L’identificazione del rappresentato e la procura rilasciata all’estero

La procura rilasciata all'estero e ricevuta da notaio straniero deve essere tradotta in italiano e legalizzata o, nel caso di adesione alla Convenzione dell’Aja, munita di apostille, salvo contrari accordi internazionali.

Il notaio dovrà dunque, in presenza di una procura proveniente dall'estero, verificare che sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano art. 60 l. n. 218/95 che sia un atto proveniente da un'autorità competente di uno Stato straniero che sia munita di legalizzazione o apostille che sia munita di traduzione fatta anche dallo stesso notaio o da un interprete che contenga i requisiti minimi di sicurezza giuridica e di accertamento dell'identità del sottoscrittore richiesti per la circolazione in Italia del negozio principale. Con particolare riferimento a quest’ultimo controllo, l’autenticazione della firma avvenuta tramite apostille non esime il pubblico ufficiale estero alla corretta identificazione del soggetto che conferisce la procura. Il diritto straniero non deve può porsi in contrasto con alcuni istituti fondamentali dell’ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrivente. È quanto si legge nella sentenza n. 17713/2019 della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata il 2 luglio. Il caso. Con atto di citazione del giorno 8.11.1999 D.M. citava in giudizio N.F. per vedere dichiarata la nullità della procura a vendere un fondo rustico da lei rilasciata al marito S.S., disconoscendo l’autenticità della propria firma conseguentemente chiedeva la dichiarazione di nullità dell’atto di compravendita del 21.10.1996 stipulato innanzi al notaio M.D.L. con il quale il marito, quale suo procuratore, aveva venduto il fondo rustico a N.F. Il Tribunale di Avellino rigettava la domanda rilevando che la procura, redatta innanzi ad un notaio americano e a due testimoni e munita di apostille, doveva essere qualificata come atto pubblico sicché la ricorrente avrebbe dovuto esperire querela di falso. D.M. proponeva gravame e la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 3037/2014, in riforma a quanto statuito dal giudice di prime cure, dichiarava l’inefficacia dell’atto di vendita del fondo rustico. La Corte d’Appello di Napoli, in particolare, riteneva che la procura non dovesse essere qualificata alla stregua di un atto pubblico in quanto la legge dello Stato americano della Pennsylvania non consente ai notai di redigere atti negoziali, abilitandoli solamente a ricevere giuramenti, dichiarazioni, certificazioni di copie o documenti. Veniva rilevato, inoltre, sia l’erroneità della di nascita di D.M. sulla procura, sia la mancata identificazione dei testimoni. N.F. proponeva ricorso per cassazione lamentando l’erroneità della corte territoriale nel che il notaio americano non avesse il potere di redigere atti negoziali e deducendo altresì la natura pubblica della procura che si evincerebbe dalle apostille previste dalla Convenzione dell’Aja. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. La rappresentanza e la procura rilasciata all’estero. Il fenomeno rappresentativo e gestorio consiste nel potere di un soggetto rappresentante di compiere atti giuridici in nome di un altro soggetto rappresentato . Si tratta di una cooperazione giuridicamente rilevante, di una sostituzione soggettiva nell’attività giuridica. La rappresentanza può essere diretta, laddove il rappresentante agisce in nome altrui art. 1388 c.c. indiretta, laddove il rappresentante agisce in nome proprio ma nell’interesse altrui volontaria, attraverso la procura, che trova la sua ratio nella agevolazione dello svolgimento dell’attività giuridica di relazione legale, prevista dalla legge, volta a tutelare dei soggetti incapaci di agire ovvero di gestire i propri affari art. 320 c.c., genitori rispetto ai figli minori . Nella rappresentanza volontaria, quindi, il titolo costitutivo del potere è la procura, quale negozio unilaterale non recettizio, autorizzativo, mediante il quale un soggetto conferisce ad altro soggetto il potere di rappresentarlo. Per il suo perfezionamento non occorre il consenso del destinatario in quanto con la sola procura il rappresentante non assume obblighi e non subisce conseguenze pregiudizievoli, ma bensì riceve un potere aggiuntivo. Con la procura, in altri termini, il conferente si limita ad investire il rappresentante della legittimazione rappresentativa. La forma della procura, ai sensi dell’art. 1392 c.c., è una forma c.d. per relationem, in quanto risente della forma prescritta per il contratto che il rappresentante deve concludere. Se questo vale in via generale, laddove la procura venga rilasciata all’estero si applica la disciplina di cui all’art. 60 l. n. 218/1995 diritto internazionale privato in materia di rappresentanza volontaria e