Il recesso nei contratti bancari: può venire meno per manifestata e concorde volontà scritta dei contraenti

L’irrevocabilità unilaterale del recesso, dal momento in cui l’emittente lo abbia comunicato alla controparte, non può comportare l’esclusione della facoltà per le parti, nell’esercizio della loro autonomia di far venire meno gli effetti della fattispecie estintiva, ponendo in essere una manifestazione concorde di volontà che, nel caso di contratto in forma scritta ad substantiam, deve risultare da atto scritto.

La vicenda posta al vaglio della Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi con la sentenza n. 1454, depositata il 18 gennaio 2019, concerne l’efficacia del recesso contrattuale esercitato dal correntista nell’ambito di un rapporto di conto corrente intercorso con una Banca. Il caso. L’istituto di credito citava in giudizio il correntista al fine di sentirlo condannare al pagamento di un importo dovuto a titolo di scoperto di conto corrente. Il cliente spiegava domanda riconvenzionale chiedendo invece la declaratoria di nullità dei contratti di gestione patrimoniale di apertura di credito, intervenuta dalla data successiva alla comunicazione di recesso contrattuale che egli aveva indirizzato alla banca. In via subordinata domandava la risoluzione del contratto per inadempimento della banca, con contestuale richiesta di condanna dell’istituto, alla restituzione delle somme indebitamente trattenute. Il primo grado vedeva la banca soccombente, con sentenza che dichiarava la nullità dei contratti di gestione patrimoniale e di apertura di credito di conto corrente, e condannava la banca alla restituzione di un importo in favore del correntista. In appello la sentenza era ribaltata. Nella vicenda in esame il cliente aveva esercitato il recesso contrattuale, mediante missiva recapitata alla Banca. Qualche tempo dopo lo stesso cliente aveva richiesto alla medesima banca una estensione della linea di credito la banca, sempre per iscritto, aveva accettato la richiesta di estensione della linea di credito. I Giudici dell’appello, sulla scorta dei fatti di causa, avevano ritenuto che il precedente recesso, esercitato dal cliente, fosse stato dallo stesso revocato per iscritto, con revoca accettata, sempre per iscritto, dalla banca la quale, come anticipato, aveva esteso la linea di credito del conto corrente. In buona sostanza le parti avevano posto nel nulla gli effetti del precedente scioglimento del rapporto di conto corrente. La pronuncia era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. Il correntista riteneva che il recesso, una volta validamente esercitato, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 1373 e 1334 c.c., avrebbe determinato l’estinzione dei contratti di gestione e di apertura di credito. Pertanto, la successiva missiva dal medesimo correntista indirizzata alla banca sarebbe stata, a suo dire, solo preliminare alla costituzione di un nuovo rapporto di conto corrente motivo per cui il conseguente riscontro scritto fornito dalla banca alla richiesta, avrebbe comportato solo la costituzione di un nuovo rapporto di conto corrente, distinto ed autonomo rispetto al precedente. Così sostenendo che la Corte di Appello avesse omesso di considerare un fatto decisivo della controversia. La revoca del recesso quale facoltà riconosciuta alle parti nell’ambito della loro autonomia purché esercitata nel rispetto delle forme richieste dalla legge. La Corte di Cassazione non condivideva la ricostruzione giuridica sostenuta dal correntista ricorrente. Il Giudici di ultima istanza affermavano che indubbiamente il recesso, una volta esercitato nelle forme di legge, è vincolante sia per chi lo esercita che per chi lo riceve, pur quando la sua efficacia, in ragione del particolare tipo di rapporto è differita. Inoltre il recesso diviene irrevocabile una volta portato a conoscenza dell’altra parte. Il vivo della questione era affrontata allorché la Corte chiariva che fermi i principi che regolano l’esercizio e l’efficacia del recesso, non possa comunque essere negata alle parti la facoltà di far venire meno gli effetti del recesso, attraverso una manifestazione di volontà inequivoca e concorde, risultante da atto scritto. La Cassazione specificava che tale facoltà è stata ribadita nella giurisprudenza di legittimità a proposito ad esempio del contratto di lavoro subordinato e che fosse estendibile anche con riferimento agli altri contratti, ivi compresi quelli bancari. In questo ambito i Giudici affermavano che nelle ipotesi di contratti con forma scritta obbligatoria, il negozio giuridico si possa