A determinate condizioni è possibile che la tutela prevista per il consumatore si estenda anche all’imprenditore

Condizione imprescindibile per applicare la disciplina del consumatore è che a stipulare il contratto sia stata una persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, abbia inteso soddisfare con il contratto esigenze della sua vita quotidiana, personale o familiare estranea all’esercizio della sua attività.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 31014/18, depositata il 30 novembre. Il fatto. La domanda proposta da un imprenditore volta ad ottenere da parte di una compagnia assicuratrice - con la quale lo stesso aveva stipulato una polizza assicurativa contro il furto di un furgone - il pagamento di una somma di denaro a titolo di indennizzo, veniva dichiarata improcedibile sia nel primo che nel secondo grado del giudizio in virtù di una clausola prevista nel contratto. In particolare, tale clausola prevedeva che la liquidazione dei danni avesse luogo attraverso accordo tra le parti ovvero, in sua assenza, come nel caso di specie, mediante perizia contrattuale con conseguente rinuncia temporanea alle azioni giudiziarie nascenti dal contratto. La Corte di Appello negava, inoltre, che la clausola contrattuale in oggetto avesse natura vessatoria, e rilevava che, ad ogni modo, l’imprenditore l’aveva specificatamente approvata per iscritto, escludendo, infine che quest’ultimo con la stipula della polizza avesse agito come consumatore, essendo egli commerciante, titolare di una ditta con partita IVA, e utilizzando il veicolo assicurato per lo svolgimento della sua attività professionale. L’imprenditore proponeva ricorso per Cassazione. Gli Ermellini hanno ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso proposti dal ricorrente per violazione di norme di legge ritenendo ciascuna delle statuizioni della Corte distrettuale sorretta da una motivazione non solo logica, adeguata e coerente con le premesse in fatto, ma anche conforme alla giurisprudenza di legittimità. In particolare, con specifico rifermento ad una delle doglianze mosse dal ricorrente, i giudici di legittimità rilevano che l’imprenditore aveva inequivocabilmente stipulato la polizza in questione, in veste di imprenditore, con correlativa indicazione della partita IVA, e quindi, correttamente la Corte di Appello aveva escluso che si potesse applicare la disciplina del codice del consumo. Per il Collegio, l’indicazione da parte del ricorrente dell’applicazione della disciplina consumeristica al piccolo imprenditore in ragione della ricorrenza di un asserito squilibrio informativo e della posizione di sudditanza contrattuale che riveste e caratterizza tutta la normativa in materia” si scontra con la scelta del legislatore di non equiparare al consumatore le piccole imprese e quelle artigiane scelta che ha superato anche il vaglio di costituzionalità cfr. Corte Cost. 22/11/2002, n. 469 . Inoltre, essi proseguono, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la clausola contrattuale in oggetto, insieme con altre sei ritenute vessatorie e come tali da sottoporre alla disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., è stata indicata separatamente ed autonomamente rispetto alle altre clausole. Non avendo la compagnia assicuratrice richiamato in blocco né tutte le condizioni generali, né una parte di esse, ma solo un numero contenuto di clausole tutte ritenute vessatorie con l’indicazione della corrispondente rubrica che ne indicava sinteticamente il contenuto – sette su un consistente numero di clausole integranti le condizioni generali e speciali di polizza – per i giudicanti risulta soddisfatta la ratio dell’art. 1341 c.c., in quanto può dirsi adeguatamente richiamata l’attenzione dell’aderente sul suo contenuto. Concludendo. I Giudici, pertanto, in rigetto di tutti i motivi di ricorso, concludono affermando che nella sentenza impugnata risulta logicamente motivata a ricostruzione della volontà contrattuale ossia in assenza di accordo tra le parti era necessario ricorrere alla perizia contrattuale. Non risultava perciò prospettabile una diversa via proprio perché l’indicazione contrattuale di una perizia come modo per addivenire alla liquidazione dell’indennizzo aveva la funzione di vietare, in attesa che la valutazione peritale avesse termine, il ricorso giurisdizionale sullo stesso fatto oggetto di accertamento. