Il recesso convenzionale dal contratto di locazione

In tutte le ipotesi di recesso convenzionale, il contratto di locazione si scioglie senza necessità di indagini sulla gravità e sull’importanza dell’inadempimento della parte.

Sul tema la Corte di Cassazione con ordinanza n. 4537/19, depositata il 15 febbraio. Il caso. Una s.r.l. stipulava un contratto di locazione ad uso diverso avente ad oggetto un immobile di proprietà di un’altra società versando contestualmente una ingente somma di denaro a titolo di canoni anticipati. Ma visto che il Comune negava alla prima società l’esercizio di attività commerciali nell’immobile locato, questa chiedeva la risoluzione del contratto per effetto dell’esercizio di recesso e la restituzione della somma anticipatoria. Nei primi due gradi di giudizi si dichiarava la risoluzione del contratto e l’obbligo per la società cedente il bene al risarcimento dei danni. Ad intervenire sul contratto è la Corte di Cassazione. Il recesso convenzionale. Al riguardo la Suprema Corte ricorda che, una volta risolto il contratto per effetto dell’esercizio di recesso, non si dà spazio ad altri motivi di risoluzione ma, proseguono sempre gli Ermellini con un orientamento giurisprudenziale consolidato, se vi è un grave inadempimento potrebbe configurarsi anche il diritto al risarcimento dei danni. Infatti, nei casi di recesso convenzionale, il contratto si scioglie senza necessità di indagini sulla gravità dell’inadempimento. A tale motivo la Corte di Cassazione non dà adito e lo considera infondato. La mancanza dell’obbligo del locatore. Mentre per quanto riguarda l’applicabilità o meno dell’art. 1578 c.c. vizi della cosa locata al caso in esame con riferimento al fatto che l’immobile potesse esser utilizzato o meno a fini di attività commerciali, occorre sottolineare che nel contratto stipulato tra le due società non vi è una clausola sull’obbligo gravante sul locatore ed è per questo che il Collegio Supremo intende accogliere tale motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 21 novembre 2018 – 15 febbraio 2019, n. 4537 Presidente Armano – Relatore Sestini Fatti di causa La D.P.S. Group s.r.l. stipulò, in data 20.12.2001, un contratto di locazione ad uso diverso avente ad oggetto un immobile di proprietà della Dalma s.r.l. e versò contestualmente la somma di 50 milioni di lire, oltre IVA, a titolo di canoni anticipati. Il contratto prevedeva che i locali fossero messi a disposizione della conduttrice, sì da poter essere fruibili per l’esercizio dell’attività di vendita, entro il 30.6.2002 e riconosceva alla conduttrice la facoltà di recedere dal contratto in caso di ritardo nella consegna superiore a sei mesi. Poiché il Comune di Potenza aveva negato l’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale, in data 1.1.2003 la D.P.S. Group esercitò il recesso previsto dall’art. 7 del contratto e, con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. del 7.5.2003, agì per sentir accertare l’avvenuta risoluzione del contratto per effetto dell’esercizio del recesso e -altresì per sentir accertare l’inadempimento contrattuale della Dalma s.r.l. e, per l’effetto, vederla condannare a restituire la somma ad essa anticipata a titolo di canoni e a risarcire i danni causati dal suo inadempimento. La Dalma resistette alla domanda e richiese, in via riconvenzionale, il rimborso di costi sostenuti per opere effettuate sull’immobile e il risarcimento dei danni per canoni non percepiti. Il Tribunale di Potenza dichiarò cessata la materia del contendere sulla domanda di risoluzione del contratto di locazione e condannò la Dalma al risarcimento dei danni quantificati in oltre 386.000,00 Euro e accessori , rigettando invece la riconvenzionale della convenuta. In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Potenza ha dichiarato risolto il contratto di locazione per effetto dell’esercizio del diritto di recesso e ha condannato la Dalma a restituire alla D.P.S. Group il deposito di 30.978,41 Euro oltre interessi dalla data del versamento , rigettando per il resto la domanda dell’originaria ricorrente. Rilevato che la domanda principale formulata col ricorso introduttivo era di dichiarare risolto il contratto per effetto dell’esercizio del recesso a partire dal 1/1/2003, e, in via subordinata, di accertare l’inadempimento contrattuale della Dalma s.r.l. , la Corte ha evidenziato che, una volta dichiarato risolto il contratto per effetto del diritto potestativo di recesso esercitato da una parte sulla base della previsione contrattuale, non vi è più spazio per altri motivi di risoluzione e che neppure può darsi corso a qualsivoglia richiesta risarcitoria, dall’una o dall’altra parte, in virtù di quanto eventualmente anticipato in vista dell’esecuzione del contratto, perché di tanto ciascuna si è assunto lo specifico rischio contrattuale ha aggiunto che il diritto di recesso era stato legittimamente esercitato, essendo anche passata in giudicato la statuizione sul punto e ha concluso che se, pertanto, il contratto deve pacificamente considerarsi sciolto per effetto della clausola di recesso, non residua alcuno spazio neppure per il risarcimento di danni che potrebbero configurarsi solo in presenza di un grave inadempimento contrattuale sul punto, ha osservato che non sussistevano le condizioni per ritenere integrato un inadempimento del locatore ex art. 1578 c.c., mentre restava ovviamente salvo il diritto del conduttore alla restituzione di quanto versato a titolo di deposito. La D.P.S. Group s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi ha resistito la Dalma s.r.l. con controricorso contenente ricorso incidentale basato su un unico motivo. Il Fallimento D.P.S. Group s.r.l. in liquidazione ha depositato memoria difensiva previamente notificata alle parti del giudizio. