Riparto dell’onere della prova nell’azione redibitoria: eventuale assegnazione alle Sezioni Unite

È rimessa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite l’annosa questione relativa all’applicabilità del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 13533/2001 in tema di garanzia per vizi della cosa venduta in particolare all’azione redibitoria oppure se la specialità dei rimedi giustifichi una soluzione diversa. L’orientamento in base al quale spetta al compratore dimostrare il vizio e la sua preesistenza alla vendita, mentre spetta al venditore dimostrare i fatti che per legge impediscono, escludono o estinguono i rimedi della garanzia, deve essere rivisto?

È quanto si legge nell’ordinanza interlocutoria n. 23015/18 della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata il 26 settembre. Il caso. La P. Illuminazione S.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso, su istanza del Fallimento Artistica Vetroluce S.r.l., dal Giudice di pace di Firenze per il pagamento di una somma di denaro quale corrispettivo per la fornitura di merce effettuata dalla Artistica Vetroluce S.r.l. in bonis, sostenendo che la merce presentava dei vizi e dei difetti debitamente e tempestivamente denunciati via fax. Veniva pertanto richiesta la risoluzione del contratto. Il Giudice rilevava, tuttavia, che i diversi fax con i quali i vizi erano stati denunciati, avevano contenuto generico e che, in ogni caso, tale mezzo non dava certezza alcuna circa la sua ricezione da parte della venditrice. Si rilevava, inoltre, che non vi era stata la dimostrazione di quanto riportato nei fax in quanto la prova per testimoni richiesta dalla P. Illuminazione S.r.l. non era stata espletata per mancata citazione e quindi comparizione del teste. A sostegno della sua posizione, il Giudice di pace richiamava il principio di diritto di cui alla sentenza n. 13533/01 delle Sezioni Unite sottolineando che la sua applicazione non dispensava il compratore dall’onere di provare l’esistenza del titolo, cosa che nel caso di specie non si riteneva avvenuta. La società P. proponeva appello, dichiarato inammissibile dal Tribunale. Veniva quindi proposto ricorso per cassazione lamentando con il primo motivo la violazione degli artt. 133 c.p.c., 1492, 1495, 2697 c.c. nella parte in cui il giudice di pace aveva ritenuto che il fax non costituisce mezzo idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati e con il secondo motivo la violazione degli artt. 1460 e 2967 c.c. nella parte in cui il giudice di pace ha ritenuto che il compratore non avesse dato sufficiente prova della esistenza dei vizi. Il fax come mezzo di prova. È opinione ormai consolidata quella in guisa della quale la denuncia dei vizi può essere fatto con qualunque mezzo che risulti idoneo a portare a conoscenza dei venditore i vizi riscontrati ex multis SS.UU. n. 328/1991 . Il fax, infatti, è uno strumento che permette di inviare messaggi a distanza attraverso la linea telefonica in altri termini l'apparecchio trasmittente si collega con l'apparecchio del ricevente inviando il messaggio e lasciando una attestazione circa l’avvenuto invio in cui viene riportata la data e l’ora. Per le caratteristiche appena esposte, il fax è un idoneo strumento di comunicazione, rappresentando uno dei modi attraverso i quali può svolgersi serenamente la cooperazione e l’informazione tra diversi soggetti. La ricevuta del fax, quindi, ove è indicato il nominativo di chi lo invia e di chi lo riceve, il numero di telefono nonché le pagine inviate, è mezzo sufficiente di controllo ad assicurare la ricezione del documento spedito. Tuttavia, si tratta di una prova più debole di una scrittura privata, talché il fax può costituire una prova documentale solo se non contestato dalla controparte. Per contestare il valore probatorio di un fax è necessaria una dichiarazione di disconoscimento che, però, non può essere generico. Ciò che risulta problematico, invece, è l’onere della prova circa l’avvenuta ovvero la mancata ricezione della comunicazione via fax. Ci si chiede, cioè, a chi spetti la prova della mancata ricezione laddove il destinatario contesti la trasmissione della comunicazione. Il riparto dell’onere della prova alla luce delle Sezioni Unite del 2001. È il secondo motivo di ricorso a sollevare dubbi in quanto annoso è il contrasto giurisprudenziale a riguardo. Fino al 2013 era unanime nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale in tema di azioni di garanzia per i vizi della cosa venduta, disciplinate dagli artt. 1490 e ss. c.c., l’onere della prova dei difetti riscontrati nonché delle conseguenze dannose derivanti e del nesso causale tra questi, gravi sul