Nullità delle clausole di conto corrente: la prescrizione per la restituzione dell’indebito è decennale

L'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.

La Sez. I civile della Cassazione ordinanza numero 24051/19, depositata il 26 settembre , è tornata ad occuparsi dei rapporti di conto corrente e delle abituali contestazioni al riguardo interessi anatocistici commissioni di massimo scoperto tassi ultralegali. Il tutto con uno sguardo attento ai profili, sempre decisivi, della tempestività dell’azione per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate dal correntista alla banca e dell’onere della prova. Il caso rapporti bancari e la mancata produzione del contratto di conto corrente. Una società conveniva in giudizio una banca sollevando una serie di contestazioni inerenti il rapporto di conto corrente, condotto con modalità ritenute illegittime sotto plurimi profili applicazione, nel corso del rapporto ed in assenza di pattuizione scritta, di tassi di interessi debitori ultralegali determinati esclusivamente mediante il rinvio alle condizioni usualmente praticate su piazza applicazione di commissioni di massimo scoperto capitalizzazione trimestrale degli interessi. La società chiedeva quindi la restituzione delle somme indebitamente versate. La banca chiedeva peraltro in via riconvenzionale il pagamento del saldo debitore. II Tribunale respingeva la domanda restitutoria, ritenendo non assolti gli oneri probatori gravanti sulla correntista, per non aver allegato il contratto di conto corrente di cui aveva dedotto la nullità. Anche la domanda della banca veniva rigettata. In appello la prova del conto corrente si assume assolta. In appello il verdetto veniva ribaltato infatti, la Corte territoriale, rilevata la nullità degli accordi relativi all'applicazione di tassi di interesse ultralegale, alla commissione di massimo scoperto e alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, condannando la banca al pagamento a favore della società di un ingente somma di denaro. Quanto al contratto di corrente, i giudici d’appello ritenevano provata l'esistenza del contratto di conto, pur non essendo stato allegato un documento scritto, in base alle seguenti considerazioni l'esistenza costituiva era circostanza non contestata erano stati prodotti gli estratti conto non era richiesta la forma scritta. Tale aspetto era tra gli altri reso oggetto di uno specifico motivo di cassazione. La mancata produzione del contratto di conto corrente e il relativo onere della prova. Secondo gli Ermellini, la censura relativa all’erroneo convincimento della Corte territoriale circa la prova del conto corrente, è infondata. Infatti, la Corte di appello aveva tratto i suoi elementi di valutazione non solo dalla non contestazione dell'esistenza del contratto, ma anche dagli estratti conti prodotti in giudizio dalla correntista, nonché dalla CTU, da cui ha desunto sia l'esistenza del rapporto, sia l'andamento dello stesso nel suo svolgimento in dare ed avere, anche in relazione alle evidenze contabili delle poste oggetto di contestazione interessi ultralegali, commissione di massimo scoperto, capitalizzazione trimestrale degli interessi . L’importanza della produzione degli estratti conto. La Cassazione ricorda il principio secondo cui il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell'indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi , sicché il medesimo ha l'onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute. Quindi, secondo la Suprema Corte, la Corte di Appello aveva correttamente tratto la prova - della illegittimità delle pattuizioni afferenti ad interessi ultralegali circostanza non contestata dalla banca, che ha dedotto di aver applicato i tassi ABI , dalla mancanza di documentazione circa la pattuizione per iscritto -della illegittimità della clausola di massimo scoperto, dalla impossibilità di valutarne determinatezza e funzione, in assenza della conoscenza del contenuto della clausola ratio non censurata dalla ricorrente . Le commissioni di massimo scoperto. Quanto alle commissioni di massimo scoperto, la Corte di appello aveva desunto la prova della loro applicazione in base agli estratti conto prodotti della correntista e alla elaborazione eseguita dal CTU, escludendo tuttavia la legittimità delle commissioni stesse in ragione della impossibilita di valutarne determinatezza e funzione, stante la assenza di conoscenza del contenuto della clausola ratio non censurata dalla ricorrente . L’onere della prova il principio della vicinanza. Più in generale, quanto alle singole clausole, se è vero che anche nelle azioni di accertamento negativo l'onere della prova incombe sull'attore, tuttavia quanta ai fatti negativi nella specie, inesistenza di convenzione scritta di interessi ultralegali e di previsione contrattuale sufficientemente specifica di commissioni