Accertamento dell’usucapione: se la compravendita è nulla per difetto di forma è insufficiente la “mera detenzione” del bene

Nell’ipotesi di compravendita di bene immobile nulla perché realizzata in forma verbale, alla quale le parti abbiano comunque dato esecuzione mediante la consegna della res e il pagamento integrale del relativo corrispettivo, il Giudice di merito può affermare l’esistenza, in capo al soggetto che in virtù del predetto titolo si trovi in rapporto di fatto con il cespite, di un possesso utile ad usucapionem soltanto laddove in concreto si configuri un atto idoneo a realizzare l’interversione del possesso, che non può essere rappresentato da comportamenti – quali il trasferimento della residenza nell’immobile o l’attivazione delle relative utenze a proprio nome – che di per sé non presuppongono il possesso, ma un mero rapporto di detenzione qualificata con la res.

Così la Corte di Cassazione, Sezione Seconda, con la ordinanza n. 21726/19, depositata il 27 agosto La fattispecie. Un’impresa edile ha chiesto al Tribunale di Bari la condanna al rilascio di un appartamento sito in una palazzina edificata dalla stessa impresa che sarebbe stato occupato senza titolo dai convenuti. Questi ultimi, costituendosi in giudizio, hanno eccepito di essere entrati nell’alloggio a seguito della consegna delle chiavi da parte dell’attrice, avendolo acquistato con versamento del prezzo pattuito per la compravendita, invocando altresì – in via riconvenzionale – l’accertamento dell’intervenuto acquisto del bene per usucapione. Le istanze dei convenuti sono state accolte in primo grado e confermate in sede di gravame . A sostegno delle proprie decisioni, i Giudici di merito hanno ritenuto che l’istruttoria esperita avesse consentito di accertare che l’impresa edile avesse effettivamente consegnato ai convenuti le chiavi dell’alloggio, che il legale rappresentante dell’impresa avesse dichiarato, in sede di interrogatorio, che i convenuti erano stati immessi nella disponibilità del bene in virtù di un rapporto di locazione e che pertanto la detenzione fosse da considerare qualificata e non priva di titolo, come asserito dall’impresa inoltre, per contro, gli originari convenuti, pur avendo dichiarato sin dalla loro prima difesa di essere entrati nella disponibilità dell’immobile avendone pagato per intero il prezzo pattuito per l’acquisto, avessero esercitato una signoria di fatto avente tale ampiezza da rendere possibile la configurazione dell’ animus possidendi . Infine, secondo quanto altrettanto stabilito dai Giudice, il rapporto dei convenuti con l’immobile, risalente all’anno in cui gli stessi vi avevano trasferito la loro residenza attivando a loro nome le utenze a servizio del bene, configurasse il possesso utile ad usucapionem , essendo trascorsi oltre vent’anni dall'inizio della relazione di fatto e la notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio. La concreta dimostrazione del possesso. Accogliendo il ricorso presentato dall’impresa edile, la Corte di Cassazione ha preliminarmente censurato la statuizione dei Giudici di merito nella misura in cui non è stata preliminarmente considerata da questi ultimi la nullità del contratto di compravendita per difetto della forma scritta, non avendo mai le parti formalizzato i loro accordi relativi all’immobile, nonostante la consegna delle chiavi da parte dell’impresa non potendo essere attribuito alcun rilievo giuridico a una pattuizione verbale . Secondo la Corte, quando tra le parti viene convenuta la consegna del bene immobile prima della stipula del relativo rogito di compravendita non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi di quest'ultimo, ma la disponibilità del bene conseguita dall’acquirente si fonda su un contratto di comodato funzionalmente collegato con la compravendita, produttivo di meri effetti obbligatori. La relazione con la res del soggetto anticipatamente immesso nella sua disponibilità, pertanto, non costituisce possesso, ma semplice detenzione qualificata, salva la dimostrazione – a cura della parte interessata – dell’esistenza di un atto di interversio possessionis utile a far decorrere, in favore del soggetto che ha la materiale disponibilità dell’immobile, il decorso del termine utile per la sua usucapione. Inoltre – secondo quanto altrettanto stabilito dagli Ermellini – la sentenza di merito non ha affrontato in modo adeguato il tema della natura del rapporto costituito in capo agli occupanti