La prova della data certa di un documento: le indicazioni della Suprema Corte

Con ordinanza n. 24137 del 3 ottobre 2018, i Giudici della Corte di Cassazione hanno affrontato la questione della prova della data certa di un documento, statuendo, per un verso, che le date valute indicate dalla banca nel c.d. partitario non sono idonee a provare il tempo di effettivo compimento delle operazioni in conto, per altro che, il timbro postale in autoprestazione è invece strumento idoneo a conferire certezza di data alle scritture private con cui faccia corpo unico .

Il caso. Una s.r.l. in fallimento conveniva in giudizio la propria banca innanzi al Tribunale di Napoli per chiedere l’accertamento a in via principale, dell’inefficacia ex art. 44 l.f. dell'incameramento, effettuato in epoca posteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento, di alcune somme risultanti dall'estratto di conto corrente b in via subordinata, dell'inopponibilità al Fallimento degli atti di costituzione di pegno in favore della banca ovvero dell'escussione degli stessi. Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda principale e la banca proponeva gravame innanzi alla Corte di Appello di Napoli. La Corte territoriale riformava la sentenza di primo grado rigettando tutte le richieste avanzate dal fallimento. Segnatamente, i Giudici di Appello rilevavano che per contrastare la domanda del fallimento, la banca aveva prodotto il c.d. partitario del conto corrente in questione e che, rispetto a tale documentazione, aveva errato il giudice del primo grado nell'escluderne l'utilizzabilità probatoria, ritenendola priva di data certa quest’ultima risultando, per contro, dalla data di valuta dei movimenti che notoriamente coincide con la data effettiva degli stessi . Con specifico riferimento ai pegni, inoltre, la Corte napoletana rilevava altresì che la data certa degli atti costitutivi dei medesimi risultasse dal timbro postale in autoprestazione sull'ultimo foglio delle scritture private interessate e che comunque null’altro occorreva trattandosi di pegni aventi natura irregolare . Il fallimento ricorreva per cassazione formulando due motivi di gravame e contestando la sentenza di primo grado i per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riferimento agli artt. 2704, 2697 c.c. in relazione all'art. 44 l.f. ii per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riferimento agli artt. 2797 e 1851 c.c. in relazione agli artt. 44 e 53 l.f. La prova della data certa. Con il primo motivo di ricorso il Fallimento lamenta che i documenti di cui al c.d. partitario non sono in realtà estratti di c/c , bensì un mero elenco di movimenti stampati su fogli bianchi, privi di qualsiasi intestazione e di cui è assolutamente dubbia la provenienza e la data , non potendosi riconoscere attendibilità alle date delle valute. Quanto poi alle scritture di pegno, ad avviso del ricorrente, i timbri postali in autoprestazione non sarebbero idonei a fornire la data certa delle stesse. I Giudici di legittimità, esaminato il primo motivo, lo ritengono parzialmente fondato. Osserva infatti la Corte che le date valute non sono idonee a provare il tempo di effettivo compimento delle operazioni in conto essendo nota la prassi bancaria di utilizzarle in funzione marcatamente convenzionale ciò allo scopo di postergare il tempo di effettuazione dei versamenti in conto e antergare invece il tempo dei prelievi. Le date valute pertanto non possono essere in grado di conferire data certa a un documento, mancando tutti i presupposti per potere ravvisare nelle stesse il fatto che dia certezza uguale a quella recata dai fatti di cui all'art. 2704 c.c. In ordine invece alle scritture costitutive di pegno, la Corte non ritiene fondata l’argomentazione del ricorrente ciò alla luce del proprio precedente orientamento per cui il timbro postale in autoprestazione è strumento idoneo a conferire certezza di data alle scritture private con cui faccia corpo unico Cass., 28 maggio 2012, n. 8438 . Aggiungono, poi, i Giudici di Legittimità che la questione relativa all'effettivo riscontro della sussistenza sul corpo del documento di un timbro postale in autoprestazione , è valutazione di fatto come tale non sindacabile in sede di legittimità. Sul pegno irregolare. Con il secondo motivo di ricorso il Fallimento lamenta invece che la Corte di Appello di Napoli avrebbe errato nel ritenere che i pegni posti a garanzia della posizione della banca fossero irregolari”, con conseguente non applicazione della normativa di cui agli artt. 44 e 53 l.f I Giudici di legittimità accolgono le argomentazioni del fallimento osservando che, in ipotesi di pegno irregolare, il creditore acquisisce sin da subito la proprietà dei titoli presi in garanzia potendone disporre sicché tale potere di disposizione dei beni dati in pegno non è affatto conferito – diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale – per lo scopo di soddisfare il proprio diritto. Né, aggiungono gli ermellini, nel caso di pegno irregolare, il creditore deve disporre della cosa presa in pegno per soddisfare il proprio credito. Secondo l'inequivoco disposto dell'art. 1851 c.c., di fronte all'inadempimento del debitore, il creditore qui si limita comunque a restituire l'eventuale eccedenza dei titoli rispetto al montante del credito garantito sia che sia tuttora proprietario dei titoli presi in garanzia, sia che non lo sia più dovendo, in tal caso, approvvigiornarsi sul mercato della misura dei titoli occorrente . Il potere di disporre dei titoli per soddisfarsi del proprio diritto è invece tipico della figura normativa del pegno regolare, posto l’art. 2797 c.c. disciplina l'ipotesi di vendita a prezzo corrente del bene preso in garanzia. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 24137 del 3 ottobre 2018, accoglie pertanto il primo motivo di ricorso, nei limiti di quanto sopra illustrato, nonché il secondo, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Napoli affinché, in diversa composizione, si attenga ai principi di diritto enunciati. La data certa del timbro postale alcuni precedenti di legittimità. Conforme alla sentenza qui in commento, cfr. Cass. 28 maggio 2012 n. 8438, secondo cui qualora la scrittura privata non autenticata formi un corpo unico col foglio sul quale è impresso il timbro postale, la data risultante da quest'ultimo è data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita, mentre grava sulla parte che contesti la certezza della data l'onere di provare — pur senza necessità di querela di falso — che la redazione del contenuto della scrittura è avvenuta in un momento diverso”. Analogamente v. Cass. 14 giugno 2007 n. 13912 Cass. 11 ottobre 2006 n. 21814 Cass. 28 giugno 2002 n. 9482.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 22 maggio – 3 ottobre 2018, n. 24137 Presidente Campanile – Relatore Dolmetta Fatto e diritto 1.- Il Fallimento della s.r.l. omissis ha adito il Tribunale di Napoli, per chiedere l’accertamento dell’inefficacia ex art. 44 legge fall. dell’ incameramento delle somme risultanti dall’estratto relativo a un dato conto corrente, come effettuati dalla Banca Monte dei Paschi di Siena in epoca posteriore alla sentenza dichiarativa per chiedere in subordine l’accertamento dell’inopponibilità al Fallimento di taluni atti di costituzione di pegno in favore della Banca ovvero, e in ulteriore subordine, dell’escussione degli stessi. Il tutto con condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite. Con sentenza n. 2832/2013 il Tribunale ha accolto la domanda principale così formulata. La Banca ha interposto appello. 2.- Con pronuncia del 23 agosto 2016, la Corte di Appello di Napoli ha riformato la decisione di primo grado, rigettando tutte le richieste avanzate dal Fallimento. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che, per contrastare la domanda del Fallimento, la Banca aveva prodotto della propria documentazione contabile, indicante la natura di mero partitario ossia di conto avente mera evidenza contabile del conto corrente in questione e che, rispetto a tale documentazione, aveva errato il giudice del primo grado nell’escluderne l’utilizzabilità probatoria, ritenendola priva di data certa questa risultando, per contro, dalla data di valuta dei movimenti, che notoriamente coincide con la data effettiva degli stessi . Con specifico riferimento ai pegni, inoltre, la Corte napoletana ha rilevato che, comunque, la data certa degli atti costitutivi dei medesimi risultava dal timbro postale in autoprestazione sull’ultimo foglio delle scritture private interessate e che altro in proposito non occorreva, trattandosi di pegni aventi natura irregolare . 3.- Contro la pronuncia della Corte di Appello ricorre adesso il Fallimento dello omissis , articolando due motivi per la sua cassazione. La Banca Monte dei Paschi resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno pure depositato memorie ex art. 380 bis cod. proc. civ. 4.- Il primo motivo di ricorso propone questa intestazione ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riferimento agli artt. 2704, 2697 cod. civ. in relazione all’art. 44 legge fall. . Nel merito, il motivo contesta entrambe le determinazioni assunte dalla Corte campana in punto di data certa sia quella relativa alla documentazione di cui al partitario , sia quella relativa agli atti costitutivi dei pegni. Rispetto al primo profilo, il motivo osserva, in via di approccio, che i documenti prodotti dalla Banca non sono in realtà estratti di c/c , bensì un mero elenco di movimenti stampati su fogli bianchi, privi di qualsiasi intestazione e di cui è assolutamente dubbia la provenienza e la data . Per poi venire a specificare che le diverse date di valuta annotate a margine delle operazioni non possono in ogni caso costituire un punto dirimente , considerando che per prassi l’applicazione di date di valuta differenti dalla effettiva data dell’operazione è rimessa alla discrezionalità della banca . Rispetto alla prova del tempo di formazione delle scritture di pegno, come risultante da timbri postali in autoprestazione , il motivo viene a mettere in evidenza che le Poste Italiane hanno emesso delle specifiche informazioni per la clientela , con cui hanno indicato dettagliatamente tutte e le sole operazioni da compiere per conferire data certa all’invio postale . Per poi riscontrare che, nel concreto delle scritture che interessano, dalla documentazione che la Corte di Appello territoriale ha, con la sentenza impugnata, erroneamente giudicato opponibile alla curatela, non risultano soddisfate le indicazioni richiamate da Poste Italiane. 