di massimo scoperto , trova applicazione il principio di vicinanza o inerenza della prova, che ribalta l'onere sul convenuto principio teorizzato frequentemente nella giurisprudenza di legittimità e applicato anche dalle Sezioni Unite, nella sentenza numero 13533 del 30/10/2001 sulla prova dell'inadempimento . L’eccezione di prescrizione quinquennale dell’azione di ripetizione dell’indebito. La banca aveva fatto valere anche una eccezione di prescrizione quinquennale dell’azione di restituzione dell’indebito. Eccezione che, sempre secondo gli Ermellini, era stata pure correttamente rigettata dalla Corte territoriale. Infatti, deve trovare piena applicazione il principio secondo cui l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Pertanto, ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere ove ritenuto indebito il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell' accipiens .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 10 maggio – 26 settembre 2019, n. 24051 Presidente De Chiara – Relatore Tricomi Ritenuto che Con atto di citazione del 2003 la società MA.GO. SRL di seguito, la società , Ma.Go. e Me.Ma. avevano convenuto la Banca Popolare di Milano SCARL dinanzi al Tribunale di Velletri. Avevano dedotto, all’uopo, che la società aveva intrattenuto presso la banca il rapporto di conto corrente n. aperto il 12/1/1986 e estinto il 4/8/2003 , assistito da fideiussione prestata da Ma.Go. e Me.Ma. , secondo modalità illegittime perché la banca, nel corso del rapporto ed in assenza di pattuizione scritta, aveva applicato tassi di interesse debitori ultralegali non pattuiti per iscritto - perché determinati esclusivamente mediante il rinvio alle condizioni usualmente praticate su piazza-, la commissione di massimo scoperto nonché la capitalizzazione trimestrale degli interessi e chiedevano la restituzione delle somme indebitamente versate. La banca, costituitasi, aveva chiesto il rigetto delle domande e proposto domanda riconvenzionale per ottenere la condanna della correntista al pagamento del saldo debitore. Il Tribunale aveva respinto la domanda restitutoria, ritenendo non assolti gli oneri probatori gravanti sulla correntista, che non aveva allegato il contratto di conto corrente di cui aveva dedotto la nullità aveva respinto anche la domanda riconvenzionale. La società aveva proposto appello e la banca ne aveva chiesto il rigetto proponendo appello incidentale la Corte aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti e si erano costituiti in giudizio, articolando un proprio appello incidentale, Me.Ma. , Ma.Pa. , Ma.El. e Ma.Ca. la prima in proprio e quale erede di Ma.Go. , gli ultimi tre quali eredi di Ma.Go. . La Corte di appello di Roma, in accoglimento dell’appello principale proposto dalla società e, per quanto di ragione, dell’appello incidentale proposto da Me.Ma. , Ma.Pa. , Ma.El. e Ma.Ca. , rilevata la nullità degli accordi relativi all’applicazione di tassi interesse ultralegale, alla commissione di massimo scoperto e della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi applicati alla correntista, ha condannato la banca al pagamento a favore della società di Euro 568.980,94=, oltre interessi dalla domanda giudiziale al saldo. In particolare la Corte di appello ha ritenuto ammissibile l’appello incidentale tardivo proposto dai garanti, disattendendo l’eccezione della banca inammissibile l’eccezione sollevata dalla banca circa la dedotta nullità dell’atto di citazione in primo grado provata l’esistenza del contratto di conto corrente tra le parti, pur non essendo stato allegato un documento scritto nè dalla correntista nè dalla banca, sulla considerazione che l’esistenza costituiva circostanza non contestata, erano stati prodotti gli estratti conto e non era richiesta la forma scritta. Quindi, passando all’esame delle pattuizioni concernenti gli interessi, la Corte di appello, sulla premessa che la pattuizione di interessi ultralegali avrebbe richiesto la forma scritta ex art. 1284 c.c., che di ciò non vi era prova e che la banca aveva ribadito di avere applicato i tassi di interesse nei limiti concordati in sede ABI, ha ritenuto che gli interessi dovessero essere rideterminati nella misura legale escludendo anche l’applicazione del tasso sostitutivo di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117 perché irretroattivo in assenza di prova scritta da parte della banca dell’accordo in merito all’applicazione dei tassi uso piazza , sulla considerazione che, essendo pacifica l’esistenza e le condizioni di svolgimento del rapporto, sarebbe stato onere della banca giustificare la legittimità di quelle poste di cui era stata denunciata la nullità fol.15 della sent. imp. . Medesima decisione ha riguardato anche la commissione di massimo scoperto sulla considerazione che, stante la sua sostanziale assimilabilità agli interessi