compratore, incombendo sul venditore l’onere della prova liberatoria della mancanza di colpa art. 1493, comma 1 c.c. solo in caso di preventiva dimostrazione, da parte del compratore, dell’inadempimento. In altri termini, l’acquirente che esercita l’azione di garanzia ha l’onere di dimostrare i fatti costitutivi del diritto oggetto della domanda cfr. Cass. n. 1035/1968 Cass, n. 8963/1994 . A partire dal 2013, tuttavia, alcune decisioni hanno dissentito da quanto appena esposto, ritenendo l’orientamento fino a quel momento unanime incompatibile con il principio giurisprudenziale affermato dalla storica sentenza a Sezioni Unite n. 13533/2001 in tema di riparto dell’onere della prova in caso di inadempimento di un’obbligazione. In tale sede, è d’uopo ricordare, la Corte di Cassazione nella sua massima composizione ha affermato che in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione . Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni , gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento . Applicando il principio de quo si è ritenuto, quindi, che il vizio della cosa debba essere considerato quale inesatto adempimento cfr Cass. n. 20100/2013 sarà sufficiente per il compratore acquirente/creditore allegare l’inesatto adempimento ovvero la denuncia dei vizi, stando invece a carico del venditore debitore , alla stregua della c.d. vicinanza della prova”, l’onere di dimostrare di aver consegnato la cosa esente da qualsivoglia difetto. Al precedente orientamento viene criticato, in particolare, il mancato esame delle vicende aventi ad oggetto un contratto di compravendita alla luce delle Sezioni Unite del 2001 cfr. Cass. n. 21927/2017 L’orientamento unanime fino al 2013 l’onere della prova nel contratto di compravendita dipende dalla natura della garanzia per vizi. Anche dopo l’importante sentenza del 2001, alcune pronunce cfr. Cass. n. 23060/2009 hanno aderito alla tesi secondo cui l’onere della prova dei vizi è sempre a carico del compratore e che comunque dipende dalla natura della garanzia per vizi. Per comprendere meglio il punto, occorre una breve e sintetica disamina delle pronunce giurisprudenziali sulla natura della garanzia de qua. In particolare, si ritiene che la garanzia per evizione e per vizi delle cose abbiano un fondamento giuridico unitario esse operano indipendentemente dalla colpa del venditore requisito necessario solo per il risarcimento del danno e trovano la loro ragion d’essere nella tutela dell’equilibrio sinallagmatico. La tutela del compratore, invece, si realizza attraverso l’azione estimatoria o quanti minoris e con la risoluzione del contratto azione c.d. redibitoria . Tali rimedi operano nei limiti del ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto, e non è concesso al compratore l’azione di esatto adempimento salvo ipotesi previste dalla legge come, ad esempio, nel caso di vendita di beni di consumo o nel caso in cui il venditore si sia impegnato alla riparazione del bene secondo il principio di diritto sancito nella sentenza SS.UU. n. 19702/2012 . La garanzia, si deve sottolineare, non è sostitutiva dei rimedi contrattuali generali di diritto comune ben può il compratore, alla luce di inadempimenti del venditore diversi da quelli previsti dalla disciplina di cui agli artt. 1490 e ss. c.c., sollevare un’azione di responsabilità ordinaria per mancato adempimento. Alla luce di ciò l’orientamento in base al quale spetta al compratore dimostrare il vizio e la sua preesistenza alla vendita, mentre spetta al venditore dimostrare i fatti che per legge impediscono, escludono o estinguono i rimedi della garanzia, deve essere rivisto? Le Sezioni Unite del 2001 e la garanzia per vizi. Le Sezioni Unite del 2001 pongono l’accento, come noto, sul principio di presunzione e persistenza del diritto desumibile dall’art. 2697 c.c. sul debitore grava la prova dell’avvenuto adempimento e deve ritenersi operante anche se l’azione proposta dal creditore è di risoluzione ovvero di risarcimento del danno. In caso di garanzia per vizi, però, l’inadempimento che è presupposto comune delle azioni di cui all’art. 1453 c.c. del venditore trova origine in un fatto anteriore alla stipulazione del contratto, e non sembrerebbe essere d’aiuto nemmeno l’estensione dei principi del 2001 all’inesatto adempimento e ciò con particolare riferimento all’azione redibitoria. A dire il vero, le Sezioni Unite, non hanno affrontato e risolto la questione inerente l’onere della prova nelle azioni di garanzia previste dalla disciplina del contratto di compravendita. Si tratta, ad onor del vero, di una fattispecie che coinvolge questioni sulle quali la giurisprudenza coeva offre soluzioni contrastanti e, nello stesso