dell’immobile, limitandosi ad affermare che questo costituirebbe possesso utile ad usucapionem in quanto gli stessi avrebbero trasferito la loro residenza nell’immobile e attivato a loro nome le relative utenze da oltre vent’anni. In realtà detti elementi non appaiono decisivi in assenza di ulteriori indici. Infatti, secondo la Corte, in presenza di titolo affetto da nullità, per potersi configurare una situazione di possesso in capo al soggetto che acquisti in base ad esso una relazione di fatto con la res non è sufficiente la materiale detenzione della stessa, ma occorre un atto ulteriore idoneo a manifestare all’esterno la volontà del soggetto di comportarsi come unico proprietario del bene. Atto che, nel caso di cui all’art. 1158 c.c., è costituito da un adempimento materiale idoneo a esprimere la volontà di realizzare una vera e propria interversio possessionis . E poiché a tal fine non possono essere ritenuti sufficienti i semplici elementi del trasferimento della residenza nell’immobile e dell’attivazione delle relative utenze – invece valorizzati dai Giudici di merito – in quanto essi potrebbero – in linea di ipotesi – anche derivare da un mero rapporto di detenzione titolata del bene immobile di cui si discute, gli Ermellini hanno stabilito che la Corte di Appello proceda a una nuova valutazione delle circostanze di fatto sulla base di un nuovo apprezzamento del rapporto negoziale in concreto posto in essere tra le parti al fine di determinare se a fronte di esso, pur in presenza dell’evidente causa di nullità della compravendita dell’immobile si possa configurare, anche per effetto di un eventuale atto di interversio possessionis , il possesso utile ad usucapionem ed eventualmente l’acquisto a titolo originario, in capo ai resistenti, del diritto di proprietà a tale titolo.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 maggio – 27 agosto 2019, n. 21726 Presidente Correnti – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 4.3.2005 la Edilizia T. di E.T. e C. S.n.c., attualmente in liquidazione, evocava in giudizio S.P. e D.P.N. innanzi il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Bitonto, per ottenerne la condanna al rilascio di un appartamento sito in una palazzina edificata dalla società attrice che sarebbe stato occupato senza titolo dai convenuti. Questi ultimi, nel costituirsi in giudizio, resistevano alla domanda eccependo di essere entrati nell’alloggio dietro consegna delle chiavi da parte della società attrice, avendolo dalla medesima acquistato con versamento del prezzo pattuito per la compravendita. In via riconvenzionale invocavano l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del bene in loro favore. Con sentenza n. 192/2011 il Tribunale respingeva la domanda principale accogliendo quella riconvenzionale e dichiarava l’intervenuto acquisto in favore dei convenuti, a titolo di usucapione, della proprietà dell’appartamento di cui è causa e condannando l’attrice alle spese del grado. Interponeva appello avverso detta decisione la Edilizia T. S.n.c. e si costituivano in seconde cure S.P. e D.P.N. per resistere al gravame. Con la sentenza oggi impugnata, n. 474/2015, la Corte di Appello di Bari confermava la decisione del primo giudice condannando Edilizia T. S.n.c. alle spese del secondo grado di giudizio. A sostegno della propria statuizione la Corte pugliese riteneva che l’istruttoria esperita in prime cure avesse consentito di accertare che la società appellante avesse consegnato agli appellati le chiavi dell’alloggio che il legale rappresentante della Edilizia T. S.n.c. avesse dichiarato in particolare, in sede di interrogatorio, che gli appellati erano stati immessi nella disponibilità del bene in virtù di un rapporto di locazione che pertanto la detenzione fosse da considerare qualificata e non priva di titolo, come asserito dalla società appellante che per contro gli originari convenuti, pur avendo dichiarato sin dalla loro prima difesa di essere entrati nella disponibilità dell’immobile avendone pagato per intero il prezzo pattuito per l’acquisto, avessero su di esso esercitato una signoria di fatto avente tale ampiezza da rendere possibile la configurazione dell’animus possidendi. La Corte riteneva inoltre che il predetto rapporto con l’immobile, risalente al 1984, quando gli appellanti vi avevano trasferito la loro residenza attivando a loro nome le utenze a servizio del bene, configurasse il possesso utile ad usucapionem, essendo trascorsi oltre vent’anni dall’inizio della relazione di fatto di cui sopra e la notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Edilizia T. di E.T. e C. S.n.c. in liquidazione affidandosi a quattro motivi. Resistono con controricorso S.P. e D.P.N. . La parte ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 948, 1158 e 1571 c.