passivi, la banca, per provarne la legittimità, avrebbe dovuto produrre la relativa pattuizione, al fine di dare conto del contenuto e dimostrare che era esente da ogni possibile rilievo di nullità sia sul piano della determinatezza che della funzione negoziale fol. 20 della sent. imp. . La Corte di appello ha, infine, ribadito l’illegittimità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi già rilevata dal Tribunale. La Corte territoriale ha poi respinto l’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione sollevata dalla banca, ribadendo l’applicabilità nel caso della prescrizione decennale ed osservando che l’azione era stata proposta entro il decennio dalla data di chiusura del conto e che non era nemmeno stata allegata la natura solutoria dei versamenti effettuati dalla correntista nel corso del tempo. Ha respinto anche l’eccezione di nullità della CTU proposta dalla banca, perché non sollevata tempestivamente in primo grado. Ha provveduto infine a determinare l’indebito, condannando la banca al pagamento in favore della società e provvedendo sulle spese di lite dei due gradi di giudizio. La Banca Popolare di Milano SCARL propone ricorso con nove mezzi nei confronti della società MA.GO. SRL e di Me.Ma. , quale garante ed erede di Ma.Go. , Ma.Pa. , Ma.El. e Ma.Ca. , quali eredi di Ma.Go. , che replicano con controricorso. La società Cedab SRL ha depositato comparsa di costituzione ex art. 110 c.p.c. quale incorporante la Ma.Go. SRL. Tutte le parti costituite hanno depositato memoria. Considerato che 1. Preliminarmente va accolta l’eccezione di inammissibilità della produzione documentale versata in atti dai controricorrenti, in uno alla memoria, perché avvenuto in violazione dell’art. 372 c.p.c., comma 2. 2.1. Con il primo motivo si denuncia la nullità del procedimento per ritenuta ammissibilità dell’appello incidentale dei garanti e la violazione e falsa applicazione dell’art. 334 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto ammissibile l’appello incidentale proposto dai chiamati ad integrazione del contraddittorio, osservando che la società aveva introdotto l’appello principale con atto di citazione notificato alla banca il 29/10/2009 entro il termine di un anno e quarantasei giorni dal deposito della sentenza impugnata, pubblicata il 7/8/2008 , che la Corte di appello aveva disposto l’integrazione del contraddittorio all’udienza del 16/2/2010 e che i garanti si erano costituiti con comparsa depositata il 27/12/2010, articolando un proprio appello incidentale. La ricorrente, sostiene, che nel caso specifico l’impugnazione incidentale tardiva non era ammissibile, non ravvisandosi un interesse connesso all’appello principale svolto dalla società, atteso che la stessa Corte di appello aveva precisato che era esclusa la legittimazione dei garanti a richiedere la restituzione delle somme da loro non versate richiama la giurisprudenza in tema di impugnazione parziale ed acquiescenza e rammenta che nelle cause scindibili l’autonomia dei rapporti implica il pieno dispiegarsi del principio di consumazione dell’impugnazione, ove non esercitata tempestivamente. 2.2. Il motivo è infondato e va respinto. 2.3. La Corte territoriale ha correttamente applicato il principio secondo il quale Sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale. Cass. Sez. U. n. 24627 del 27/11/2007 in tema, Cass. n. 15770 del 15/06/2018 Cass. n. 23396 del 16/11/2015 invero, a seguito della proposizione dell’appello principale, la banca aveva spiegato appello incidentale, di guisa che anche l’eventuale accoglimento dell’appello incidentale avrebbe potuto mettere in discussione l’assetto di interessi che derivava dalla sentenza, a cui i garanti avevano ritenuto di prestare inizialmente acquiescenza, sentenza che aveva respinto anche la domanda riconvenzionale della banca riproposta con l’appello incidentale, circostanza che la ricorrente banca trascura di considerare. 3.1. Con il secondo motivo si ripropone l’eccezione di nullità dell’atto di citazione in primo grado e la violazione dell’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4, e art. 164 c.p.c., commi 4 e 5. La tesi della ricorrente è che non vi è stata sanatoria per effetto della integrazione ordinata dal giudice, perché questi aveva disposto, con l’unico provvedimento, anche lo scambio di memorie ex art. 180 c.p.c. all’epoca vigente, scambio che, invece, avrebbe dovuto essere disposto solo dopo l’integrazione della citazione, perché solo all’esito di questa poteva procedersi alla trattazione della causa. 3.2. Il motivo è infondato. 