Compravendita immobiliare: risoluzione e recesso sono due richieste differenti e opposte, non compatibili

Con riferimento al rapporto tra i due rimedi previsti dall'art. 1385 c.c. caparra confirmatoria e nel confronto con le posizioni dottrinarie espresse in materia - anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo art. 111, comma 2, Cost. -, una volta che sia stata proposta domanda di risoluzione e risarcimento integrale del danno, non può ritenersi consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra, ponendosi i rapporti tra le due azioni in termini di incompatibilità strutturale e funzionale, altrimenti vanificandosi la funzione della caparra di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno, volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso, e consentendosi alla parte non inadempiente di scommettere senza rischi sul processo.

sul tema la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 12 dicembre 2019. Il caso. Due parti stipulavano un contratto di compravendita immobiliare che, successivamente, veniva dichiarato risolto per inadempimento dell’acquirente. L’acquirente chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento/restituzione delle somme versate in favore del venditore. Il venditore formulava opposizione ad ingiunzione. Il tribunale, respingeva l’opposizione e dichiarava l’esecutorietà del decreto ingiuntivo. Parte ingiunta ha proposto appello. Appello. L'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni ad-dotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado Cass. SS. UU. n. 27199/17 . La Corte ha ritenuto corretta l’impugnazione. Il venditore ha articolato la sua difesa sostenendo che la sentenza che aveva dichiarato la risoluzione per inadempimento del contratto non aveva ordinato la restituzione delle somme versate a titolo di caparra, pertanto, deve ritenersi che queste siano state legittimamente trattenute in virtù dell'inadempienza contrattuale dell’acquirente, dichiarata dallo stesso dispositivo. La C.A., preliminarmente, ha rilevato che la sentenza richiamata è coperta da giudicato. La sentenza richiamata, individuava con precisione e certezza, l’importo versato dall’acquirente al compratore a titolo di caparra e quello versato a titolo di acconto nonché l’importo che il compratore avrebbe dovuto restituire, infine, condannava lo stesso acquirente al versamento di una somma prontamente liquidata a titolo di risarcimento ex art. 1453 c.c Ancora. La stessa sentenza, spiegava che parte attrice venditore aveva modificato le conclusioni dichiarando di recedere dal contratto a norma dell’art. 1385, comma 2, c.c., chiedendo di dichiarare valido il recesso e, per l’effetto, autorizzare la ritenzione della caparra confirmatoria in via ulteriormente gradata, chiedeva di dichiarare risolto il contratto ex art. 1453 c.c. e per l’effetto condannare la società acquirente al risarcimento dei danni. Risoluzione e recesso. Chiedere la risoluzione e recedere costituiscono due atteggiamenti, di fronte ad un contratto, essenzialmente diversi, l’una consistendo nel chiedere al giudice che dichiari il venir meno del vincolo, l’altra nella negoziale iniziativa della parte stessa di – valendosi di attribuitegli facoltà – porlo nel nulla e nella richiesta del giudiziale accertamento della legittimità della stessa. Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra. Se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Tuttavia, se la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali. Chiarito quindi che la parte venditrice ha chiesto ed ottenuto la risoluzione del contratto ed il conseguente risarcimento del danno, è escluso il suo diritto di trattenere la caparra. Corretto il procedimento monitorio per la restituzione delle somme. La C.A. ha ribadito che le restituzioni non sono conseguenza immediata e diretta della risoluzione, traggono titolo dal venir meno, a seguito della pronunciata risoluzione, del titolo giustificativo dell'attribuzione patrimoniale. Non possono essere disposte dal giudice d'ufficio. Conseguentemente, è corretta la procedura monitoria attivata dall’acquirente inadempiente per ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di caparra. Con queste argomentazioni, è stato respinto l’appello.