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1453 c.c. e contesta alla Corte di avere escluso in radice l’applicabilità di tale norma aderendo ad un orientamento assolutamente minoritario e non condivisibile in ragione del quale sussisterebbe una assoluta incompatibilità tra la domanda volta al legittimo esercizio del diritto di recesso e la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento richiama al riguardo Cass., S.U. n. 553/2009 rilevando che la stessa ha affermato che il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento della controparte e che l’alternativa che si pone per la parte non inadempiente non riguarda solo la scelta fra recesso e risoluzione, ma si estende necessariamente alla scelta fra l’incamerare la caparra o il suo doppio e l’instaurare il giudizio per ottenere il risarcimento del danno evidenzia che nel caso in esame non v’era alcuna previsione di caparra confirmatoria e conclude che la Corte di Appello ha quindi errato nell’interpretare la disposizione dell’art. 1453 c.c., lì dove ha ritenuto non potersi dare ingresso alla domanda di risoluzione ritualmente spiegata dalla D.P.S. Group . 1.1. Il motivo è infondato. Va innanzitutto rilevato che non risulta conferente il richiamo a Cass., S.U. n. 553/2009, che ha riguardato l’ipotesi in cui sia stata consegnata una caparra confirmatoria ed ha escluso che il contraente non inadempiente che abbia agito per la risoluzione e il risarcimento del danno possa proporre in appello una domanda nuova e inammissibile volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra o pagamento del suo doppio . Nel caso in esame, non risulta effettuato il versamento di una caparra bensì il deposito di canoni anticipati e non si pone pertanto l’alternativa fra la ritenzione della caparra o il pagamento del doppio e il risarcimento dei danni, ma si prospetta esclusivamente la questione della possibilità per colui che abbia esercitato il recesso convenzionale di sentirne accertare il legittimo esercizio e di chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’asserito inadempimento della controparte. Al riguardo, la Corte, ha correttamente affermato che, una volta dichiarato risolto il contratto per effetto dell’esercizio del diritto potestativo di recesso, non vi è più spazio per altri motivi di risoluzione , ma ha aggiunto -altrettanto correttamente ancorché con un’espressione di non felice conio che, solo in presenza di un grave inadempimento , potrebbe configurarsi il diritto al risarcimento dei danni. Siffatta conclusione è in linea con il pacifico orientamento di questa Corte secondo cui, in ipotesi di recesso convenzionale, il contratto si scioglie senza necessità di indagini sull’importanza e gravità dell’inadempimento, che acquistano invece rilevanza quando il recedente abbia preteso anche il risarcimento del danno per l’inadempimento in cui la controparte risulti incorsa al momento del recesso cfr. Cass. 10400/2008 e Cass. n. 21320/2017 cfr. anche Cass. n. 13079/2004 . 2. Il secondo motivo art. 360 c.p.c., n. 4 Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 contrasto irriducibile fra le affermazioni contenute in sentenza oggettiva incomprensibilità violazione dell’art. 111 Cost. è inammissibile per difetto di interesse, in quanto evidenzia un contrasto di affermazioni della Corte circa la possibilità di proporre nello stesso giudizio una domanda di accertamento della legittimità del recesso e una domanda di risoluzione che quand’anche sussistente sarebbe privo di rilievo giacché la Corte ha comunque aderito -come si è detto sopra alla tesi della possibilità di richiedere il risarcimento dei danni anche in caso di esercizio del recesso convenzionale in conformità all’impostazione sostanziale della ricorrente . 3. Col terzo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 1578 c.c. in relazione alla parte della sentenza che ha escluso che potesse ritenersi sussistente un grave inadempimento contrattuale della locatrice la ricorrente si duole che la Corte abbia liquidato l’argomento semplicemente richiamando un risalente principio espresso da Cass. n. 1735/2011, mentre avrebbe dovuto esaminare la fattispecie facendo riferimento a quanto più recentemente affermato da Cass. n. 15377/2016, a mente della quale la responsabilità del locatore per l’inidoneità di un immobile all’esercizio di un’attività commerciale può configurarsi anche quando la mancanza dei titoli abilitanti dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e, quindi, l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito al riguardo, trascrive alcuni passaggi del contratto di locazione e del provvedimento negativo del Comune di Potenza dai quali la Corte avrebbe potuto desumere la riferibilità del mancato rilascio delle autorizzazioni a carenze imputabili alla locatrice. 