3.3. Osserva la Corte che, nel caso in esame in cui il giudizio venne introdotto con atto di citazione notificato il 3/9/2003, il giudice di primo grado, ravvisata l’incertezza in merito alla domanda proposta, con ordinanza del 15/12/2003 ne aveva ordinato l’integrazione assegnando all’uopo un termine perentorio. L’art. 164 c.p.c., u.c., prevede che il giudice fissi l’udienza ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 2, e si applichi l’art. 167 c.p.c. tale disposizione, ratione temporis rinviava all’art. 183 c.p.c., u.c., che, anteriormente alla riforma del 2005, così stabiliva Se richiesto, il giudice fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte. Concede altresì alle parti un successivo termine perentorio non superiore a trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dell’altra parte e per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime. Con la stessa ordinanza il giudice fissa l’udienza per i provvedimenti di cui all’art. 184. . La disposizione di cui all’art. 164 cit. in esame, pur di non chiara formulazione, è stata e va intesa nel senso che il giudice dovesse fissare la prima udienza di trattazione, assegnando un termine all’attore per provvedere all’integrazione ed un successivo termine al convenuto per replicare, il che nel caso in esame è stato fatto dal tribunale. 3.4. Tutto ciò in disparte dalla evidente carenza di interesse in merito alla doglianza, atteso che la stessa ricorrente assume che la memoria autorizzata non aveva comportato alcuna integrazione della domanda, ma solo una rimodulazione delle conclusioni dell’originario atto di citazione e non illustra il pregiudizio subito dalla difesa. 4.1. I motivi terzo, quarto e quinto possono essere esaminati congiuntamente per connessione. 4.2.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte di appello ritenuto fornita la prova dell’esistenza del contratto di conto corrente mediante la produzione degli estratti conto, sulla preliminare considerazione che non era richiesta una forma scritta ad substantiam e che era pacifico che fosse stato intrattenuto tra le parti, nonché sulla ulteriore considerazione che la banca non aveva negato di aver praticato tassi ultralegali, ma aveva solo rivendicato la correttezza del proprio operato. Secondo la ricorrente, trattandosi di accertamento negativo preliminare alla domanda restitutoria, gli oneri di allegazione e prova circa l’inesistenza della causa debendi dovevano ritenersi tutti a carico della parte che aveva agito in giudizio si duole quindi che la Corte territoriale, ritenuta incontestata l’esistenza del contratto e la misura ultralegale degli interessi sulla scorta della difesa della banca, aveva ritenuto provati i fatti senza che la parte attrice vi avesse provveduto processualmente. 4.2.2. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla prova della pattuizione di un tasso di interesse in misura ultralegale in riferimento alla L. n. 154 del 1992 ed al D.Lgs. n. 385 del 1993 e si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto, alla luce di queste ultime due disposizioni che prevedevano in via non retroattiva la nullità delle clausole contrattuali di determinazione degli interessi con rinvio agli usi, tenerne conto in riferimento al contratto sorto nel 12/1/1986, ritenendo legittimi i tassi applicati, in assenza della prova, anche presunta, dell’applicazione di tassi di interesse in misura maggiore di quelli praticati su piazza. 4.2.3. Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. in merito alla prova della pattuizione di commissione di massimo scoperto. 4.3. I detti motivi sono infondati e vanno respinti. 4.4. La ricorrente trascura che la Corte di appello ha tratto i suoi elementi di valutazione non solo dalla non contestazione dell’esistenza del contratto, ma anche dagli estratti conti conto prodotti in giudizio dalla correntista e dalla CTU, da cui ha desunto sia l’esistenza del rapporto, che l’andamento dello stesso nel suo svolgimento in dare ed avere, anche in relazione alle evidenze contabili delle poste oggetto di contestazione interessi ultralegali, commissione di massimo scoperto, capitalizzazione trimestrale degli interessi . Ciò in linea con quanto stabilito da questa Corte, secondo la quale il correntista, che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi , sicché il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute. Cass. n. 24948 del 23/10/2017 . Correttamente, quindi, la Corte di appello ha tratto la prova della illegittimità delle pattuizioni afferenti ad interessi ultralegali circostanza non contestata dalla banca, che ha dedotto di aver applicato i tassi ABI - dalla mancanza di documentazione circa la pattuizione per iscritto e della illegittimità della clausola di massimo scoperto dalla impossibilità di valutarne determinatezza e funzione, in assenza della conoscenza del contenuto della clausola, ratio che non risulta censurata. 