Corte d’Appello di Napoli, sez. VII Civile, sentenza 12 dicembre 2019 Presidente Pizzella – Estensore Marinaro Svolgimento del processo Con atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo n. 250/2005 del Tribunale di Benevento notificato il 22 aprile 2005, contestava la debenza della somma ingiunta di Euro 37.737,60, oltre gli interessi legali, a titolo di restituzione degli importi versati per la stipula della compravendita del 16 febbraio 2001 per notar Romano avente ad oggetto l'appartamento sito in omissis alla omissis di proprietà di omissis dichiarata risolta per inadempimento dell'acquirente con sentenza del Tribunale di Roma n. 25597/2004 passata in giudicato. Il Tribunale di Benevento concedeva la parziale esecutorietà del decreto emesso limitatamente alla somma di Euro 29.556,78, oltre interessi da calcolarsi dalla data del 21 marzo 2005 al soddisfo. Pertanto, l'ingiunto corrispondeva in favore della società creditrice la somma complessiva di Euro 31.635,88 a mezzo assegno bancario. La somma richiesta con il monitorio veniva così determinata e calcolata all'importo di Euro 61.974,82 originarie Lire 120.000.000 versato dalla omissis per l'acquisto dell'immobile dal omissis veniva detratto l'importo di Euro 19.625,36 sorte capitale riconosciuta al omissis a titolo di risarcimento del danno con la sentenza del Tribunale di Roma , nonché di Euro 4.612,00 3.948,8 diritti e onorari + 12,50% rimborso forfetario, somma riconosciuta al Lecca nella medesima sentenza del Tribunale di Roma a titolo di rimborso spese, senza distrazione . Con la sentenza impugnata, il tribunale confermava integralmente l'opposto decreto ingiuntivo e condannava l'opponente al rimborso delle spese di giudizio. omissis proponeva impugnazione con atto di appello notificato il 2 maggio 2013 chiedendo l'integrale riforma della sentenza di primo grado con la revoca del decreto ingiuntivo opposto ed il rigetto della domanda proposta dalla omissis . Si costituiva la società appellata con comparsa depositata il 25 ottobre 2013 eccependo l'inammissibilità e, comunque, chiedendone il rigetto per l'evidente infondatezza. All'udienza dell'11 luglio 2019 la corte si riservava la decisione, assegnando alle parti i termini ordinari per il deposito delle difese conclusionali. Motivi della decisione 1.- L'appellante propone una serie di motivi di gravame principalmente finalizzati a far valere il diritto di ritenere le somme richieste dalla società appellata in quanto originariamente versata a titolo di caparra confirmatoria e, quindi, non di mero acconto. Per cui alla dichiarata risoluzione del contratto di compravendita non avrebbe dovuto fare seguito l'obbligo di restituzione delle somme versate fatto valere con il monitorio dalla parte contrattuale inadempiente. 2. – L'appellata d'altro canto eccepisce in via preliminare la inammissibilità dell'appello per violazione dell'art art. 342 c.p.c. e, tardivamente, in sede di conclusionale, dell'art. 348-bis c.p.c. 2.1. – In base all'art. 348-bis c.p.c. Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta . La Corte ha ritenuto di procedere alla trattazione dell'impugnazione proposta contro la sentenza ed in questa sede l'eccezione sollevata dall'appellata resta inevitabilmente assorbita. 2.2. - Quanto alla eccepita mancanza di specificità dei motivi, la stessa non è destinata a miglior esito. Sulla questione interpretativa della norma richiamata la S.C. ha espresso il principio in base al quale gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, devono essere interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado Cass. civ. Sez. Unite, 16/11/2017, n. 27199 . La Corte ritiene pertanto che l'atto di appello in esame assolva a quanto prescritto dall'art. 342 c.p.c. nella formulazione attualmente in vigore e già vigente alla data di notifica dello stesso la riforma attuata con il D.L. n. 83/2012 si applica infatti agli appelli proposti successivamente alla data dell'11 settembre 2012 . Infatti, l'appello appare senza dubbio ammissibile contenendo sia il profilo volitivo indicazione delle parti che si intendono impugnare , sia quello argomentativo con indicazione delle modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto , ma anche il profilo censorio vi è l'indicazione del perché assume sia stata violata la legge ed infine del profilo di causalità con la giustificazione del rapporto causa ed effetto fra la violazione dedotta e l'esito della lite. La censura proposta dalla parte appellata circa l'inammissibilità dell'atto di gravame ex art. 342 c.p.c. è dunque infondata e deve essere disattesa. 