve essere autorizzata dal servizio ispettivo della DPL, che può anche imporre le modalità d'uso. In breve può essere impiegata in estrema ratio solo per particolari esigenze organizzative, produttive e di sicurezza sul lavoro. Numerosi provvedimenti del Garante della Privacy disciplinano questa materia. Tra questi i più importanti, cui si rinvia integralmente per economia narrativa, sono quelli del 29/11/00 vero e proprio vademecum sulla stessa , del 29/04/04 e del 08/04/10 che richiama la Direttiva 95/46/CE v. sito istituzionale Garante, commento di POLACCHINI Nuovo provvedimento sulla videosorveglianza aspetti particolari legati ai rapporti di lavoro e CAROVITA Osservazioni sulla videosorveglianza . Si noti, infine, che il mancato rispetto di questo divieto è punibile penalmente ex artt. 4 e 38 S.L. e 190 c.p.p Legittimità delle riprese effettuate da un altro datore di lavoro e loro valenza probatoria. I dipendenti licenziati proponevano due motivi di ricorso riassumibili nella richiesta se fossero legittime le telecamere impiantate, senza la preventiva autorizzazione sindacale, per controllare i lavoratori dell'azienda ove erano poste e/o quelli di un'altra ditta cui era appaltata la vigilanza. Si poneva il dubbio sulla loro valenza probatoria stante l'asserita illiceità. I ricorrenti, invero, basavano tutta la loro difesa su questo dato, eccependo l'inadempienza al descritto divieto ed evidenziavano come tali riprese non costituissero una valida prova ex art. 2712 cc. Contestavano che questa norma non conteneva una formula di disconoscimento dei filmati prodotti contro loro, che le circostanze in esse contenute potevano essere provate con elementi indipendenti e che l'onere della prova era a carico della parte che sostiene siano avvenute . Esse, però, potevano essere verificate tramite una CTU a differenza delle scritture private . La Corte ha giudicato infondate tali pretese, ma ha fatto interessanti riflessioni sui due punti dibattuti. L'opinione della Cassazione sulla presunta violazione dell'art. 4 S.L La S.C. ha negato che le telecamere de quibus fossero poste in violazione della citata norma. Infatti non erano collocate né in locali riservati al personale, né per un suo controllo a distanza e, soprattutto, erano state installate dalla ditta appaltatrice a difesa dei beni dell'assegnatario dell'ufficio e della documentazione aziendale. Nulla, perciò, poteva essere rimproverato a quest'ultima, dato che non era la datrice di lavoro degli opponenti. Ribadisce che la correttezza della sua condotta non viene meno per il fatto che questi vi avessero accesso, nei casi previsti dalla legge, in ragione del servizio prestato. Infine chiarisce che non ha alcun rilievo la circostanza che l'ufficio fosse presumibilmente talvolta adibito a sala riunioni col personale, perché, come detto, i ricorrenti non erano dipendenti di questa società. Alla luce di tutto ciò si desume il seguente principio di diritto non costituisce violazione del divieto di videosorveglianza collocare telecamere, per finalità difensive, in un ufficio che non fa parte della struttura organizzativa della società per cui lavora chi contesta tale deroga, anche se ha accesso allo stesso per lo svolgimento di un appalto di servizi. Nulla può essere contestato o preteso da un datore di lavoro diverso dal proprio. La decisione della Corte sulla valenza probatoria dei filmati contestati. L'efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. è subordinata alla volontà della parte contro cui sono prodotte, poiché sono formate al di fuori del processo e senza le garanzie dello stesso . Può non contestarle, ammettendone tacitamente i contenuti, oppure, come nella fattispecie, può disconoscerle. In tal modo perdono la loro qualità di prova . Questo disconoscimento va distinto dal [ .] mancato riconoscimento , diretto od indiretto, il quale, invece, non esclude che il giudice possa liberamente apprezzarle pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c., deve essere, oltre che tempestivo, chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta . La contestazione deve avvenire alla prima udienza od alla prima comparsa di risposta successiva alla rituale acquisizioni delle riproduzioni per non alterare il corretto svolgimento dell'iter processuale Cass. civ. nn. 9526/10 e 8998/01 . Nella fattispecie non erano state rispettate queste modalità di disconoscimento. Tutte le altre contestazioni sul punto sono state giudicate assorbite od ultronee. Risarcimento danni da mancati emolumenti. La S.C. conferma la compressione dei riposi giornalieri e settimanali dovuta al sistema di turnazione adottato dalla società datrice di lavoro dei ricorrenti. Ribadisce anche la tesi dei ricorrenti la mancata retribuzione delle maggiorazioni dovute per il lavoro domenicale e nei festivi influisce sull'importo della tredicesima e quattordicesima mensilità. Tutto ciò è stato ampiamente provato così che nulla può essere contestato alle conclusioni ed alla liquidazione contenute nella sentenza di appello. Si rinvia al testo dell'annotata pronuncia per ogni altro eventuale approfondimento. *Praticante avvocato e conciliatore iscritta alla camera di Conciliazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Grosseto