4.5. Contrariamente a quanto sembra assumere la ricorrente, la Corte di appello ha ritenuto, non provato l’accordo contrattuale in merito all’applicazione di tassi ultralegali in assenza della pattuizione scritta ex art. 1284 c.c. e - di contro - ha ritenuto provata l’applicazione di tassi ultralegali sulla scorta degli estratti conto e della CTU, oltre che dell’ammissione della banca di avere praticato tassi uso piazza e quindi ultralegali pertanto non essendo stato provato l’accordo scritto sul punto, correttamente la Corte di appello ha ritenuto non integrati i presupposti per l’applicazione delle disposizioni richiamate, che presuppongono, pur sempre, che tra le parti sia intercorso un accordo di cui, nello specifico, non è stata data la prova. Anche in relazione alla commissione di massimo scoperto, la Corte di appello ha desunto la prova della sua applicazione in base agli estratti conto prodotti della società e alla elaborazione eseguita dal CTU, escludendo tuttavia la legittimità della commissione stessa in ragione della impossibilità di valutarne determinatezza e funzione, stante la assenza di conoscenza del contenuto della clausola, ratio che - come già osservato - non risulta censurata. 4.6. A ciò va aggiunto, quanto alle singole clausole, che, se è vero che anche nelle azioni di accertamento negativo l’onere della prova incombe sull’attore, tuttavia quanto ai fatti negativi nella specie, inesistenza di convenzione scritta di interessi ultralegali e di previsione contrattuale sufficientemente specifica di commissioni di massimo scoperto trova applicazione il principio di vicinanza o inerenza della prova, che ribalta l’onere sul convenuto principio teorizzato frequentemente nella giurisprudenza di legittimità e applicato anche dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 13533 del 30/10/2001 sulla prova dell’inadempimento . 5.1. Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2948 c.c. in merito all’eccezione di prescrizione quinquennale dell’azione di ripetizione dell’indebito. 5.2. Il motivo è infondato perché L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’”accipiens . Cass. Sez. U. n. 24418 del 02/12/2010 Cass. n. 6857 del 24/03/2014 , ciò in quanto il pagamento dell’indebito, oggetto della pretesa restitutoria, è costituito da ciascuna rimessa della correntista - evidentemente non periodica - e non dall’addebito degli interessi illegittimamente computati. 6.1. Con il settimo motivo si denuncia la nullità della sentenza come conseguenza della nullità della CTU e la violazione e falsa applicazione dell’art. 198 c.p.c 6.2. Il motivo è inammissibile perché non ha attinenza con la ratio decidendi. 6.3. La Corte di appello di appello correttamente ha ritenuto inammissibile l’eccezione di nullità della CTU espletata in primo grado per non essere stata tempestivamente sollevata nel corso del giudizio di primo grado e cioè, trattandosi di eccezione in senso stretto nel termine di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2 ovvero, a pena di decadenza, nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito fol.22 della sent.imp. tale accertamento non è smentito dalla ricorrente che assume di averla sollevata in sede di precisazione delle conclusioni all’udienza del 15/1/2008 e non già nei termini decadenziali dianzi indicati Cfr. Cass. n. 4448 del 25/02/2014 Cass. n. 19427 del 03/08/2017 , di guisa che la doglianza risulta fuori centro. 7.1. Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2967 c.c. e dell’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4, per mancata allegazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della domanda, allegazione non surrogabili mediante CTU. 7.2. Il motivo è inammissibile poiché si sostanzia, per un verso, in una contestazione in merito alle modalità di espletamento della CTU, per la quale valgono gli argomenti già svolti sub 6.3. e, per altro verso, in una critica in fatto a quanto accertato dalla Corte di appello di cui si sollecita il riesame. 8.1. Con il nono motivo si denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, in merito alla liquidazione delle spese di lite, anche in riferimento alla posizione dei garanti ed alla parziale compensazione attuata a loro carico. 8.2. Il motivo è inammissibile. Occorreva, sotto il profilo della violazione di legge, dedurre la violazione dei massimi tariffari. L’insufficiente motivazione, poi, non può più essere dedotta come vizio di legittimità dopo l’ultima riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5. 9. In conclusione il ricorso va rigettato perché infondati i motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto ed inammissibili i motivi settimo, ottavo e nono. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Si dà atto - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. - Rigetta il ricorso - Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 15.000,00=, oltre ad Euro 200,00= per esborsi, alle spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed agli accessori di legge - Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.