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che la presenza di tale clausola comporti la temporanea rinuncia delle parti al ricorso giurisdizionale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 8 – 30 novembre 2018, numero 31014 Presidente Vivaldi – Relatore Gorgoni Fatti di causa In primo Tribunale di Milano, sentenza numero 263/2014 ed in secondo grado Corte d’Appello di Milano, sentenza numero 4376/2016 , la domanda di C.A. , volta ad ottenere dalla Zurich Insurance PLC, con cui aveva stipulato una polizza assicurativa contro il furto di un furgone, il pagamento di Euro 6.120,00 pari alla differenza tra il valore del bene rubato e la somma ricevuta a titolo di indennizzo per il furto subito , o, in subordine, la restituzione della parte di premio eccedente il valore effettivamente assicurato, veniva ritenuta improcedibile, in virtù della clausola numero 23 del contratto. Tale clausola prevedeva che la liquidazione dei danni avesse luogo attraverso accordo tra le parti ovvero, in sua assenza, come nel caso di specie, mediante perizia contrattuale con conseguente rinuncia temporanea alle azioni giudiziarie nascenti dal contratto. La Corte d’appello negava, inoltre, che la clausola numero 23 avesse natura vessatoria, rilevava che, comunque, era stata specificamente approvata per iscritto, escludeva che C.A. , stipulando la polizza assicurativa, avesse agito come consumatore, essendo egli commerciante, titolare di una ditta con partita Iva, e utilizzando il veicolo assicurato per lo svolgimento della sua attività professionale. Con tre motivi, illustrati da memoria, C.A. ricorre per la cassazione della decisione della Corte d’Appello di Milano numero 4376/2016. Resiste con controricorso Zurich Insurance Plc. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione e mancata applicazione, da parte del giudice a quo, degli artt. 1362, 1369 e 1370 c.c. nella parte in cui ha ritenuto che l’art. 23 delle condizioni di polizza prevedesse una modalità obbligatoria e non facoltativa di liquidazione del danno, imputandogli di non essersi attivato, una volta ricevuta da Zurich l’offerta di indennizzo, per richiedere una perizia del danno. La tesi dell’esponente, quanto alla clausola numero 23 del contratto, è che a il suo tenore letterale contrastasse con la ritenuta obbligatorietà del ricorso alla perizia contrattuale b fosse inequivocabilmente vessatoria c contrastasse con l’art. 3 Cod. ass. priv., in quanto limitava e scoraggiava la funzione indennitaria del contratto di assicurazione. In aggiunta, essendo il suo significato dubbio, il ricorrente denuncia che il giudice avrebbe dovuto, ricorrendo all’art. 1370 c.c., interpretarla nel senso più favorevole all’aderente, al fine di evitare che quest’ultimo fosse indotto a non ricorrere al perito per non affrontarne la relativa spesa, con esclusivo vantaggio dell’impresa assicuratrice. 2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., il ricorrente denuncia la nullità della clausola siccome interpretata dalla Corte territoriale, per violazione del principio indennitario. 3. Con il terzo motivo - art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. - il ricorrente censura la parte della sentenza in cui è stata esclusa la vessatorietà della clausola non essendo essa una clausola arbitrale. Premesso che la controversia con la Zurich Insurance aveva natura giuridica - l’applicazione dell’art. 20 delle condizioni generali di contratto che per gli autocarri prevedeva che non si dovesse far riferimento al criterio del valore commerciale al momento del sinistro, ma al deprezzamento secondo i criteri indicati in una tabella allegata - e non tecnica, essa, ad avviso del ricorrente, non avrebbe potuto essere oggetto di una perizia contrattuale, ma solo di un arbitrato. In aggiunta, l’esponente deduce che la modalità di sottoscrizione della clausola numero 23, in quanto facente parte di un elenco di clausole e non specificamente richiamata in modo da renderne percepibile la gravosità, non avrebbe soddisfatto la ratio di cui all’art. 1341 c.c. ed insiste per il riconoscimento della sua qualità di consumatore, in ragione dello squilibrio informativo e della sua posizione di sudditanza contrattuale, al fine di ottenere l’applicazione dell’art. 33 e dell’art. 36 Cod.cons 4. Non sembrano costituire un autonomo motivo di censura - e comunque non avrebbero alcuna rilevanza in sede di scrutinio di legittimità - le richieste di liquidazione dell’indennizzo nella misura di Euro 6.120,00 o, in subordine, nella misura corrispondente ai premi indebitamente percepiti dalla Zurich Insurance e quella di ammissione di testi pp. 18 ss. del ricorso . 5. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. A giudizio di questo Collegio, ciascuna delle statuizioni della Corte d’Appello risulta sorretta da una motivazione non solo logica, adeguata e coerente con le premesse in fatto, ma anche conforme alla giurisprudenza di legittimità. In particolare - risulta logicamente motivata la ricostruzione della volontà contrattuale in assenza di accordo era necessario ricorrere alla perizia contrattuale. Non risultava prospettabile una terza via, proprio perché l’indicazione contrattuale di una perizia come modo per addivenire alla liquidazione dell’indennizzo aveva la funzione di vietare, in attesa che la valutazione peritale avesse termine, il ricorso giurisdizionale sullo stesso fatto oggetto di accertamento. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che la presenza di tale clausola comporti la temporanea rinuncia delle parti al ricorso giurisdizionale Cass. 20/08/2015, numero 17022 - avendo offerto la Corte di merito un’interpretazione coerente con il tenore letterale della clausola e aderente ai precedenti di questa Corte, il ricorrente avrebbe dovuto non formulare, come ha fatto, una propria differente ricostruzione della volontà delle parti, né insistere sul contenuto vessatorio della clausola, ma dimostrare in che modo l’interpretazione del giudice a quo frustrasse lo scopo pratico che lo stipulato contratto era volto a realizzare e addivenisse a un risultato ermeneutico che rendeva irrealizzabile il programma contrattuale - non corrisponde al vero che sia stata demandata a terzi la soluzione di questioni prettamente giuridiche, al contrario la perizia contrattuale aveva ad oggetto il mero accertamento e il rilievo di dati tecnici. A tal fine la giurisprudenza è chiara nell’individuazione della differenza tra arbitrato e perizia non vi è dubbio che quando al terzo sia richiesto di determinare, come in questo caso, l’ammontare dell’indennizzo, non ricorrano l’arbitraggio né l’arbitrato, ma la perizia contrattuale Cass. 16/02/2016, numero 2996 28/06/2016, numero 13291 - deve escludersi che nel caso di specie fosse data alle parti la possibilità di agire in giudizio per chiedere la determinazione dell’indennizzo, perché la clausola di polizza che devolve a terzi l’accertamento o il rilievo, tramite perizia contrattuale , di dati tecnici nella specie la misura dell’indennizzo non impedisce alle parti di agire in giudizio solamente per la soluzione di controversie implicanti questioni giuridiche inerenti l’esistenza, la validità o l’efficacia del contratto, sottratte alla competenza dei periti, cui è demandata dalle parti una dichiarazione di scienza Cass. 16/02/2016, numero 2996 - per questa Corte, la clausola di un contratto di assicurazione, con la quale le parti conferiscono ad una o più persone il potere di effettuare una perizia contrattuale con accertamento sostitutivo della loro volontà e per esse vincolante, non ha carattere compromissorio o, comunque, derogativo della competenza del giudice ordinario, per cui non rientra fra quelle da approvarsi specificamente per iscritto a norma degli art. 1341 e 1342 c.c. Cass. 02/02/2006, numero 2277 Cass. 11/05/2011, numero 10332 . A renderla vessatoria non basta che sia predisposta su di un modulo proveniente dalla impresa assicuratrice, perché l’efficacia realmente dirimente, ai fini di una pronuncia di nullità delle clausole contrattuali asimmetriche , deve essere attribuita alla relativa riconducibilità nel novero di quelle previste dall’art. 1341 c.c. e tale caratteristica fa difetto secondo la giurisprudenza di legittimità nel caso di specie. - non provano il contrario i principi giurisprudenziali formatisi sulle clausole abusive/vessatorie secondo la disciplina consumeristica di derivazione comunitaria, i quali non possono essere automaticamente trasposti alle clausole vessatorie ai sensi dell’art. 1341 