3. – Passando ad esaminare il merito dell'appello, occorre immediatamente rilevare che la doglianza principale attiene alla interpretazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 25597/2004 passata in giudicato ed alle conseguenze derivanti sul giudizio conclusosi dinanzi al Tribunale di Benevento con la sentenza oggetto di impugnazione. 3.1. – In primo luogo sub 1 e 6, atto di appello si evidenzia come il primo giudice avrebbe confuso le posizioni delle parti ritenendo adempiente la società Vittoria Immobiliare che invece è stata ritenuta inadempiente e condannata dalla sentenza del Tribunale di Roma. Ciò sia nella ricostruzione del fatto e sia nella motivazione pag. 1 e pag. 4 quando nel citare una pronuncia della Cassazione si indica il caso di un venditore inadempiente tenuto a restituire le somme ricevute mentre nel caso di specie è stato accertato che è il compratore ad essere stato dichiarato inadempiente. Invero, se qualche dubbio può sorgere nei passaggi indicati dall'appellante, occorre rilevare che la citazione effettuata nella motivazione della sentenza n. 4604/2008 della S.C. è funzionale al tribunale al solo fine di rimarcare che in esito alla risoluzione contrattuale il venditore è tenuto a restituire le somme ricevute con gli interessi legali a decorrere dal giorno in cui le stesse gli furono consegnate. Peraltro, il profilo censurato deve ritenersi del tutto ininfluente sulla decisione assunta del primo giudice in quanto, a prescindere dalla imputabilità dell'inadempimento accertato presso il Tribunale di Roma, l'oggetto del giudizio attiene al diritto del compratore sia pur inadempiente ad ottenere la restituzione di quanto versato. 3.2. – Vengono poi fatte valere una serie di censure che devono essere esaminate congiuntamente posto che mirano tutte a contestare la sentenza impugnata sulla base di quanto affermato nella sentenza del Tribunale di Roma passata in giudicato . 3.2.1. – Sostiene la parte appellante che contrariamente a quanto afferma la sentenza impugnata, non è vero che la sentenza di Roma avesse escluso per il sig. omissis il diritto a ritenere le somme versate dalla società non essendo state versate a titolo di caparra, ma quale mero acconto è vero invece che, non essendo stata ordinata nel dispositivo la restituzione delle somme versate a titolo di caparra, deve ritenersi che queste siano state legittimamente trattenute da omissis proprio in virtù dell'inadempienza contrattuale della società, dichiarata dallo stesso dispositivo sub 2, atto di appello . 3.3.1. - Inoltre, si rileva con l'appello che la sentenza impugnata afferma, poi, contrariamente al vero, che la sentenza del Tribunale di Roma n. 25597/2004 avrebbe affermato che le somme non potevano essere trattenute da omissis in quanto versate a titolo di mero acconto e non di caparra . Si ribadisce quindi che il Tribunale di Roma non avrebbe affermato nulla in merito e si precisa che sicuramente di Lire 120.000.000 almeno Lire 65.000.000 furono versate dichiaratamente a titolo di caparra confirmatoria come risulta dall'art. n. 2 del preliminare di vendita, stipulato tra le parti il 9 febbraio 2001 e allegato al n. 1 bis del fascicolo di parte sub 3, atto di appello . 3.3.2. - Peraltro, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria in quanto se da un canto affermerebbe correttamente, secondo la tesi dell'appello che Il ricorso monitorio è fondato su ragioni che il ricorrente avrebbe potuto far valere solo all'interno del giudizio relativo alla risoluzione contrattuale, eventualmente tramite impugnazione della sentenza pag. 3 , dall'altro, giunge a confermare il decreto ingiuntivo contenente la pretesa della omissis che invece questa avrebbe dovuto far valere nel giudizio di risoluzione contrattuale sub 4, atto di appello . Sul punto occorre subito rilevare che in realtà il passaggio richiamato dall'appellante non è parte della decisione del tribunale in quanto si tratta della mera esposizione della posizione dell'opponente Massimiliano Lecca posto che il capoverso viene chiaramente introdotto facendo riferimento al medesimo Secondo l'opponente, infatti, . 3.3.4. - Tuttavia, l'appellante afferma altresì che, come si evince dalla sentenza di Roma e dalle conclusioni dell'attore, oggetto della causa dinanzi al Tribunale di Roma è stata sicuramente tra l'altro anche la domanda di parte attrice M. Lecca di trattenere gli importi ricevuti. Tale domanda ha formato oggetto della causa e la sentenza del Tribunale di Benevento qui impugnata non può sostenere come afferma che sia mancata la domanda riconvenzionale della società al Tribunale di Roma su un argomento affrontato in causa e in sentenza. Anche su tale oggetto si era formato il giudicato senza possibilità di riproporlo con un ricorso per decreto ingiuntivo dinanzi ad un Tribunale diverso da quello che aveva esaminato i fatti ed emesso la sentenza divenuta definitiva. Semmai avrebbe potuto impugnarla a tempo debito sub 4, atto di appello . 