perfezionare anche con la sottoscrizione di un documento da una sola parte, ove vi sia una successiva adesione del contraente non firmatario tanto a condizione che quest’ultima sia a sua volta contenuta in un atto scritto indirizzato all’altra parte ed avente tutti i requisiti idonei ad integrare una volontà contrattuale. Ultimo requisito necessario è quello che la volontà non venga revocata dal proponente prima che lo stesso abbia avuto notizia dell’accettazione della controparte. Concludendo. Tornando al caso specifico, vi era stata una accettazione tacita del recesso da parte della banca. La successiva nota scritta con cui il cliente richiedeva l’estensione della linea di credito veniva interpretata dai giudici come volontà di revoca del recesso contrattuale precedentemente esercitato. A tale revoca del recesso era seguita l’accettazione, sempre scritta, della revoca del recesso da parte della banca, la quale non aveva neppure provveduto alla vendita dei titoli esistenti nel portafoglio del cliente. I Giudici, sulla scorta della documentazione prodotta, ritenuta inidonea ad approdare a conclusioni differenti, e del contegno avuto dalle parti, non qualificavano la lettera della banca come nuova proposta contrattuale, bensì come accettazione della revoca del recesso e, quindi, come inequivoca e concorde volontà delle parti di porre nel nulla gli effetti della fattispecie estintiva di recesso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 settembre 2018 – 18 gennaio 2019, n. 1454 Presidente Schirò – Relatore Valitutti Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato il 30 giugno 2008, Fortis Bank SA NV conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, F.T.M. , chiedendo accertarsi la sussistenza di un credito nei confronti del convenuto per l’importo di Euro 180.709,90, pari a quanto dal medesimo dovuto, alla data dell’1 aprile 2009, a titolo di scoperto di conto corrente. Costituitosi in giudizio, il F.T. spiegava domanda riconvenzionale, ai fine di ottenere la declaratoria di nullità dei contratti di gestione patrimoniale, di apertura di credito, di pegno e di conto corrente intercorsi con la banca, dalla data successiva al recesso da tali contratti comunicato all’istituto di credito il 22 novembre 2006, ovvero - in subordine - la pronuncia di risoluzione di tali contratti per inadempimento della Fortis Bank, con condanna della medesima alla restituzione delle somme indebitamente trattenute. Il Tribunale adito, con sentenza n. 3320/2013, rigettava le domande proposte dall’istituto di credito, accoglieva parzialmente la domanda riconvenzionale del convenuto, dichiarando la nullità dei contratti di gestione patrimoniale e di apertura di credito in conto corrente. Quindi, operata la compensazione nei rapporti di dare ed avere tra le parti, accertava la sussistenza di un debito del cliente nei confronti della banca, per l’ammontare di Euro 28.948,96 alla data del 31 marzo 2009, importo poi corretto - con ordinanza del 19 giugno 2013, emessa a seguito di istanza ex art. 287 c.p.c. - in quello di Euro 189,84. 2. Con sentenza n. 3655/2016, depositata il 5 ottobre 2016, la Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, condannava il F.T. al pagamento, in favore della Banca Nazionale del Lavoro BNL cessionaria del ramo di azienda in precedenza esercitato dalla Fortis Bank , della somma di Euro 180.708,90, oltre interessi dall’1 aprile 2009 al saldo. Il giudice di seconde cure riteneva che le parti avessero concordemente posto nel nulla - mediante espressa dichiarazione di revoca del recesso da parte del F.T. , implicitamente accettata dalla banca gli effetti del richiesto scioglimento del rapporto da parte del correntista, e che non sussistessero i presupposti per l’emissione della chiesta pronuncia di risoluzione del contratto di gestione patrimoniale per inadempimento dell’istituto di credito agli obblighi informativi relativi alla gestione. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso F.T.M. nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro, affidato a due motivi. La resistente ha replicato con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con i due motivi di ricorso - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente - il F.T. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1334 e 1373 c.c., D.Lgs. 12 febbraio 1998, n. 58, art. 23 e D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 117, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. 1.