c.c. In altri termini, il fatto che questa Corte abbia ritenuto vessatoria/abusiva una clausola di contenuto analogo a quella qui in esame ai sensi del Codice del consumo Cass. 10/04/2015, numero 7176 non è di alcuna utilità per il ricorrente, perché la disciplina consumeristica non solo ha ampliato le fattispecie di clausole abusive rispetto a quelle di cui all’art. 1341 ed ha aggravato le relative sanzioni, disponendo comunque la nullità - inefficacia delle clausole abusive in danno del consumatore, nullità rilevabile dal giudice anche d’ufficio ed indipendentemente da ogni specifica dichiarazione di accettazione ma inevitabilmente ha imposto diversi e più ampi criteri interpretativi delle fattispecie da ritenere abusive, in relazione alle finalità perseguite dalla Direttiva comunitaria - condizione imprescindibile per applicare la disciplina consumeristica è che a stipulare il contratto sia stata una persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, abbia inteso soddisfare con il contratto esigenze della sua vita quotidiana, personale o familiare, estranea all’esercizio dell’attività così ex multis Cass. 05/07/2018, numero 17586 . C.A. aveva inequivocabilmente stipulato la polizza nella veste di imprenditore, con correlativa indicazione della partita Iva, e, quindi, correttamente la Corte d’Appello ha escluso che si potesse applicare al contratto la disciplina del codice di consumo - l’invocazione da parte del ricorrente della applicazione della disciplina consumeristica al piccolo imprenditore in ragione della ricorrenza di un asserito squilibrio informativo e della posizione di sudditanza contrattuale che riveste e caratterizza tutta la normativa in materia si scontra con la scelta del legislatore di non equiparare al consumatore le piccole imprese e quelle artigiane scelta che ha superato anche il vaglio di costituzionalità Corte Cost. 22/11/2002, numero 469 - contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la clausola numero 23, insieme con altre sei ritenute vessatorie e come tali da sottoporre alla disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., è stata indicata separatamente ed autonomamente rispetto alle altre clausole. Non avendo la compagnia di assicurazioni richiamato in blocco né tutte le condizioni generali, né una parte di esse, ma solo un numero contenuto di clausole tutte ritenute vessatorie con l’indicazione della corrispondente rubrica che ne indicava sinteticamente il contenuto - sette su un consistente numero di clausole integranti le condizioni generali e speciali di polizza - risulta soddisfatta la ratio dell’art. 1341 c.c., perché può dirsi adeguatamente richiamata l’attenzione dell’aderente sul suo contenuto argomentando a contrario rispetto a Cass. 09/07/2018, numero 17939 Cass. 12/10/2016, numero 20606 Cass. 03/11/2014, numero 24193 - non è pertinente la giurisprudenza richiamata dal ricorrente relativa alla violazione dell’art. 3 del Codice delle assicurazioni, quale norma generale sulla vigilanza del mercato assicurativo, a tutela della effettività dei diritti degli assicurati, in relazione all’art. 1882 c.c., che reca la causa del contratto di assicurazione, ossia la funzione indennitaria, da parte di clausole che prevedano un meccanismo di corresponsione dell’onorario degli arbitri correlato al valore della causa, ma non in misura proporzionale indipendente dall’esito della controversia, nel senso che ciascuna parte è tenuta al pagamento del compenso dell’arbitro da essa nominato e di metà di quello dovuto al terzo, a prescindere dalla circostanza che risulti vittoriosa o soccombente Cass. 30/06/2015, numero 13312 . La ragione per cui questa giurisprudenza è inconferente è che, per le ragioni già chiarite e ripetutamente confermate dalla giurisprudenza di legittimità, la clausola in esame non era una clausola arbitrale compromissoria, ma una previsione relativa alla modalità di liquidazione dell’indennizzo in caso di mancato accordo tra le parti. 6. Ne consegue il rigetto del ricorso. 7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. 8. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. numero 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. numero 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. numero 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.