3.3.5. – Sempre secondo la tesi del gravame, la dichiarata risoluzione contrattuale da parte del Tribunale di Roma per inadempimento della società acquirente avrebbe comportato – diversamente da quanto statuito con la sentenza appellata –ai sensi dell'art. 1385 c.c. - la facoltà automatica del venditore di trattenere la caparra che, nel caso in esame è pari almeno all'importo di Lire 65.000.000, se non dall'intero importo di Lire 120.000.000. Ne conseguirebbe che il decreto ingiuntivo mai avrebbe potuto ingiungere a omissis la restituzione di tutte le somme e particolarmente di quella dichiarata esplicitamente in contratto caparra sub 5, atto di appello . 3.4. – Ad avviso del collegio, al fine di valutare la correttezza della motivazione posta a fondamento della decisione oggetto di appello occorre esaminare la sentenza più volte richiamata del Tribunale di Roma n. 25597/2004 che, secondo quanto risulta pacifico tra le parti, è passata in giudicato. 3.4.1. – La vicenda oggetto di contenzioso trae origine dal contratto di compravendita stipulato in Benevento per atto pubblico del notaio Ambrogio Romano in data 16 febbraio 2001 Rep. n. 13566, Racc. n. 3015 , con il quale la omissis acquistava da omissis l'appartamento sito in omissis alla via omissis versando complessivamente Lire 120.000.000 a fronte del prezzo pattuito di Lire 387.000.000. Come dedotto dalla parte appellante della somma di Lire 120.000.000 almeno Lire 65.000.000 erano state versate dichiaratamente a titolo di caparra confirmatoria e ciò risulta dall'art. 2 del preliminare di vendita, stipulato il 9 febbraio 2001 all. n. 1-bis del fascicolo di I grado . Infatti, ivi era previsto che Lire 5.000.000 erano state versate a titolo di prenotazione e Lire 65.000.000 a titolo di caparra confirmatoria con assegno intestato a omissis della Banca Popolare d'Irpinia n. omissis . Il 16 maggio 2001, con successivo accordo, l'acquirente versava l'ulteriore importo di Lire 50.000.000 senza qualificare tale pagamento. 3.4.2. - Veniva incardinato il giudizio presso il Tribunale di Roma R.G. 58460/2001 che veniva definito dalla sentenza n. 25597 pubblicata il 20 settembre 2004 con il seguente dispositivo Il Tribunale, definitivamente pronunciando, parzialmente accogliendo la domanda attorea, dichiara risoluto per inadempimento della compratrice omissis il contratto di vendita del 16.2.2001 Condanna la convenuta a risarcire all'attore il danno ai sensi dell'art. 1453 c.c. pagandogli la somma di Euro 19.625,36, nonché a rifondergli la metà delle spese del giudizio che liquida, per tale quota, per esborsi in Euro 171,06, per diritti in Euro 1.205,41 per onorari in Euro 2.743,39 oltre il 12,5% per rimborso forfettario, spese generali e oltre IVA e CAP pag. 20 s. . 3.4.3. - Nell'ampia e articolata motivazione il tribunale capitolino precisa dapprima che con l'atto di citazione il venditore omissis aveva chiesto la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. per grave inadempimento del compratore omissis con il omissis risarcimento dei danni pag. 2 s. . Nel prosieguo della motivazione il giudice rileva che con la memoria ex art. 183 c.p.c. del 21 giugno 2002 la parte attrice omissis aveva modificato le conclusioni dichiarando di recedere dal contratto a norma dell'art. 1385, comma 2, c.c. e chiedendo di dichiarare valido il recesso e per l'effetto autorizzare la ritenzione della caparra confirmatoria di Lire 120.000.000 o, in subordine, nella misura di Lire 65.000.000 ancora in via ulteriormente gradata chiedeva di dichiarare risolto il contratto ex art. 1453 c.c. e per l'effetto condannare la società acquirente al risarcimento dei danni pag. 5 . 3.4.4. - La società convenuta non depositava memorie e non formulava osservazioni in ordine alla nuove conclusioni dell'attore. Ciò nonostante il giudice rilevava che le nuove conclusioni introducevano non una mera emendatio libelli giacché chiedere la risoluzione e recedere costituiscono due atteggiamenti, di fronte ad un contratto, essenzialmente diversi, l'una consistendo nel chiedere al giudice che dichiari il venir meno del vincolo, l'altra nella negoziale iniziatica ella parte stessa di – valendosi di attribuitegli facoltà – porlo nel nulla e nella richiesta del giudiziale accertamento della legittimità della stessa pag. 6 . La modifica delle conclusioni veniva perciò qualificata quale domanda nuova che pertanto non veniva presa in esame perché la controparte non aveva accettato il contraddittorio, considerato che l'accettazione non può ravvisarsi nel mero silenzio pag. 7 . 