che distingue tra legge applicabile alla sostanza da quella applicabile alla forma. Per quanto riguarda la lex substantiae, il primo comma della disposizione de qua prevede che la rappresentanza volontaria risulta regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede di affari, sempre che egli agisca a titolo professionale e che tale sede sia conosciuta ovvero conoscibile al terzo. In assenza di suddette condizioni si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita il suo potere nel caso concreto. Per quanto concerne il profilo formale, invece, viene stabilito che l'atto di conferimento di poteri è valido se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere. In definitiva, in ossequio al principio di favor validitatis, vengono forniti due criteri alternativi circa la validità della procura il primo fa riferimento alla lex substantiae primo comma dell'art. 60 l. n. 218/95 e il secondo che invece fa riferimento alla lex loci actus , ovvero alla legge dello Stato in cui la procura viene conferita. Il ruolo del notaio. L’art. 28 Legge Notarile pone il principio generale del controllo notarile che si concretizza nel vaglio di legalità atti proibiti dalla legge o nulli e di liceità atti contrari all'ordine pubblico e al buon costume . L’art. 54 r.d. n. 1326/1914 Regolamento per l'esecuzione della l. n. 89/1913 , poi, vieta al notaio di rogare contratti in cui intervengano persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è dalla legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentati giuridicamente obbligarsi”. Ciò significa che il notaio ha l’onere di verificare pregiudizialmente che il documento estero possa essere qualificato come atto pubblico o scrittura privata autenticata secondo le norme del paese di origine, avendo comunque riguardo ai principi generali dell’ordinamento italiano quale, ad esempio, la provenienza del documento da un pubblico ufficiale che agisca nell'esercizio delle funzioni nonché il compito di sottoporre l'atto ai vagli di liceità e legalità summenzionati. Si tratta, a ben vedere, di un onere particolarmente gravoso per il notaio, attuabile solo mediante il ricorso alle norme straniere di riferimento e alle norme di diritto internazionale privato. Al notaio infatti, al pari del giudice, è richiesta la conoscenza di quelle nozioni di diritto straniero che gli consentano di riconoscere la presenza dei requisiti di forma degli atti esteri si ritiene quindi ormai recessivo il principio affermato nel vigore degli artt. 17-31 delle preleggi da Cass. n. 36254/1957, che sanciva la presunzione di validità degli atti stranieri . Sul punto, infatti l'art. 14 L. n. 218/1995, in forza del quale l'accertamento della legge straniera spetta al giudice il quale deve attivarsi con tutti gli strumenti che gli sono consentiti, è riferibile a tutti i soggetti cui è demandata l'attuazione delle norme dell'ordinamento e dunque anche ai notai. Ad onor del vero, tale fondamentale disposizione rappresenta per il notaio fonte attributiva di dovere di indagine, nonché norma di chiusura e limite alla conoscenza della regola giuridica straniera nel momento in cui, infatti, non si riesca ad accertare la legge straniera, impiegando di tutti i mezzi di cui si dispone, dovrà farsi applicazione della legge italiana. Con particolare riferimento al controllo sulla procura rilasciata all’esterno circa la disciplina applicabile così come descritta dall’art. 60 l. n. 218/1995, quando il rappresentante esercita i suoi poteri in Italia, la legge applicabile alla sostanza dell'atto la c.d. forma intrinseca è la legge italiana, salvo che il rappresentante agisca a titolo professionale e la propria sede d'affari sia conosciuta o conoscibile dal terzo. Il notaio, pertanto, se il rappresentante non agisce a titolo professionale, deve compiere una valutazione attinente alla sostanza della rappresentanza utilizzando le norme ed i principi propri del diritto italiano ad esempio contenuto e all'estensione dei poteri del rappresentante, alla durata del potere rappresentativo, alla revoca ed all'estinzione della procura, eventuale presenza di un conflitto d'interessi, conseguenze del negozio concluso dal rappresentante senza poteri . Quanto invece alla c.d. forma estrinseca diventa essenziale che il notaio tenga conto dei requisiti di forma previsti dall'ordinamento straniero tutte le volte in cui la forma dell'atto esibitogli non dovesse soddisfare eventuali requisiti più stringenti previsti dall'ordinamento italiano. La legalizzazione della procura rilasciata all’estero. In forza dell’art. 2703 c.c. si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive”. La norma de qua definisce la nozione di scrittura privata autenticata quale commistione tra un documento privato la scrittura e un atto pubblico l’autenticazione , che permette di conferire all'atto