5.- Il motivo va, per una parte, accolto e per l’altra parte invece respinto. Va accolto con riferimento alla documentazione indicativa, nella prospettiva assunta dalla Banca, dell’esistenza di un conto partitario . È invero del tutto tradizionale la prassi bancaria di utilizzare le date valuta in funzione marcatamente convenzionale allo scopo di postergare il tempo di effettuazione dei versamenti in conto e antergare invece il tempo dei prelievi e di tale prassi la normativa del Testo unico bancario conserva ancora oggi qualche traccia . Le date valute non risultano, pertanto, idonee a provare il tempo di effettivo compimento di operazioni in conto. Tanto meno possono essere in grado di conferire data certa a un documento, mancando tutti i presupposti per potere ravvisare nelle stesse il fatto che dia certezza uguale a quella recata dai fatti nominati nell’art. 2704 cod. civ. Il motivo va invece respinto con riguardo alle scritture costitutive di pegno. Secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il timbro postale in autoprestazione è strumento idoneo a conferire certezza di data alle scritture private con cui faccia corpo unico Cass., 28 maggio 2012, n. 8438 . È poi valutazione di fatto - come tale non sindacabile in sede di legittimità - quella relativa all’effettivo riscontro, a livello di fattispecie concretamente esaminata, di un fatto costituito dalla sussistenza sul corpo del documento di un timbro postale in autoprestazione . 6.- Il secondo motivo di ricorso lamenta ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riferimento agli artt. 2797 e 1851 cod. civ. in relazione agli artt. 44 e 53 legge fall. . Con questo motivo, il Fallimento censura in specie la sentenza della Corte di Appello là dove questa ha ritenuto che i pegni posti a garanzia della posizione della Banca fossero da qualificare come pegni irregolari, con conseguente non applicazione della normativa di cui all’art. 44 legge fall. e di cui all’art. 53 legge fall Rileva in proposito il Fallimento che la sentenza ha tratto la qualificazione irregolare dal pegno dalle clausole contrattuali che avrebbero consentito alla Banca di escutere il pegno provvedendo direttamente, senza le formalità previste all’art. 2797 cod. civ. . 7.- Il motivo merita di essere accolto. La Corte di Appello ha motivato la propria soluzione, della natura irregolare dei pegni presi in considerazione, con il seguente rilievo allorquando . il contratto di costituzione del pegno riconosca specificamente alla banca garantita il potere di disporre dei titoli per soddisfarsi del proprio credito, si esula dall’ipotesi di pegno irregolare artt. 1997 e 2748 cod. civ. e si rientra, viceversa, nella disciplina delineata dal predetto art. 1851 cod. civ., in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento . La soluzione predicata dalla sentenza risulta errata sin nella sua impostazione giuridica di base. Al di là degli impropri riferimenti codicistici, tale soluzione confonde infatti pegno regolare e pegno irregolare, riducendo il secondo al primo e così annullando l’autonomia delle rispettive strutture. Nel caso di pegno irregolare, in realtà, il creditore acquisisce sin da subito la proprietà dei titoli presi in garanzia e da questo momento ne può senz’altro disporre. Sì che il potere di disposizione dei beni dati in pegno non è affatto conferito per lo scopo per poter soddisfare il proprio diritto, come per contro ritiene la sentenza. Né, nel caso di pegno irregolare, il creditore deve disporre della cosa presa in pegno per soddisfare il proprio credito. Secondo l’inequivoco disposto dell’art. 1851 cod. civ., di fronte all’inadempimento del debitore il creditore qui si limita comunque a restituire l’eventuale eccedenza dei titoli rispetto al montante del credito garantito sia che sia tuttora proprietario dei titoli presi in garanzia, sia che più non lo sia dovendo, in tal caso, approvvigiornarsi sul mercato della misura dei titoli occorrente . Il potere di disporre dei titoli per soddisfarsi del proprio diritto è invece tipico della figura normativa del pegno regolare, come non manca di indicare la norma dell’art. 2797 cod. civ., in particolare nel suo secondo comma, là dove viene disciplinata l’ipotesi di vendita a prezzo corrente del bene preso in garanzia. 8.- In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso nella parte indicata nel secondo capoverso del precedente n. 5, e il secondo motivo. Di conseguenza, va cassata la sentenza impugnata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Napoli che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto sopra indicati e provvederà, altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e il secondo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversa alla Corte di Appello di Napoli che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.