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che il recesso comunicato dal F.T. alla Fortis Bank in data 22 novembre 2006 sia stato concordemente posto nel nulla dalle parti, a seguito della revoca del recesso operata con lettera del cliente in data 5 dicembre 2006, riscontrata dalla banca mediante missiva del 16 gennaio 2007, con la quale l’istituto di credito - come si evince dall’impugnata sentenza - accettava la richiesta, formulata dal F. , di estensione della linea di credito ad Euro 945.000,00 . Il giudice di secondo cure non avrebbe tenuto conto, ad avviso dell’istante, del fatto che - in forza del combinato disposto degli artt. 1373 e 1334 c.c. - il recesso, una volta venuto a conoscenza della banca, aveva determinato l’estinzione dei contratti di gestione e di apertura di credito in conto corrente, con conseguente irrevocabilità del medesimo da parte del cliente, la cui dichiarazione del 5 dicembre 2006 sarebbe esclusivamente prodromica alla costituzione di un nuovo rapporto contrattuale con l’istituto di credito. Sicché, la nuova proposta di quest’ultimo - contenuta nella missiva del 16 gennaio 2007, successiva alla risoluzione del contratto - sarebbe stata finalizzata alla costituzione di un rapporto diverso ed autonomo dal precedente. 1.2. D’altro canto - osserva il ricorrente - la revoca consensuale dell’effetto risolutivo del contratto, connesso all’esercizio del recesso, avrebbe richiesto una manifestazione di volontà delle parti in forma scritta - atteso che i contratti bancari richiedono la forma scritta ad substantiam, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117 - forma che, nel caso concreto, peraltro, non sussisterebbe. 2. Le censure sono infondate. 2.1. Va osservato, in proposito, che - secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti - l’atto con il quale si esercita il recesso convenzionale art. 1373 c.c. o legale art. 1385 c.c. costituente esplicazione di un diritto di sciogliere unilateralmente il contratto in deroga al principio espresso dall’art. 1372 c.c., comma 1, - è immediatamente vincolante sia per l’emittente che per la controparte, anche quando l’efficacia ne sia differita per il compimento di atti conseguenti al recesso nella specie la vendita dei titoli contenuti nel portafoglio del correntista . Il recesso è, di conseguenza, irrevocabile dal momento in cui il destinatario ne abbia avuto notizia, ai sensi dell’art. 1334 c.c., derivandone l’estinzione immediata del preesistente rapporto contrattuale. L’esercizio del diritto di recesso - sia esso convenzionale o legale - importa, invero, la risoluzione ipso iure del rapporto obbligatorio con effetto ex nunc di guisa che esso, rappresentando un quid pluris, rispetto alla semplice domanda giudiziale di risoluzione del contratto, preclude, al pari di quest’ultima, ogni forma di adempimento tardivo Cass., 16/05/1962, n. 1098 . Sotto tale profilo, pertanto, le deduzioni del ricorrente circa l’irrevocabilità del recesso comunicato alla controparte, una volta che quest’ultima ne sia venuta a conoscenza, devono considerarsi fondate e condivisibili. 2.2. E tuttavia, le suesposte affermazioni di principio, circa l’irrevocabilità unilaterale del recesso dal momento in cui l’emittente lo abbia comunicato alla controparte, non possono comportare l’esclusione della facoltà per le parti del contratto, nell’esercizio della loro autonomia art. 1322 c.c. , di far venire meno gli effetti della fattispecie estintiva, ponendo in essere una manifestazione concorde di volontà che, nel caso di contratto in forma scritta ad substantiam, deve risultare da atto scritto Cass., 14/11/2000, n. 14730 . Tale principio - come correttamente osservato dalla Corte d’appello - è stato, d’altro canto, affermato più volte da questa Corte in altri campi del diritto. Ed invero, con riferimento alla società di persone, si è ritenuta legittima una manifestazione di volontà concorde di tutti i soci diretta a porre nel nulla la dichiarazione di recesso emessa da uno di essi Cass., 24/09/2009, n. 20544 del pari, in materia di contratto di lavoro, si è affermato che le parti, d’accordo, possono fare cessare gli effetti del recesso del datore di lavoro, o del lavoratore Cass., 15/06/2011, n. 13090, Cass., 18/05/2006, n. 11664, secondo cui il licenziamento disciplinare, intimato senza il rispetto delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 dello statuto dei lavoratori, può ritenersi revocato ed il rapporto di lavoro ricostituito mediante un accordo delle parti Cass., 29/04/2011, n. 9575, in tema di revoca delle dimissioni del lavoratore . Anche in materia contrattuale, peraltro, sia pure con riferimento a fattispecie di scioglimento del contratto diverse dal recesso, questa Corte ha affermato che la rinuncia agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento, che si sia già verificata per una delle cause previste dalla legge artt. 1454, 1455 e 1457 c.c. , ovvero anche per effetto di pronuncia giudiziale art. 1453 c.c. , costituisce tipica espressione dell’autonomia privata art. 1322 c.c. , che come riconosce al creditore il diritto potestativo di non eccepire preventivamente l’inadempimento che potrebbe dare causa alla risoluzione del contratto, così non gli nega quello di non avvalersi della risoluzione già verificatasi o già dichiarata, e di ripristinare contestualmente l’obbligazione rimasta inadempiuta Cass., 04/05/1991, n. 4908 . 