4. Col quarto motivo che denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c. e per la violazione dell’art. 111 Costituzione , la ricorrente rileva come la Corte abbia omesso qualsivoglia indagine circa il fatto 1 che l’immobile di cui alla locazione fosse destinato ad attività commerciale e che, 2 nella fattispecie, sussistessero carenze intrinseche o caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e, quindi, l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito evidenzia pertanto una mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale grafico . 5. I motivi -da esaminare congiuntamente sono fondati, ricorrendo un’evidente ipotesi di mancanza/apparenza della motivazione. La Corte si è infatti limitata a richiamare alcuni principi giurisprudenziali concernenti l’applicazione dell’art. 1578 c.c. e a concludere che nel contratto stipulato tra la Dalma e la D.P.S. Group, invece, non vi è una specifica clausola inerente l’obbligo gravante sul locatore ed il mero riferimento a locali immediatamente fruibili per la vendita non consente di porre a carico della locatrice un obbligo suddetto espressione che risulta all’evidenza inidonea a dare conto -neppure sinteticamente delle ragioni per cui le clausole contrattuali trascritte a pagg. 10 e 11 del ricorso non integrassero una specifica pattuizione volta a gravare la locatrice dell’onere di garantire la fruibilità dei locali secondo l’uso contrattualmente previsto. La sentenza va dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte di merito per la nuova verifica circa la sussistenza o meno di un grave inadempimento della Dalma rispetto agli obblighi contrattualmente assunti. 6. Il quinto motivo art. 360 c.p.c., n. 4 Nullità della sentenza per violazione dell’art. 437 c.p.c. art. 360 bis, n. 2 violazione del principio del contraddittorio violazione dell’art. 112 c.p.c. violazione dell’art. 111 Cost. nonché nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 contrasto irriducibile fra le affermazioni contenute in sentenza oggettiva incomprensibilità violazione art. 111 Cost. censura la Corte per essersi disinteressata della pur sollevata eccezione di inammissibilità dell’appello ed ha ritenuto di dover accogliere il secondo e il terzo motivo di appello proposto dalla Dalma senza considerare che, anche per tali motivi di appello, risultava evidente l’inammissibilità denunciata , conseguente al fatto che tutti i sei motivi di impugnazione si basano su una ricostruzione in fatto e in diritto diametralmente opposta o, comunque, in aperta contraddizione con quella sostenuta in primo grado dalla Dalma . Premesso che non sussiste la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto, passando allo scrutinio dei motivi, il giudice di appello ha evidentemente rigettato implicitamente l’eccezione di inammissibilità, deve escludersi sia stato violato il divieto di nova in appello di cui all’art. 437 c.p.c. se è pur vero che tale divieto non riguarda soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma è esteso alle contestazioni nuove, cioè non esplicitate in primo grado Cass. n. 4854/2014 , deve tuttavia ritenersi che, nella specie vi sia stato un mero svolgimento di argomentazioni difensive ulteriori o diverse da quelle svolte in primo grado e che tanto non è valso a integrare la denunciata violazione. 7. Il sesto motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti, individuato nella circostanza che, in sede di stipulazione del contratto, la locatrice aveva in mala fede sottaciuto che l’immobile oggetto di locazione avesse destinazione ad uso deposito, come tale inidoneo in radice a consentire al conduttore l’uso pattuito . Il motivo -inerente all’idoneità locatizia del bene e volto a dedurre, sotto un ulteriore profilo, l’inadempimento della locatrice-resta assorbito a seguito dell’accoglimento del terzo e del quarto motivo. 8. L’unico motivo del ricorso incidentale Violazione di legge in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. contraddittorietà della motivazione censura la sentenza per avere condannato la Dalma a restituire alla controparte il deposito cauzionale di 30.978,412 Euro, oltre interessi dalla data del versamento pur in presenza di una valutazione che aveva condotto la Corte a ritenere che la Dalma non fosse inadempiente. Il motivo, di per sé inammissibile per avere dedotto un vizio motivazionale in termini di contraddittorietà della motivazione, secondo il parametro del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è comunque infondato in quanto l’assunto della non inadempienza della Dalma era funzionale nell’economia della sentenza ad escludere il risarcimento del danno a carico della Dalma ma non anche il rimborso dei canoni anticipati una volta che il contratto era risultato risolto a seguito del recesso legittimamente operato dalla D.P.S. Group s.r.l 9. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite. 10. Sussistono, in relazione al ricorso incidentale, le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, con assorbimento del sesto dichiara inammissibile il ricorso incidentale cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Potenza, in diversa composizione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.