Compravendite simulate: interessante e complesso caso privo di precedenti di legittimità (fino ad oggi)

Anche in un giudizio di simulazione il giudice deve rilevare d’ufficio l'esistenza di una diversa causa di nullità della donazione dissimulata e, se non è più ammissibile una espressa domanda di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa. Ma deve parimenti accertare la nullità nella motivazione che acquisisce efficacia di giudicato tra le parti in assenza di sua impugnazione.

La vicenda. Attesa la novità della questione per come ammesso dalla stessa Suprema Corte sentenza n. 22457/19, depositata il 9 settembre la seguente diatriba familiare, in materia di compravendite simulate e donazioni dissimulate tra genitori e figli, giungeva sino al giudizio per cassazione. Tutto iniziava, in verità, allorquando due donne convenivano dinanzi al Tribunale competente i propri genitori, esponendo che con due atti di compravendita gli anziani ascendenti avevano venduto alla propria figlia ed al marito -rispettivamente sorella e cognato delle ricorrenti anche essi convenuti, alcuni immobili. Deducevano, però, di avere interesse a far accertare la natura simulata di quegli atti, potendosi avvalere del rimedio della opposizione alla donazione ex art 563 c.c., essendo ancora in vita i pretesi donanti, e così conservare all'esito del vittorioso esperimento dell'azione di riduzione, l'azione di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti dei beni donati. Dunque, poiché gli atti di compravendita erano delle vendite che dissimulavano delle donazioni, le donne chiedevano all’Autorità giudiziaria di pervenire all'accertamento della natura fittizia delle stesse in ragione di una serie di elementi indiziari quali, tra gli altri, il rapporto di parentela tra le parti contraenti, l'affermazione contenuta in contratto secondo cui il prezzo era stato integralmente pagato prima della stipula degli atti, la incongruità del prezzo pattuito rispetto all'effettivo valore dei beni venduti. Il Tribunale, nonostante la resistenza dei convenuti, accoglieva la domanda ritenendo che le vendite dissimulavano delle donazioni. Ma successivamente, la Corte di Appello a fronte del motivo di appello degli originari convenuti che evidenziavano che in realtà le donazioni erano affette da nullità perché l'atto dissimulato non rispettava i requisiti di forma previsto per l'atto di donazione carenza dell’indicazione di testimoni accoglieva il gravame di donanti genitori e donatari germana e consorte rigettando la domanda attorea. A tal fine la Corte territoriale osservava che la domanda proposta era da intendersi come volta all’accertamento della simulazione relativa oggettiva, ma che non poteva essere accolta in ragione della nullità per vizio di forma dell'atto dissimulato. Era a questo punto che la vicenda perveniva alla conoscenza della Suprema Corte, stante il ricorso presentato dalle originarie ricorrenti. I motivi di doglianza del ricorso per cassazione. Le originarie ricorrenti sostenevano che, una volta introdotta la domanda di simulazione relativa oggettiva, l'accertamento di una causa di nullità del negozio dissimulato avrebbe dovuto condurre alla relativa declaratoria, ancorché si fosse riscontrato che il contratto dissimulato era privo dei requisiti di forma ovvero di sostanza. Ne derivava che a fronte della deduzione di nullità del negozio dissimulato di cui all'atto di appello la Corte distrettuale avrebbe dovuto dichiarare il gravame inammissibile per difetto di interesse oppure avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a ricalibrare il contenuto della pronunzia, accertando la inidoneità dell'atto dissimulato a produrre i suoi effetti. Ma avendo operato diversamente, la Corte di appello era incorsa i nella violazione e falsa applicazione delle norme in tema di azione di simulazione relativa e di effetti del suo accertamento in relazione al negozio dissimulato nonchè altro motivo di doglianza strettamente connesso al primo ii nella violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di rilievo di ufficio delle nullità. Con riferimento a tale ultimo motivo di ricorso secondo la tesi delle ricorrenti è impossibile che l'ordinamento possa tollerare che un negozio nullo continui a produrre i suoi effetti, cosicché a fronte del riscontro della carenza di testimoni per l'atto di donazione, la sentenza non doveva né poteva rigettare la domanda ma doveva assicurarsi -al contrario che il contatto non continuasse a produrre i suoi illegittimi effetti. La Corte di Cassazione, dal proprio canto, risolve la annosa questione rigettando la richiesta di tutela delle ricorrenti ma fornendo delle importanti precisazioni nelle motivazioni. Gli Ermellini, prendendo le mosse dal contenuto della domanda iniziale, osservano che la stessa essendo ancora in vita i pretesi donanti mirava a far accertare la effettiva natura giuridica delle compravendite intercorse tra i convenuti, onde dimostrare