2.3. Ebbene, nel caso di specie, non può revocarsi in dubbio che le parti abbiano concordemente posto nel nulla il recesso comunicato dal cliente alla banca con comunicazione in data 22 novembre 2006, mediante uno scambio di successivi atti scritti, costituiti dalla missiva del F.T. del 5 dicembre 2006, di revoca del precedente recesso, e dalla accettazione implicita di tale revoca da parte dell’istituto di credito, operata con missiva del 16 gennaio 2007, con la quale la banca ampliava, altresì, la linea di credito accordata al correntista. Deve trovare, invero, applicazione - nella fattispecie concreta - il principio secondo cui, in tema di contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam , il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte. Sempre che detto documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l’individuazione o quantomeno l’individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente, prima che lo stesso abbia avuto notizia, anche in forma verbale o per facta concludentia , purché in modo idoneo a giungere a conoscenza dell’altra parte, dell’accettazione della controparte Cass., 15/04/2016, n. 7543 . 2.4. Nel caso concreto, la Corte territoriale ha accertato che la banca - con missiva del 16 gennaio 2007, indirizzata al F.T. - accettava implicitamente la revoca del recesso tanto vero che, non soltanto non dava corso alla vendita dei titoli esistenti nel portafoglio del cliente - che l’istituto di credito era tenuto ad alienare, in caso di recesso, nei successivi quindici giorni, ai sensi dell’art. 11 del contratto di gestione patrimoniale -, ma riconosceva altresì al cliente un’estensione della linea di credito da Euro 625.000,00 ad Euro 945.000,00. Se ne deve inferire la sussistenza, nella specie, di una manifestazione di volontà concorde delle parti, espressa nella forma scritta richiesta dalla legge, diretta a porre nel nulla gli effetti del recesso del cliente ed a proseguire il medesimo rapporto, che in effetti - come accertato dalla Corte territoriale p. 6 - veniva proseguito regolarmente per circa due anni dopo la comunicazione del recesso, essendosi estinto soltanto in data 26 settembre 2008. Va infine soggiunto, al riguardo, che il ricorrente non ha neppure riprodotto, né allegato al ricorso, il contenuto della missiva del 16 gennaio 2007, che - a suo dire - conterrebbe una nuova proposta contrattuale, onde consentire alla Corte di delibarne il contenuto, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 . 3. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso del F.T. deve essere rigettato. Devono trovare applicazione i seguenti principi di diritto l’atto con il quale il contraente esercita il recesso convenzionale art. 1373 c.c. o legale art. 1385 c.c. , costituente esplicazione di un diritto di sciogliere unilateralmente il contratto in deroga al principio espresso dall’art. 1372 c.c., comma 1, è immediatamente vincolante sia per l’emittente che per la controparte, anche quando l’efficacia ne sia differita per il compimento di atti conseguenti il recesso è, di conseguenza, irrevocabile dal momento in cui il destinatario ne abbia avuto notizia, ai sensi dell’art. 1334 c.c., derivandone l’estinzione immediata del preesistente rapporto contrattuale l’irrevocabilità unilaterale del recesso, dal momento in cui l’emittente lo abbia comunicato alla controparte, non può comportare l’esclusione della facoltà per le parti, nell’esercizio della loro autonomia art. 1322 c.c. , di far venire meno gli effetti della fattispecie estintiva, ponendo in essere una manifestazione concorde di volontà che, nel caso di contratto in forma scritta ad substantiam, deve risultare da atto scritto . 4. Le spese del presente giudizio, in forza del principio di soccombenza, vanno poste a carico del ricorrente. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma i quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.