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ricostruito il rapporto intercorso tra le parti, trascurando di considerare che qualora la detenzione si origini da un rapporto di natura locativa il conduttore è mero detentore del bene, e non possessore, e di conseguenza la sua relazione di fatto con la cosa non può essere considerata ai fini del calcolo del periodo utile per l’usucapione. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perché la Corte barese avrebbe erroneamente dichiarato, a favore dei controricorrenti, l’intervenuto acquisto della proprietà del bene per usucapione, senza considerare che la loro immissione nella disponibilità del cespite era avvenuta, per loro stessa ammissione, a seguito dell’intervenuto pagamento del prezzo di acquisto pattuito verbalmente tra le parti. Di conseguenza, la relazione di fatto con la cosa non si era costituita mediante un atto in contrasto con la volontà del proprietario del bene, onde non poteva ritenersi configurata a loro favore la presunzione di possesso di cui all’art. 1141 c.c Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1141 e 1158 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perché la Corte pugliese avrebbe erroneamente riconosciuto in favore dei controricorrenti la presunzione di possesso di cui all’art. 1141 c.c. senza tener conto che la loro relazione di fatto con la res si era costituita ab origine come detenzione ed in assenza di un qualsiasi atto di interversione. La ricorrente lamenta inoltre che la Corte di merito avrebbe reso una motivazione affetta da irriducibile contrasto intrinseco, in quanto dapprima avrebbe affermato che il rapporto locativo allegato dalla Edilizia T. S.n.c. rendesse titolata la detenzione degli odierni controricorrenti, e poi avrebbe ritenuto comunque detto rapporto di fatto utile ad usucapionem. Le tre censure meritano un esame congiunto perché tra loro connesse, posto che le stesse attengono comunque al tema della natura del rapporto tra i controricorrenti e la cosa, e sono parzialmente fondate nei termini di cui infra. Va innanzitutto affermato che non si ravvisa alcun profilo di irriducibile contrasto tra le diverse parti della motivazione resa dalla Corte di merito. Occorre invero evidenziare che la natura titolata del rapporto di fatto costituitosi tra i controricorrenti e la res viene affermata dalla predetta Corte soltanto in relazione al rigetto della domanda principale, avendo la società ricorrente proposto azione di condanna dei convenuti al rilascio del bene dai medesimi asseritamente occupato sine titulo. In tal modo la Corte barese ha inteso evidentemente affermare che la predetta relazione de facto era iniziata in base ad una precisa relazione giuridica esistente tra le parti e quindi non poteva essere considerata sine titulo. Per converso, la successiva ricostruzione, da parte dello stesso giudice di secondo grado, della predetta relazione di fatto con la res in termini di possesso utile ad usucapionem viene proposta in relazione alla domanda riconvenzionale dei convenuti, con la quale costoro avevano invocato appunto l’accertamento del loro intervenuto acquisto della proprietà del cespite a titolo di usucapione. Tra le due statuizioni non v’è contrasto, atteso da un lato che esse si riferiscono a domande differenti, e dall’altro che la prima relativa alla natura cd. titolata della relazione di fatto tra i controricorrenti e la cosa deve in effetti essere interpretata nel senso di esclusione della configurabilità, in capo ai coniugi S. e D.P. , di una disponibilità del cespite di cui è causa priva di titolo. Passando all’esame della fattispecie concreta oggetto del giudizio, è opportuno sottolineare che è pacifico che nella specie si discute di un’ipotesi di compravendita di bene immobile realizzata con atto nullo per difetto della forma scritta, non avendo le parti mai provveduto a formalizzare in tal guisa i loro accordi relativi all’immobile di cui è causa. I coniugi S. e D.P. hanno infatti espressamente riconosciuto nel loro controricorso cfr. pag.9 e 10 di aver conseguito la materiale disponibilità dell’alloggio di cui è causa in base ad un contratto di