efficacia probatoria e data certa. Si ricordi, infatti, che ai sensi dell’art. 2700 c.c. l'atto pubblico fa piena prova della sua emanazione da un pubblico ufficiale e dei fatti da lui dichiarati come verificatisi alla sua presenza laddove, viceversa, il documento sia emanato da un soggetto di diritto qualsiasi, si ha una scrittura privata, la quale, diversamente dall'atto pubblico, può essere sottoscritta o soltanto scritta da colui che appare esserne l'autore. Ebbene, nel caso di procura rilasciata all’estero e ricevuta dal notaio straniero, l’atto, per avere efficacia nello Stato italiano, deve essere legalizzato salvo diversi accordi internazionali. Con il termine legalizzazione si intende l’attestazione ufficiale della qualità di chi ha apposto la firma sopra atti, certificati, nonché la autenticità della firma stessa artt. 30, 31 e 33 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, d.P.R. n. 445/2000 . La Convenzione dell’Aja del 1961 ratificata con l. n. 1253/1966 ha tuttavia abolito l’obbligo di legalizzazione per gli atti pubblici formati negli Stati aderenti e fra essi include esplicitamente gli atti notarili. In particolare gli articoli 3-5 della Convenzione al fine della prova della veridicità della firma e della provenienza dell’atto richiedono, ad opera della compente autorità dello Stato da cui proviene l’atto, le c.d. apostille che hanno la funzione di provare la presenza dei requisiti occorrenti per il godimento della regola agevolatrice di non necessarietà di una legalizzazione, talché la loro assenza farà venire meno la autenticità del documento ed il giudice italiano non potrà attribuire efficacia validante a mere certificazioni proveniente dall’estero. Esse, quindi, non si traducono in una sorta di legalizzazione né sono parte integrante del contenuto dell’atto Cass. n. 5877/1994 , avendo solamente la funzione di evitare la legalizzazione da parte dello Stato italiano. Quanto espresso comporta che il notaio dovrà, in presenza di una procura proveniente dall'estero, verificare che sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano art. 60 della legge 218/95 e dunque indagare, se occorre, anche la disciplina applicabile nel paese di origine che sia un atto proveniente da un'autorità competente di uno Stato straniero che sia munita di legalizzazione od apostille, salvo la presenza di diversi accordi che sia munita di traduzione fatta anche dallo stesso notaio o da un interprete che non sia contraria ai parametri previsti dagli artt. 28 L.N. e 54 r.d. n. 1326/1914 e che abbia in ogni caso i requisiti minimi di sicurezza giuridica e di accertamento dell'identità del sottoscrittore richiesti per la circolazione in Italia del negozio principale. Nel caso di specie la procura veniva rilasciata innanzi ad un notaio americano il quale, in quanto gli Stati Uniti d’America hanno aderito alla Convenzione dell’Aja, aveva il potere di autenticare la firma apposta da D.M., così come richiesto dall’art. 2703 c.c., intesa quale accertamento della identità della persona che sottoscrive l’atto. Ciò non risulta essere avvenuto il notaio americano identificava la D.M. con una data di nascita sbagliata, evincendosi così la mancata verifica dell’identità della persona sottoscrivente Cass. n. 26951/2017, Cass. n. 13228/2008 e Cass. n. 3410/2008 in cui si legge che il diritto straniero non deve essere in contrasto con alcuni istituti fondamentali dell’ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrivente . È sulla base di questa motivazione che la corte territoriale avrebbe dovuto rigettare il ricorso non quindi perché doveva proporsi istanza di verificazione della scrittura privata a seguito del disconoscimento della procura da parte di D.M., ma perché il notaio americano che ha autenticato la firma non ha accertato altresì l’identità della firmataria. L’autenticazione della firma, infatti, seppur avvenuta sulla base della Convenzione dell’Aja, non esime il pubblico ufficiale alla corretta identificazione del soggetto che conferisce la procura. Attraverso la correzione della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 gennaio – 2 luglio 2019, n. 17713 Presidente Lombardo – Relatore Giannaccari Fatti di causa Con atto di citazione dell’8.11.1999, D.G.M. citava in giudizio N.F. , chiedendo dichiararsi la nullità della procura a vendere un fondo rustico, da lei rilasciata al marito S.S. , disconoscendo l’autenticità della propria firma conseguentemente chiedeva dichiararsi la nullità dell’atto di compravendita per notar D.L. del omissis , con il quale il marito, quale suo procuratore, aveva venduto il fondo rustico alla N. . Si costituiva N.F. , chiedendo preliminarmente l’autorizzazione alla chiamata in causa di S.S. e, nel merito, contestava la domanda, trattandosi di procura a vendere, regolarmente rilasciata dalla D.G. al marito innanzi al notaio A. I. di omissis , alla presenza di due testimoni e nel rispetto delle disposizioni previste dalla Convenzione dell’Aja del 1961. Il Tribunale di Avellino rigettava la domanda, rilevando che la procura, redatta innanzi al notaio americano e munita di apostille, doveva essere qualificata come atto pubblico, munito da pubblica fede, sicchè la D.G. , per contrastarne la veridicità, avrebbe dovuto proporre querela di falso. Veniva proposto appello da D.G.M. , resistito da N.F. il giudizio, interrotto per il decesso di S.S. , veniva riassunto nei confronti degli eredi S.M. e T. , che si costituivano in giudizio per resistere alla domanda. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 2.7.2015, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva la domanda e, per l’effetto, dichiarava inefficace l’atto di vendita stipulato il omissis innanzi al notaio D.L.M. . La corte territoriale riteneva che la procura a vendere non avesse natura di atto pubblico, in quanto, la L. 21 agosto 1953, n. 373 dello Stato della Pennsylvania non consente ai notai di redigere atti negoziali, ma li abilita unicamente a ricevere giuramenti, dichiarazioni, certificazione di copie di documenti e dichiarazioni, rese sotto la propria responsabilità o sotto giuramento. Rilevava, peraltro, che l’identità del conferente la procura riportava una data di nascita diversa da quella della D.G. e che i due testimoni non erano stati nemmeno identificati. Trattandosi, quindi, di scrittura privata, disconosciuta dalla D.G. , la convenuta, per potersi avvalere in giudizio del documento, aveva l’onere di dimostrare l’autenticità della sottoscrizione, proponendo istanza di verificazione. Poichè l’istanza di verificazione non era stata effettuata da parte di N.F. , la scrittura non poteva essere, pertanto, attribuita a D.G.M. . Per la cassazione, ha proposto ricorso N.F. sulla base di quattro motivi e, in prossimità dell’udienza, ha depositato memorie illustrative. Ha resistito con controricorso D.G.M. . All’udienza camerale del 5.10.2018, il collegio ha rimesso la causa alla pubblica udienza. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione di legge, per aver la corte territoriale escluso che il notaio americano non avesse il potere di redigere atti negoziali mentre, invece, la legge americana e le norme di diritto internazionale privato consentirebbero la possibilità di autenticare la firma e di raccogliere dichiarazioni di intenti. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. 20 dicembre 1966, n. 1253, con cui è stata ratificata la Convenzione dell’Aja, per avere erroneamente negato la fede pubblica alla procura a vendere rilasciata dalla D.G. allo S. , nonostante il rispetto delle formalità previste per la legalizzazione degli atti, con particolare riferimento all’autentica della firma da parte dal Segretario di Stato del Commonwealth. La natura pubblica della procura deriverebbe testualmente dall’art. 1 della Convenzione dell’Aja, che considera atti pubblici gli atti notarili , a condizione che sia attestata l’autenticità della firma attraverso l’apposizione della postilla. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. e art. 2702 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto la natura di atto pubblico alla procura risulterebbe dalla presenza dell’apostille previste dalla Convenzione dell’Aja. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati, ma la motivazione deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c La validità della procura rilasciata all’estero, quanto alla legge applicabile, è disciplinata dalla L. n. 218 del 1995, art. 60, in materia di rappresentanza volontaria. La norma dispone che la rappresentanza volontaria è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d’affari, sempre che egli agisca a titolo professionale e che tale sede sia conosciuta o conoscibile dal terzo. In assenza di tali condizioni, si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri nel caso concreto. L’atto di conferimento dei poteri di rappresentanza è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere. In ossequio ad un principio del favor validitatis, la legge prevede due criteri alternativi circa la validità della procura dal punto di vista della forma uno fa rinvio alla lex substantiae e dunque al criterio di cui alla L. n. 218 del 1995, art. 60, comma 1 e l’altro che fa invece riferimento alla lex foci actus, ovvero alla legge dello Stato in cui la procura viene conferita. Nell’esercizio delle funzioni notarili, tale disposizione deve essere necessariamente collegata con il R.D. 10 settembre 1914, n. 1326, art. 54 Regolamento per l’esecuzione della L. 16 febbraio 1913, n. 89 che vieta al notaio di rogare contratti in cui intervengano persone che non siano assistite od autorizzate nel modo espressamente stabilito dalla legge, affinchè esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentati giuridicamente obbligarsi. Il problema è allora quello di cercare di stabilire il contenuto del controllo che il notaio dovrà effettuare relativamente ai requisiti di sostanza e di forma della procura straniera, utilizzando i criteri di rinvio contenuti nella norma di diritto internazionale privato. Ritiene il collegio che il notaio dovrà sicuramente prestare particolare attenzione ai requisiti di sostanza e di forma della procura per i quali si applica la legge italiana, e così, in particolare, alle questioni relative all’efficacia vincolante dell’attività del rappresentante nei confronti del rappresentato, al contenuto e all’estensione dei poteri del rappresentante, alla durata del potere rappresentativo, alla revoca ed all’estinzione della procura, alla capacità del rappresentato, alle conseguenze del conflitto d’interessi e del contratto concluso con sè stesso, ed infine alle conseguenze del negozio concluso dal rappresentante senza poteri. Ugualmente rigorosa sarà, inoltre, la natura del controllo circa la forma della procura in relazione all’attività compiuta dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato. Se la procura ha per oggetto la vendita di beni immobili, ai sensi dell’art. 1350 c.c. e art. 1392 c.c., la procura deve essere conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere e, quindi, con atto pubblico o con scrittura privata. Per essere riconosciuta, la scrittura privata, ai sensi dell’art. 2703 c.c., deve essere autenticata da notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Ai sensi dell’art. 2703 c.c., comma 2, l’autenticazione consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è avvenuta in sua presenza ed il pubblico ufficiale, per autenticare la sottoscrizione, deve previamente accertare l’identità della persona che sottoscrive. Nel caso di procura rilasciata all’estero e ricevuta da notaio straniero, l’atto, per avere efficacia nello Stato italiano, deve essere legalizzato, salvo contrari accordi internazionali. La legalizzazione, richiesta per gli atti ed i documenti formati all’estero da autorità estere e da valere nello Stato, è disciplinata dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 30, 31 e 33, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. La legalizzazione consiste nell’attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonchè dell’autenticità della firma stessa. La Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961, ratificata e resa esecutiva con L. 20 dicembre 1966, n. 1253, ha abolito l’art. 1, l’obbligo della legalizzazione per gli atti pubblici formati in Stati aderenti, e fra essi esplicitamente include gli atti notarili art. 1, lettera lett. c . Gli artt. 3-5 della Convenzione dell’Aja, al fine della prova della veridicità della firma e del sigillo del pubblico ufficiale da cui promana l’atto, richiedono, ad opera della competente autorità dello Stato di provenienza, una apostille , ed inoltre ne completano la collocazione sull’atto medesimo o su un suo prolungamento, da apporre sull’atto stesso o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione. Alla stregua del tenore letterale di dette norme, ed in armonia con il loro inserimento in un accordo abolitivo della formalità della legalizzazione, la apostille non si traduce in una sorta di nuova legalizzazione od autenticazione della firma del pubblico ufficiale, nè ha valenza di parte integrante dell’atto, ma svolge la sua funzione su un piano estrinseco, provando i requisiti occorrenti per il godimento della regola agevolatrice. L’ apostille non fa parte dell’atto pubblico. Come affermato da questa Corte, l’ apostille , che, ai sensi degli artt. 3 e 5 della Convenzione dell’Aja, deve certificare la veridicità della firma e del sigillo del pubblico ufficiale da cui promana non è parte di detto atto, di modo che, ove sia redatta in epoca successiva e su un documento separato, non sposta in avanti la data di formazione dell’atto medesimo Cass. 17.6.1994, n. 5877 . Mancando tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti dall’estero. In presenza di una procura proveniente dall’estero, il notaio dovrà verificare - che sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano L. n. 218 del 1995, art. 60 e dunque indagare, se occorre, anche la disciplina applicabile nel paese di origine - che sia un atto proveniente da un’autorità competente di uno Stato straniero - che sia munita di legalizzazione od apostille, salvo la presenza di convenzioni bilaterali che aboliscono la legalizzazione e l’apostille - che non sia contraria ai parametri previsti dagli artt. 28 L.N. e 54 R.N. e che abbia in ogni caso, per il principio di congruità con l’atto al quale deve essere allegata, i requisiti minimi di sicurezza giuridica e di accertamento dell’identità