3.5. – Ai sensi dell'art. 1385 c.c. - che disciplina la caparra confirmatoria - Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta comma 1 . Ma Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra comma 2 . Tuttavia, Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali . Le Sezioni Unite della S.C. hanno avuto modo di chiarire da tempo che, con riferimento al rapporto tra i due rimedi previsti dall'art. 1385 c.c. e nel confronto con le posizioni dottrinarie espresse in materia - anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo art. 111, comma 2, Cost. -, una volta che sia stata proposta domanda di risoluzione e risarcimento integrale del danno, non può ritenersi consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra, ponendosi i rapporti tra le due azioni in termini di incompatibilità strutturale e funzionale, altrimenti vanificandosi la funzione della caparra di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno, volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso, e consentendosi alla parte non inadempiente di scommettere senza rischi sul processo Cass. civ. Sez. Unite, 14/01/2009, n. 553 v. anche Cass. civ. Sez. II, 09/06/2008, n. 15198 Cass. civ. Sez. I, 13/03/2015, n. 5095 . 3.6. – Appare quindi con evidenza che con la sentenza del Tribunale di Roma n. 25597/2004 passata in giudicato è stata dichiarata la risoluzione del contratto di compravendita stipulato dalle parti in causa per grave inadempimento della società acquirente la quale è stata anche condannata al risarcimento del danno. La domanda proposta da omissis ai sensi del comma 3 dell'art. 1385 c.c. sulla quale si è pronunciato il Tribunale di Roma ha obliterato ogni possibile utilizzo della facoltà di recedere dal contratto e di ritenere la caparra confirmatoria eventualmente versata in base al comma 2 del medesimo articolo. Ciò significa che la parte appellante non può invocare in questa sede giudiziale né in altra sede il diritto di ritenere la caparra penitenziale che ritiene sia stata versata dal compratore. Per cui ogni accertamento in ordine alla qualificazione dei versamenti effettuati dall omissis al fine di stabilire se si tratti di caparra penitenziale o di meri acconti risulta del tutto inutile ed esorbitante dai limiti del presente giudizio. 3.7. – Nei termini suindicati la motivazione della sentenza di prime cure che qui è stata impugnata deve essere modificata ed occorre ora verificare se la domanda di restituzione proposta dalla omissis può ritenersi fondata. Ad avviso del collegio, sul punto, la motivazione del primo giudice è ineccepibile e non può che essere condivisa. E' pacifico infatti che l'importo complessivo di originarie Lire 120.000.000 era stato versato, come a questo punto è indiscutibile che il contratto nel quale trovava titolo tale attribuzione patrimoniale è stato dichiarato risolto. E' altresì incontestato che la società acquirente non ha spiegato domanda riconvenzionale per la restituzione della detta somma nel giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Roma. Occorre poi osservare che nei contratti a prestazioni corrispettive, l'efficacia retroattiva della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento art. 1458, comma 1. c.c. , collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta per ciascun contraente, indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili, l'obbligo di restituire la prestazione ricevuta. Tuttavia, le restituzioni non sono conseguenza immediata e diretta della risoluzione, ma traggono titolo dal venir meno, a seguito della pronunciata risoluzione, del titolo giustificativo dell'attribuzione patrimoniale. Le stesse, pertanto, non possono essere disposte dal giudice d'ufficio, non essendo implicite alla domanda di risoluzione ma devono essere disposte a domanda di parte la quale non può essere proposta per la prima volta in grado di appello, qualora la parte abbia proposto, in primo grado, la sola domanda di risoluzione ex plurimis, Cass. civ. Sez. II, 30/05/2003, n. 7829 Cass. civ. Sez. II, 20/10/2005, n. 20257 Cass. civ. Sez. I, 03/02/2006, n. 2439 Cass. civ. Sez. III Sent., 29/01/2013, n. 2075 . Naturalmente, ove - per le ragioni anzidette - rimanga preclusa la proposizione della domanda di restituzione delle prestazioni rimaste senza causa nel medesimo giudizio in cui è stata pronunciata la risoluzione del contratto, rimane in facoltà della parte chiedere la restituzione delle prestazioni anzidette proponendo apposita domanda in separato autonomo giudizio Cass. civ. Sez. II Sent., 26/07/2016, n. 15461 . Pertanto, la domanda proposta inizialmente con procedura monitoria in quanto fondata su prova scritta dalla omissis è fondata ed i motivi di appello esaminati appaiono conseguentemente privi di pregio. 