che si trattava di donazioni, e ciò non al fine di ottenere la relativa inefficacia, quanto al diverso scopo di poter procedere alla trascrizione dell'atto di opposizione alla donazione di cui al quarto comma dell'art. 563 c.c. ed al fine di preservare l'azione di restituzione verso i terzi acquirenti, una volta intervenuto l'accoglimento dell'azione di riduzione. In altri termini, le ricorrenti avevano inteso promuovere la domanda di simulazione relativa al fine di far emergere che la vendita -in realtà non era voluta e che dietro la stessa si celava una donazione, ma ai fini dell'accoglimento della domanda come detto strumentale alla trascrizione del diritto di opposizione. Tuttavia, per la Suprema Corte era fondamentale anche accertare che la donazione dissimulata fosse valida e come tale necessitante di una manifestazione di volontà idonea a preservare i diritti dei soggetti contemplati dall'art. 563 c.c. nelle ipotesi di successiva alienazione del bene donato. Per questo correttamente la Corte di Appello aveva rilevato la nullità degli atti dissimulati non essendole, però, consentito -in assenza di una domanda di accertamento della nullità già avanzati in primo grado di addivenire alla relativa declaratoria in grado di appello, alla luce della regola che vieta la proposizione di domande nuove in grado di appello e che opera anche nel caso in cui il rilievo della nullità avvenga d'ufficio. Infatti, laddove il rilievo della nullità -intervenuto in occasione della disamina di una domanda volta a far valere una diversa patologia negoziale si realizza in assenza di una domanda di nullità da avanzare esclusivamente nel corso del giudizio di primo grado, il giudice deve rigettare la domanda proposta sebbene dando atto nella motivazione del fatto che il rigetto è determinato dal rilievo di una causa di nullità del negozio, la quale però non può essere dichiarata, mancando appunto un espressa richiesta delle parti formulata nel rispetto delle regole di diritto. Per la Suprema Corte l'accertamento della nullità, ancorché non sfociato in una dichiarazione nel dispositivo, acquisisce efficacia di giudicato tra le parti, precludendo in un successivo giudizio che possa essere posto nuovamente in discussione. Il principio di diritto in materia. Sulla scorta di tutte le suesposte ragioni, la Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui il giudice, dinanzi al quale sia stata proposta una azione di simulazione di una compravendita in quanto dissimulante una donazione, azione finalizzata alla successiva trascrizione dell'atto di opposizione ai sensi dell'art. 563, comma 4, c.c., deve rilevare di ufficio l'esistenza di una diversa causa di nullità della donazione e, ove sia già pendente il giudizio di appello e sia perciò ormai inammissibile una espressa domanda di accertamento in tal senso della parte interessata deve rigettare l'originaria pretesa, previo accertamento della nullità nella motivazione, peraltro con efficacia di giudicato in assenza di sua impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 giugno – 9 settembre 2019, n. 22457 Presidente Scalisi – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione 1. Le odierne ricorrenti convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Varese - sezione distaccata di Luino, i genitori Le.Pi. e S.R. , nonché la sorella L.K. ed il cognato B.R. , esponendo che con due atti di compravendita del 1 ottobre 2007 i genitori avevano venduto alla sorella ed al di lei coniuge degli immobili siti in , al prezzo dichiarato di Euro 545.000,00. Rilevavano che in realtà si trattava di vendite che dissimulavano delle donazioni, potendosi pervenire all’accertamento della natura fittizia della vendita in ragione di una serie di elementi indiziari, quali, tra gli altri, il rapporto di parentela tra le parti contraenti, l’affermazione contenuta in contratto secondo cui il prezzo era stato integralmente pagato prima della stipula degli atti, l’incongruità del prezzo pattuito rispetto all’effettivo valore dei beni venduti. Deducevano quindi di avere interesse a far accertare la natura simulata degli atti, al fine di potersi avvalere, essendo ancora in vita i pretesi donanti, del rimedio dell’opposizione alla donazione di cui all’art. 563 c.c., onde poter conservare, all’esito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, l’azione di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti dei beni donati. Nella resistenza dei convenuti che assumevano invece che le vendite fossero reali, il giudice adito con la sentenza n. 1036 del 18/9/2015 accoglieva la domanda, ritenendo che le vendite in realtà dissimulavano delle donazioni. La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 4037 del 27/10/2016, a fronte del motivo di appello dei convenuti, i quali evidenziavano che in realtà le donazioni erano affette da nullità, in quanto l’atto dissimulato non rispettava i requisiti di forma previsti per l’atto di donazione, accoglieva il gravame, rigettando la domanda attorea. A tal fine osservava che la domanda proposta era da intendersi come volta all’accertamento della simulazione relativa oggettiva, ma che non poteva essere accolta in ragione della nullità per vizi di forma dell’atto dissimulato. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso L.P. e L.M.G. sulla base di tre motivi illustrati anche da memorie. Gli intimati hanno resistito con controricorso. La Sesta sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 494 del 10 gennaio 2019 ha ritenuto opportuna la trattazione della causa alla pubblica udienza. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza. 2. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 281 sexies e 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 111 Cost. ed all’art. 6 della CEDU in quanto la sentenza impugnata è sostanzialmente priva di motivazione si lamenta altresì la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., per non avere la Corte di Appello assegnato alle parti i termini necessari per la trattazione della questione della nullità della donazione dissimulata. Il motivo è infondato. A tal fine preme rilevare che la sentenza impugnata risulta depositata in data successiva all’entrata in vigore della riforma di cui alla L. n. 134 del 2012, le cui conseguenze, attesa la formulazione del motivo di ricorso in tema di vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono state ben delineate dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite. Queste, infatti, con la sentenza n. 8053 del 2014 hanno precisato che la novella, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, deve intendersi come volta alla riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali . Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Così come delineato il vizio di carenza di motivazione, deve escludersi che lo stesso ricorra nel caso in esame, in quanto i giudici di appello, ancorché con motivazione sintetica, hanno comunque dato contezza delle ragioni in base alle quali sono pervenuti al rigetto della domanda. Infatti, dopo avere proceduto a qualificare la domanda proposta come intesa all’accertamento della simulazione relativa oggettiva, mirando a far appurare che, dietro l’apparenza della vendita, si nascondeva il reale intento delle parti di porre in essere una donazione, hanno ritenuto che fosse ostativa all’accoglimento della domanda de qua la circostanza che l’atto di vendita fosse stato redatto senza l’assistenza di testimoni, essendo quindi carente, come invece richiesto dall’art. 1414 c.c., il requisito di forma necessario per la validità dell’atto dissimulato. Quanto invece alla diversa denuncia di violazione dell’art. 183 c.p.c., in disparte l’applicabilità della norma de qua per volontà del legislatore al giudizio di primo grado, ed evidenziato che anche in grado di appello l’esigenza di assicurare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio è presidiata dall’art. 101 c.p.c., nel caso in esame è carente il requisito del rilievo d’ufficio della questione della nullità della donazione dissimulata, emergendo, infatti, che il profilo concernente l’assenza dei testimoni in occasione della stipula dell’atto simulato, e la sua ripercussione sulla validità della donazione dissimulata, costituiva oggetto del motivo di appello principale, sicché le appellate erano espressamente sollecitate dalla stessa proposizione del gravame a prendere posizione sul punto. 3. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 c.c. e segg., in tema di azione di simulazione relativa e di effetti del suo accertamento in relazione al negozio dissimulato. Sostengono le ricorrenti che una volta introdotta la domanda di simulazione relativa oggettiva, l’accertamento di una causa di nullità del negozio dissimulato deve condurre alla relativa declaratoria, ancorché si riscontri che il contratto dissimulato sia privo dei requisiti di forma ovvero di sostanza. Ne deriva che a fronte della deduzione di nullità del negozio dissimulato di cui all’atto di appello, la Corte distrettuale avrebbe dovuto dichiarare il gravame inammissibile per difetto di interesse, ovvero avrebbe dovuto indurre la Corte a ricalibrare il contenuto della pronunzia, accertando l’inidoneità dell’atto dissimulato a produrre i suoi effetti. Il terzo motivo denuncia invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 c.c. e segg. e artt. 1418 c.c. e segg., lamentandosi la violazione dei principi in tema di rilievo d’ufficio della nullità. Ed, infatti, l’ordinamento non può tollerare che un negozio nullo possa continuare a produrre i suoi effetti, così che, a fronte del riscontro della carenza di testimoni per l’atto di donazione, la sentenza non poteva rigettare la domanda, assicurando in tal modo che il contratto continui a produrre i suoi effetti. I due motivi che vanno congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati nei termini di cui alla motivazione che segue. Giova a tal