del sottoscrittore richiesti per la circolazione in Italia del negozio principale. Nella specie, il notaio americano aveva il potere di autenticare la firma apposta dalla D.G. , ai sensi della Convenzione dell’Aja del 5-10-1961, cui hanno aderito gli Stati Uniti d’America. Come risulta dalla sentenza impugnata, la procura è stata rilasciata innanzi al al notaio I.A. , notary public, Allegheny County , come risulta dalla apostille , recante la sottoscrizione J.J.H. , Secretary of the Commonwealth of Pennsylvania . Ciò nonostante, tale autenticazione, per essere valida in Italia, doveva rispettare la disposizione di cui all’art. 2703 c.c. il pubblico ufficiale deve accertare l’identità della persona che la sottoscrive. Nella specie, risulta dalla sentenza impugnata che il notaio americano identificò D.G.M. con la data di nascita del omissis , mentre la predetta era nata l’8.6.1929. Risulta, pertanto, che la persona che ha sottoscritto la procura ha generalità diverse da quelle dell’attrice, nè sono menzionati i documenti di riconoscimento eventualmente esaminati. Dal che si evince che non vi è stato un accertamento dell’identità della persona che ha sottoscritto la procura, come richiesto dall’art. 2703 c.c La giurisprudenza di legittimità si è occupata in più occasioni della validità della procura alle liti, rilasciata all’estero con scrittura privata autenticata, affermando che il rispetto della lex fori italiana richiede che dall’autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione sia stata apposta alla presenza del notaio e che questi abbia accertato l’identità del sottoscrittore Cassazione civile, sez. un., 13/02/2008, n. 3410 Cassazione civile sez. II, 22/05/2008, n. 13228 . Questa Corte, pur rinviando alla lex soci, per la validità dell’atto pubblico o la scrittura privata rilasciata all’estero, ha ritenuto necessario che il diritto straniero non debba essere in contrasto con alcuni istituti fondamentali dell’ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore. Più di recente, in applicazione del medesimo principio, questa Corte, ha accolto l’eccezione di inammissibilità del controricorso per nullità della procura speciale rilasciata in Svizzera, non essendo stata allegata l’attività certificativa svolta dal notaio e, cioè, l’attestazione che la firma era stata apposta in sua presenza da persona di cui aveva accertato l’identità Cassazione civile, sez. III, 15/11/2017, n. 26951 . Ne consegue il rigetto del ricorso non perchè, come sostenuto dalla corte territoriale, la medesima avrebbe dovuto proporre istanza di verificazione della scrittura privata, ai sensi dell’art. 216 c.p.c., a seguito del disconoscimento della procura a vendere da parte della D.G. , ma perchè il notaio americano, che ha autenticato la firma, non ha accertato l’identità della D.G. , avendo identificato una persona con generalità diverse. L’autenticazione della firma, avvenuta tramite il procedimento previsto dalla Convenzione dell’Aja, non esime, infatti l’obbligo delpublic notary di identificare correttamente il soggetto che conferisce la procura. La motivazione della sentenza impugnata va, dunque, in tal senso corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c Va dichiarato assorbito il quarto motivo di ricorso, con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, poichè la corte non avrebbe considerato che l’autenticità della firma della D.G. sarebbe stata accertata nel procedimento penale, tramite consulenza tecnica d’ufficio. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per non aver la corte territoriale esaminato la domanda di condanna dello S. al risarcimento dei danni derivanti dall’annullamento dell’atto, consistenti nella restituzione del prezzo, oltre interessi e rivalutazione. Il motivo è inammissibile. La censura relativa al difetto di motivazione non coglie nel segno, essendo, nel caso di specie, ravvisabile il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., che, invece, non è stato dedotto dalla ricorrente. La differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si coglie nel senso che, mentre nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della domanda di appello , nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia Cassazione civile, sez. II, 22/01/2018, n. 1539 Cass. Civ., sez. TB, del 05/12/2014, n. 25761 . Poichè il ricorso per cassazione ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, esso deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge Cassazione civile sez. un., 24/07/2013, n. 17931 . Il ricorso va, pertanto, rigettato. La peculiarità della questione giuridica giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità. Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013 per il raddoppio del versamento del contributo unificato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.