compravendita, in esecuzione del quale essi avrebbero pagato per intero il prezzo verbalmente pattuito tra le parti, ottenendo dalla venditrice la consegna delle chiavi del cespite. Si configura pertanto, per stessa ammissione della parte controricorrente, un rapporto contrattuale di compravendita, in sé nullo per difetto di forma, cui tuttavia i paciscenti hanno dato esecuzione de facto attraverso lo scambio delle chiavi del bene e del prezzo pattuito per il suo acquisto. Va pertanto configurata, nel caso di specie, un’ipotesi di consegna dell’immobile anticipata rispetto alla formalizzazione del rogito di compravendita, non potendosi evidentemente attribuire alcun rilievo giuridico ad una pattuizione verbale priva della necessaria forma scritta prevista dalla legge come requisito ad substantiam per la compravendita dei beni immobili. Da quanto prevede consegue che in tale contesto può essere utilmente richiamato il principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento alla diversa fattispecie della promessa di vendita con effetti anticipati, secondo cui quando tra le parti viene convenuta la consegna del bene immobile prima della stipula del relativo rogito di compravendita non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi di quest’ultimo, ma la disponibilità del bene conseguita dall’acquirente si fonda su un contratto di comodato funzionalmente collegato con la compravendita, produttivo di meri effetti obbligatori. La relazione con la res del soggetto anticipatamente immesso nella sua disponibilità, pertanto, non costituisce possesso ma semplice detenzione qualificata, salva la dimostrazione -a cura della parte interessata dell’esistenza di un atto di interversio possessionis utile a far decorrere, in favore del soggetto che la materiale disponibilità dell’immobile, il decorso del termine utile per la sua usucapione cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008, Rv.602815 nei medesimi termini, cfr. anche Cass. Sez.2, Sentenza n. 5211 del 16/03/2016, Rv.639209, Cass. Sez.2, Sentenza n. 9896 del 26/04/2010, Rv.612577 e Cass. Sez.2, Sentenza n. 1296 del 25/01/2010, Rv.611222 . La sentenza impugnata non affronta in modo adeguato il tema della natura del rapporto costituito in capo ai coniugi S. e D.P. , limitandosi ad affermare che esso costituirebbe possesso utile ad usucapionem in quanto i predetti soggetti avrebbero trasferito la loro residenza nell’immobile ed attivato a loro nome le relative utenze da oltre vent’anni. In realtà ambedue detti elementi non appaiono decisivi, alla luce del tema fondamentale, appunto non considerato dalla Corte di Appello, concernente la possibilità di configurare una situazione di possesso in conseguenza di un contratto di compravendita immobiliare, ancorché nullo per carenza della forma ad substantiam prescritta dalla legge, cui le parti abbiano dato de facto esecuzione anticipatamente rispetto all’utile formalizzazione del consenso traslativo nella forma idonea prevista dall’art. 1350 c.c È opportuno richiamare, in tema di effetti derivanti dal contratto nullo, la giurisprudenza di questa Corte sulla donazione di bene altrui, secondo la quale detto negozio, pur dovendosi ritenere nullo per effetto della previsione di cui all’art. 771 c.c. che prevede il divieto della donazione dei beni futuri dovendosi in tale novero far rientrare tutti i beni non ancora entrati nel patrimonio del donante va tuttavia ritenuto idoneo ai fini dell’usucapione decennale prevista dall’art. 1159 c.c., in presenza degli altri elementi -rappresentati dalla buona fede del donatario e trascrizione dell’atto previsti ai fini dell’applicabilità dell’istituto da ultimo richiamato Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10356 del 05/05/2009, Rv.608011 Cass. Sez.6-2 Ordinanza n. 12782 del 23/05/2013, Rv.626423 . Secondo tale giurisprudenza, l’operatività dell’usucapione abbreviata anche in presenza di titolo nullo è giustificata dal fatto che il requisito relativo all’esistenza di un titolo che legittimi l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, dev’essere inteso nel senso che esso, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere suscettibile in astratto, e non in concreto, di determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare. Si configura pertanto uno scollamento tra il momento dell’accertamento della validità del negozio astrattamente idoneo ad assicurare l’effetto traslativo della proprietà, per il quale la legge