fine prendere le mosse dal contenuto della stessa domanda attorea che, essendo ancora in vita i pretesi donanti, mirava a far accertare l’effettiva natura giuridica delle compravendite intercorse tra i convenuti, onde dimostrare che si trattava di donazioni, e ciò, non già al fine di ottenerne l’inefficacia trattandosi di effetto ricollegabile all’azione di riduzione, esperibile però solo in epoca successiva all’apertura della successione dei donanti , quanto al diverso scopo di poter procedere alla trascrizione dell’atto di opposizione alla donazione, di cui dell’art. 563 c.c., comma 4, ed al fine di preservare l’azione di restituzione verso i terzi acquirenti, una volta intervenuto l’accoglimento dell’azione di riduzione come detto, da proporsi in epoca successiva alla morte dei donanti . L’effetto della novella del 2005, con le modifiche apportate all’art. 563 c.c., come già prospettato in dottrina e poi chiarito da successive pronunce di merito, è stato quello di far ritenere ammissibile l’esercizio dell’azione di simulazione da parte dei futuri legittimari, allorquando la successione non si è ancora aperta, conclusione questa evidentemente innovativa rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale cfr. Cass. n. 2968/1987 che riteneva inammissibile un’azione siffatta, essendo ancora in vita l’ereditando. La questione è pervenuta anche all’esame di questa Corte che nella sentenza n. 11012/2013 ha avuto modo di affermare, proprio alla luce dell’introduzione del diritto di opposizione in favore del coniuge e dei parenti in linea retta del donante, che deve reputarsi invece ammissibile un’azione di simulazione, non in quanto direttamente finalizzata all’esercizio dell’azione di riduzione, che presuppone, secondo l’insegnamento di questa Corte Cass., 30 luglio 2004, n. 14562 Cass., 21 febbraio 2007, n. 4021 , l’apertura della successione dell’alienante, ma al diverso fine di notificare - e poi trascrivere - l’atto di opposizione previsto dal richiamato art. 563 c.c., comma 4, che è preordinato alla sospensione del termine per l’eventuale proposizione della domanda di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti, e non richiede, quindi, l’accertamento anche dell’effettiva lesione delle ragioni del legittimario il cui riscontro presuppone l’apertura della successione e la possibilità quindi di individuare la quota di riserva all’esito delle operazioni di riunione fittizia . Tuttavia, per poter formulare l’opposizione, il coniuge o i parenti in linea retta del simulato alienante debbono previamente aver esperito con successo l’azione di simulazione relativa oppure, secondo una diversa tesi, pur manifestatasi nella giurisprudenza di merito, avere proposto e trascritto la domanda di simulazione onde far accertare che le parti abbiano effettivamente inteso realizzare una donazione, nei cui confronti è unicamente previsto l’atto di opposizione, dovendosi quindi reputare ammissibile solo in tale limitato ambito la proponibilità dell’azione di simulazione ancor prima dell’apertura della successione dell’alienante. Il precedente citato, che il Collegio mostra di condividere, anche perché in linea con l’opinione della più accreditata dottrina intervenuta sul tema, ritiene poi che debba fornirsi risposta positiva ai quesito circa la proponibilità dell’azione di restituzione, nei confronti di terzi, da parte del legittimario che abbia vittoriosamente agito in riduzione, nei limiti di cui all’art. 563 c.c., comma 1, anche nell’ipotesi di atto formalmente oneroso che dissimuli una donazione, non potendosi invece reputare estensibile alla diversa ipotesi di cd. donazione indiretta, alla luce di quanto affermato da Cass., 12 maggio 2010, n. 11496, che ha appunto escluso che in tal caso al legittimario sia data anche una tutela recuperatoria di carattere reale, essendo i suoi diritti assicurati solo dall’obbligo del donatario di reintegrare la quota lesa con il suo controvalore economico. Analogamente deve poi escludersi che sia possibile in vita del donante esercitare l’azione di simulazione assoluta volta a far valere l’apparente fuoriuscita del bene dal suo patrimonio ovvero l’accertamento di una donazione dissimulata ma compiuta mediante un atto simulato che non abbia i requisiti di forma o di sostanza prescritti per l’atto dissimulato, in quanto, se il presupposto legittimante eccezionalmente l’azione di simulazione in vita dell’ereditando è l’esigenza di assicurare la trascrivibilità dell’atto di opposizione, è evidente che a fronte di un atto di donazione affetto da nullità, come nel caso in esame, non vi sia possibilità di trascrivere l’opposizione, e che quindi non sia consentito derogare al generale principio dell’inammissibilità delle azioni di simulazione ad opera del futuro legittimario. In tal senso rileva anche che solo in caso di donazione valida, sebbene dissimulata, la tutela del legittimario è affidata all’utile esercizio dell’azione di riduzione ed al successivo