4. – La parte appellante propone altresì un finale motivo di impugnazione eccependo che la somma di Lire 70.000.000 Lire 5.000.000 + 65.000.000 fu data originariamente non già da omissis ma dal sig. omissis pertanto, poiché il contratto è stato risolto per inadempimento, ai sensi dell'art. 1458 c.c. la risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti con la conseguenza che legittimato a richiedere la restituzione delle somme pagate non può essere la società omissis che non ha comprato nulla, ma il sig. omissis che aveva personalmente versato la somma prima della stipula del contratto sub 7, atto di appello 4.1. - L'appellata deduce al riguardo la decadenza ex art. 345 c.p.c. trattandosi di nuova eccezione. Invero, poiché l'eccezione attiene alla titolarità del diritto dedotto nel processo la stessa può e deve essere esaminata d'ufficio ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c. Tuttavia, se è vero che la titolarità attiva o passiva della situazione soggettiva dedotta in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, così che grava sull'attore l'onere di allegarne e provarne i fatti costitutivi, nel caso in esame il convenuto odierno appellato ha sempre svolto in entrambi i gradi di giudizio difese incompatibili con la loro negazione e, in ogni caso, ovvero li ha contesti oltre il momento di maturazione delle preclusioni assertive o di merito Cass. civ. Sez. Unite Sent., 16/02/2016, n. 2951 Cass. civ. Sez. III Sent., 27/06/2018, n. 16904 . 4.2. – Resta evidente tuttavia che, se pur effettivamente il contratto preliminare ed i versamenti in questione sono stati effettuati da omissis amministratore della società, ma che non ha speso tuttavia tale sua qualità , tutto ciò deve inquadrarsi nel meccanismo utilizzato della stipulazione per persona da nominare. Infatti, il contratto per persona da nominare produce l'effetto della sostituzione del nominato all'originario stipulante ex tunc Cass. civ. Sez. III, 29/09/2006, n. 21254 . 4.3. - Pertanto, pur con una diversa motivazione, la sentenza di prime cure non necessita di riforma in quanto l'appello è infondato. 5. – Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. 5.1. - La liquidazione delle spese del grado di appello è dovuta secondo i parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014 n. 55 in vigore dal 3 aprile 2014 , tenuto conto in particolare dei criteri di cui all'art. 4, comma 1, del decreto citato e specialmente delle caratteristiche e del pregio dell'attività prestata, oltre che dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate con applicazione dello scaglione di valore della causa da Euro 1.101 a Euro 5.200 ed esclusione della fase di istruttoria/trattazione . 5.2. - Si prende atto della dichiarazione ex art. 93, comma 1, c.p.c. resa dall'avv. omissis procuratore della omissis nella comparsa conclusionale. 5.3. - Considerato che l'atto di appello è stato notificato il 2 maggio 2013, la società appellante è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la proposizione dell'appello v. art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228, applicabile art. 1, comma 18 ai procedimenti iniziati trenta giorni dopo l'entrata in vigore della legge 228 quindi a partire dal 31 gennaio 2013 , vale a dire alle impugnazioni proposte dopo tale data secondo la pacifica interpretazione della norma da parte della Corte di Cassazione cfr. Cass. 14515/2015, Cass. 13636/2015, Cass. 6280/2015 , posto che, in dipendenza di tale esito, ogni ulteriore accertamento è rimesso all'amministrazione giudiziaria e, quindi, al funzionario di cancelleria Cass. civ. Sez. III, 24/10/2018, n. 26907 . P. Q. M. La Corte di Appello di Napoli definitivamente pronunciando nel giudizio civile iscritto al n. 1975 dell'anno 2013, disattesa ogni contraria istanza deduzione ed eccezione così decide § a rigetta l'appello b condanna omissis al pagamento delle spese processuali del grado di appello in favore della società omissis in persona del legale rappresentante pro tempore, e con distrazione all'avv. omissis liquidate in Euro 7.607,25 di cui Euro 6.615,00 per compensi ed Euro 992,25 per spese forfettarie al 15% , oltre agli accessori fiscali e previdenziali come per legge c dà atto che per effetto della decisione assunta sussistono i presupposti, a carico dell'appellante omissis di cui all'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.