prevede determinati requisiti formali che, ove non osservati, ne comportano indefettibilmente la nullità, e quello relativo alla valutazione degli effetti che la regolamentazione negoziale, ancorché viziata, ha comunque prodotto sia tra le parti, che tra queste ultime ed i terzi, in funzione e come conseguenza della libera scelta delle medesime di dare comunque esecuzione al negozio traslativo della proprietà. Nel caso dell’usucapione abbreviata l’elemento della trascrizione, non previsto nella diversa ipotesi dell’usucapione ordinaria, costituisce la manifestazione esteriore dell’atto di interversio possessionis che invece si richiede ai fini dell’inizio della decorrenza dei termini di cui all’art. 1158 c.c I due atti, invero, integrano comportamenti idonei a rendere nota, sia nei rapporti interni tra le parti che nei rapporti tra queste ultime ed i terzi, l’intenzione del soggetto che abbia la materiale disponibilità della res, per averla conseguita in base ad un titolo astrattamente idoneo, ancorché in concreto nullo, di esercitare su di essa una signoria di fatto iure proprietatis. Ne discende che quando questa Corte ha affermato con la richiamate pronunce n. 10356/2009 e n. 12782/2013 l’idoneità della donazione nulla a costituire, se debitamente trascritta, titolo idoneo ai fini dell’usucapione abbreviata, ha sancito implicitamente il principio secondo cui, in presenza di titolo affetto da nullità, per potersi configurare una situazione di possesso in capo al soggetto che acquisti in base ad esso una relazione di fatto con la res non è sufficiente la materiale detenzione della stessa, ma occorre un atto ulteriore idoneo a manifestare all’esterno la volontà del predetto soggetto di comportarsi come unico proprietario del bene. Atto che, nel caso di cui all’art. 1159 c.c., è rappresentato dalla trascrizione dell’atto nei registri immobiliari -elemento espressamente richiesto dalla norma ai fini della configurabilità dell’istituto-mentre nel diverso caso di cui all’art. 1158 c.c. è costituito da un atto materiale idoneo ad esprimere la volontà di realizzare una vera e propria interversio possessionis. Poiché a tal fine non possono essere ritenuti decisivi, come già detto, i semplici elementi del trasferimento della residenza nell’immobile e dell’attivazione delle relative utenze, valorizzati dalla Corte territoriale, in quanto essi potrebbero -in linea di ipotesi anche derivare da un mero rapporto di detenzione titolata del bene immobile di cui si discute, la Corte territoriale -cui per effetto dell’accoglimento dei primi tre motivi neì sensi di cui in motivazione la causa dev’essere rinviata dovrà procedere ad un nuovo apprezzamento del rapporto negoziale in concreto posto in essere tra le parti, al fine di determinare se a fronte di esso, pur in presenza dell’evidente causa di nullità della compravendita di bene immobile realizzata dalle parti in forma verbale, si possa configurare, anche per effetto di un eventuale atto di interversio possessionis posto in essere dagli odierni controricorrenti, il possesso utile ad usucapionem, ed eventualmente l’acquisto a titolo originario, in capo aì medesimi, del diritto di proprietà a tale titolo. Va in conclusione affermato il seguente principio di diritto Nell’ipotesi di compravendita di bene immobile nulla perché realizzata in forma verbale, cui le parti abbiano comunque dato esecuzione mediante la consegna della res ed il pagamento integrale del relativo corrispettivo, il giudice di merito può affermare l’esistenza, in capo al soggetto che in virtù del predetto titolo si trovi in rapporto di fatto con il cespite, di un possesso utile ad usucapionem soltanto laddove in concreto si configuri un atto idoneo a realizzare l’interversione del possesso, che non può essere rappresentato da comportamenti -quali il trasferimento della residenza nell’immobile o l’attivazione delle relative utenze a proprio nome che di per sé non presuppongono il possesso, ma un mero rapporto di detenzione qualificata con la res . L’accoglimento nei limiti di quanto esposto dei primi tre motivi comporta l’assorbimento del quarto, con il quale la società ricorrente contesta il governo delle spese operato dal giudice di appello. Le spese del presente giudizio di Cassazione saranno regolate dal giudice del rinvio. P.Q.M. La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, e dichiara assorbito il quarto. Cassa la decisione impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Bari.