esperimento dell’azione di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti, laddove, nel diverso caso di donazione dissimulata affetta da nullità, essendo il bene interessato mai fuoriuscito dal patrimonio del de cuius, il legittimario recupera il bene stesso nella sua integralità, e non anche nei limiti in cui risulti lesa la sua quota di legittima. Avendo, quindi, le attrici inteso promuovere la domanda di simulazione relativa al fine di fare emergere non solo che la vendita in realtà non era voluta e che dietro la stessa si celava una donazione, ai fini dell’accoglimento della domanda, come detto, strumentale alla trascrizione del diritto di opposizione, era necessario anche accertare che la donazione dissimulata fosse valida, e come tale necessitante di una manifestazione di volontà idonea a preservare i diritti dei soggetti contemplati dall’art. 563 c.c., nell’ipotesi di successiva alienazione del bene donato. Correttamente, quindi, e su sollecitazione degli stessi appellanti, la Corte d’Appello, in conformità di quanto precisato dall’intervento delle Sezioni Unite di cui alle sentenze nn. 26342 e 26243 del 2014, ha rilevato la nullità degli atti dissimulati, non trovando tale dovere limitazione in ragione del grado di giudizio in cui trovasi la causa, non essendole però consentito, anche, in assenza di una domanda di accertamento della nullità già avanzata in primo grado, addivenire alla relativa declaratoria in grado di appello, alla luce della regola che vieta la proposizione di domande nuove in grado di appello, e che opera anche nel caso in cui il rilievo della nullità avvenga d’ufficio. Per tale ipotesi le Sezioni Unite hanno chiarito nei precedenti citati che, laddove il rilievo della nullità intervenga in occasione della disamina di una domanda volta a far valere una diversa patologia negoziale, in assenza di una domanda di nullità, da avanzare però esclusivamente nel corso del giudizio di primo grado, il giudice deve rigettare la domanda proposta, sebbene dando atto in motivazione del fatto che il rigetto è determinato dal rilievo di una causa di nullità del negozio, che però non può essere dichiarata, mancando appunto un’espressa richiesta delle parti formulata nel rispetto delle regole di rito. In tal caso però, ed in ciò si segnala la differenza dell’intervento delle Sezioni Unite del 2014 rispetto al primo precedente delle stesse Sezioni Unite 2012, che pur aveva anticipato parte delle soluzioni in punto di rilievo officioso della nullità negoziale Cass. S.U. n. 14828/2012 , l’accertamento della nullità, ancorché non sfociato in una dichiarazione in dispositivo, acquisisce efficacia di giudicato tra le parti, precludendo in un successivo giudizio che possa essere posto nuovamente in discussione. Tornando quindi al caso in esame, in assenza di una domanda di nullità già avanzata nel corso del giudizio di primo grado che deve reputarsi inammissibile per difetto di interesse, alla luce di quanto sopra precisato circa l’ammissibilità dell’atto di opposizione ex art. 563 c.c., solo per le donazioni valide, e considerato altresì che il legittimario di norma nutre un’aspettativa di mero fatto prima dell’apertura della successione, , e tenuto conto del nesso di strumentalità che avvince la domanda di simulazione relativa all’esercizio del diritto di opposizione, correttamente la Corte d’Appello è pervenuta al rigetto della domanda, stante la nullità per vizio di forma delle donazioni dissimulate, ma resta fermo che tale accertamento di invalidità, anche in quanto legato al riscontro dell’effettiva volontà delle parti contraenti, divenga inoppugnabile nei rapporti tra le parti del presente giudizio, e quindi foriero di apportare vantaggi alle ricorrenti allorquando, una volta apertasi la successione dei donanti, si tratterà di verificare quale sia l’effettiva consistenza del loro patrimonio, includendo anche quei beni solo apparentemente fuoriusciti con la stipula degli atti oggetto di causa. Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto Il giudice innanzi al quale sia stata proposta un’azione di simulazione di una compravendita in quanto dissimulante una donazione, azione finalizzata alla successiva trascrizione dell’atto di opposizione, ai sensi dell’art. 563 c.c., comma 4, deve rilevare di ufficio l’esistenza di una diversa causa di nullità della donazione e, ove sia già pendente il giudizio di appello, e sia perciò ormai inammissibile un’espressa domanda di accertamento in tal senso della parte interessata, deve rigettare l’originaria pretesa, previo accertamento della nullità, nella motivazione, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione. Il ricorso deve quindi essere rigettato. 4. Attesa la novità della questione giuridica, priva di precedenti di legittimità, e la sua complessità, si ritiene che sussistano i presupposti per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio. 5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.