La responsabilità della banca per l’illecito dei propri dipendenti

La responsabilità della banca per il fatto illecito commesso dai propri dipendenti si configura tutte le volte in cui il fatto lesivo sia stato prodotto da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa del dipendente sempre che sia rimasto nell’ambito dell’incarico affidatogli.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31185/18, depositata il 3 dicembre. La vicenda. Due attori convenivano in giudizio la Banca chiedendo l’accertamento dell’insussistenza di loro obbligazioni nei confronti della stessa sulla base delle movimentazioni relative al conto corrente cointestato, nonché la condanna al risarcimento danni per essere stati imputati del reato di appropriazione indebita. La banca chiamava in manleva due suoi dipendenti autori delle condotte fonti di danno. Il ricorso proposto dagli originari attori è dichiarato improcedibile perché non è stato depositato l’atto notificato come attestato dalla cancelleria. Il ricorso incidentale della Banca è invece dichiarato dalla Suprema Corte infondato per i motivi che seguono. La responsabilità della banca. A tal proposito, sul caso in esame, gli Ermellini ricordano che la responsabilità della banca per il fatto illecito commesso dai propri dipendenti si configura tutte le volte in cui il fatto lesivo sia stato prodotto o agevolato da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa del dipendente e anche se questi abbia operato oltre i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro, mentre la contestazione dell’affidamento degli attori rimanda ad accertamenti di fatto e al riesame degli atti di causa non consentito in sede di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 18 giugno 3 dicembre 2018, n. 31185 Presidente De Chiara Relatore Caiazzo Fatto e diritto RILEVATO CHE R.G. e A.M.C. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Lodi la Banca Popolare di Lodi chiedendo l’accertamento dell’insussistenza di loro obbligazioni nei confronti della stessa banca sulla base delle movimentazioni relative al conto corrente loro cointestato, nonché la condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni subiti per essere stati imputati del reato di appropriazione indebita, nonché a causa degli articoli giornalistici che li riguardarono, e per le spese sostenute. Si costituì la banca convenuta, chiamando in manleva B.G. e S.S. , suoi dipendenti autori delle condotte fonti di danno, per il caso di propria condanna e spiegando domanda riconvenzionale nei confronti degli attori per il danno cagionato alla stessa banca. Il Tribunale accolse la domanda di accertamento negativo, rigettando sia la parte della domanda principale relativa al risarcimento dei danni che la domanda riconvenzionale. Avverso tale sentenza proposero appello, con distinti atti, il Banco Popolare, e gli attori originari. La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Banco Popolare a risarcire a R.G. e A.M.C. il danno non patrimoniale liquidato in Euro 5000,00 per ciascuna delle parti, oltre interessi. R. e A. hanno proposto ricorso per cassazione, che però non hanno depositato, come risulta in atti. Il Banco Popolare si è costituito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato a cinque motivi ha altresì depositato memoria. CONSIDERATO CHE Il ricorso principale di R.G. e A.M.C. è improcedibile poiché non è stato depositato l’atto notificato come attestato dalla cancelleria. Il ricorso incidentale del Banco popolare ora Banco BPM s.p.a. è infondato. Con il primo motivo la parte ricorrente ha denunziato la violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 132, n. 4, c.p.c., 183, 345, 112, c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la banca avesse proposto tardivamente la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni, nei confronti dei ricorrenti principali, per il loro concorso colposo nel fatto doloso del funzionario infedele della banca Il motivo non ha fondamento. Invero, la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale della banca in quanto fondata sulla colpa degli attori nell’aver agevolato l’illecito degli altri funzionari attraverso l’uso del loro conto corrente, perché tardivamente introdotta con la memoria ex art. 183 c.p.c., mentre con la comparsa di risposta era stata dedotta esclusivamente una responsabilità per dolo degli attori. Il ragionamento della Corte di merito - corretto in astratto - non è in concreto smentito, nei suoi presupposti di fatto, dalla ricorrente incidentale, atteso che dal suo controricorso non emerge che nella comparsa di risposta fosse stata dedotta in via riconvenzionale una responsabilità per colpa - oltre che per dolo - degli attori. Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente incidentale, infatti, non possono considerarsi indici sicuri della deduzione di un’ipotesi di responsabilità colposa né i riferimenti, nella comparsa di risposta, alla agevolazione della condotta dei funzionari bancari infedeli da parte degli attori, ben potendo l’agevolazione essere configurata, in astratto, sia come colposa che dolosa né i riferimenti all’ omissione di controlli sull’operato dei medesimi funzionari, per l’analoga ragione che l’omissione del pari può essere deliberata o colpevole. E l’opzione ermeneutica nel senso dell’avvenuta deduzione di una responsabilità per dolo è confermata dal riferimento - giustamente sottolineato dalla Corte d’appello - all’ accordo illecito tra i funzionari e gli attori dedotto nella comparsa stessa. Quanto sin qui osservato assorbe ogni ulteriore considerazione svolta con il motivo in esame dalla ricorrente incidentale, che vanamente indugia nel riferire passaggi dell’atto di citazione o della sentenza impugnata privi di concreta rilevanza ai fini dell’interpretazione della comparsa della banca convenuta argomentabile con chiarezza in base al contenuto di quest’ultima. Il secondo motivo - con cui è stata denunziata la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 2043 c.c., per aver escluso la responsabilità dei convenuti in riconvenzionale, e la nullità della sentenzaè inammissibile essendo stata la responsabilità per dolo esclusa dalla Corte d’appello in punto di fatto onde sarebbe stato necessario sollevare una censura ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. , ed essendo stata la responsabilità per colpa esclusa, come si è visto, dallo scrutinio per inammissibilità della relativa domanda. Con il terzo motivo è stata denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost.,dell’art. 2033 e dell’art. 2041, c.c., nonché la nullità della sentenza ex art. 132, numero , c.p.c., censurandosi il rigetto della domanda di rimborso degli accrediti affluiti sul conto corrente degli attori per indebito oggettivo o arricchimento senza causa. Il motivo è infondato, in quanto la Corte d’appello ha motivato il rigetto con l’accertamento che le somme non erano entrate nell’effettiva disponibilità dei clienti. E tale motivazione è corretta in diritto, poiché se non c’era stato effettivo impossessamento delle somme, non poteva parlarsi né di pagamento indebito, né di arricchimento dei mancati percettori. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione degli artt. 2049 e 1227, c.c., oltre che degli artt. 111 Cost. e 132, n. 4, c.p.c., avendo la Corte d’appello condannato la banca al risarcimento dei danni non patrimoniali, liquidati equitativamente, per l’ingiusto coinvolgimento di R. e A. nel processo penale, contestandosi la sussistenza in concreto del nesso di occasionalità necessaria tra la condotta dei funzionari infedeli e l’incarico loro affidato dalla banca, nonché l’affidamento incolpevole dei clienti. Il motivo è infondato, atteso che la Corte territoriale ha correttamente applicato l’art. 2049 c.c., ritenendo configurato, nei confronti dei funzionari infedeli, il nesso di occasionalità necessaria con le funzioni di cui questi erano investiti dalla banca, mentre le critiche della ricorrente tendono a una diversa inammissibile - ricostruzione dei fatti. Infatti, la responsabilità della banca per fatto illecito dei propri dipendenti scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa del dipendente, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia rimasto comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli cfr., per tutte, Cass., n. 8219/2013 , mentre la contestazione dell’affidamento degli attori rimanda ad accertamenti di fatto e al riesame degli atti di causa non consentito in sede di legittimità. Con il quinto motivo è stata denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116, c.p.c., per aver la Corte respinto la domanda di manleva nei confronti di B.G. il motivo è inammissibile perché diretto al riesame dei fatti concernenti la posizione del B. nella vicenda in questione. La reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. La Corte dichiara improcedibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. numero /2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma Ibis dello stesso articolo 13.