tempo, di massima importanza nell’applicazione della disciplina della vendita, e cioè se il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite del 2001 sia o meno applicabile in tema di garanzia per vizi. Per tali ragioni la Corte, con la presente ordinanza interlocutoria, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 4 luglio – 26 settembre 2018, numero 23015 Presidente Petitti – Relatore Tedesco Considerato in fatto La Porreca Illuminazione S.r.l. proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo emesso, su istanza del Fallimento omissis S.r.l., dal Giudice di pace di Firenze per il pagamento della somma di Euro 2.507,65, richiesta quale corrispettivo per la fornitura di merce effettuata dalla omissis S.r.l. in bonis. A sostegno dell’opposizione deduceva che i beni presentavano vizi e difetti tali da renderli inidonei all’uso a cui erano destinati, vizi e difetti tempestivamente denunciati con una pluralità di fax. Chiedeva pertanto pronunciarsi la risoluzione del contratto. Il fallimento del venditore proponeva querela di falso, e a ciò seguiva la sospensione del giudizio, con la rimessione delle parti innanzi al Tribunale di Napoli, che dichiarava la nullità della querela e l’inammissibilità dell’azione proposta dal fallimento. Eseguita la riassunzione il giudice di pace rigettava l’opposizione e la domanda riconvenzionale del compratore. Il giudice rilevava che i fax con i quali i vizi erano stati denunciati avevano contenuto generico e, in ogni caso, il mezzo usato per la denuncia non dava certezza circa la sua ricezione da parte della venditrice. Il giudice aggiungeva che soprattutto era mancata la dimostrazione delle asserzioni e circostanze riportate nei fax , posto che la prova per testimoni, richiesta dall’opponente sul punto, non era stata poi espletata a causa della mancata comparizione del teste, che non era stato citato. Il giudice di pace richiamava il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza numero 13533 del 2001, ma aggiungeva che la sua applicazione non dispensava il compratore dall’onere di provare l’esistenza del titolo, mentre, nella specie, ciò non era avvenuto, non essendo sufficientemente idonea la prova della denuncia dei vizi e difetti mossa da parte opponente ai fini della invocata azione redibitoria . L’appello proposto dall’opponente contro la sentenza era dichiarato inammissibile dal Tribunale di Firenze ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c Il tribunale, dopo avere precisato che in tema di compravendita, l’onere di provare l’esistenza dei vizi incombe al compratore, rilevava che l’appellante si era limitata a contestare infondatamente tale posizione di principio, senza contestare la valutazione giudiziale sulla mancata prova degli stessi vizi da parte del compratore. Per la cassazione della sentenza la Porreca Illuminazione ha proposto ricorso affidato a due motivi. Il Fallimento omissis S.r.l. ha resistito con controricorso. La causa è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria della Sesta Sezione. Ritenuto in diritto 1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 113 c.p.c., 1492, 1495, 2697 c.c. art. 360, comma primo, numero 3, c.p.c. . La ricorrente sostiene che il fax, diversamente da quanto ha ritenuto il giudice di pace, costituisce mezzo idoneo ai fini della denuncia dei vizi da parte del compratore. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1460 e 2697 c.c La sentenza è censurata nella parte in cui il giudice di pace ha ritenuto che il compratore non avesse dato prova sufficiente della esistenza dei vizi. La ricorrente sostiene che non è il compratore a dover provare l’esistenza dei vizi denunciati, ma è onere del venditore provare di avere consegnato la cosa immune da vizi. 2. La sentenza impugnata è evidentemente fondata su due autonome rationes decidendi a il fax non costituisce mezzo idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati tale ratio è censurata con il primo motivo di ricorso b il compratore non ha dato la prova della sussistenza dei vizi. Tale seconda ratio contiene una implicita statuizione sulla ripartizione dell’onere della prova degli stessi vizi, che è posto a carico del compratore. Essa è oggetto del secondo motivo di ricorso. Non sembra invece identificare una ratio decidendi autonoma, sufficiente da sola a sorreggere la decisione negativa per il compratore, l’inciso che si legge nella parte finale della sentenza sulla decadenza dei termini anche ai fini prescrittivi . Ai sensi dell’art. 1495, comma 3, c.c., il compratore convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, cioè soprattutto per il pagamento del prezzo, può sempre far valere la garanzia, in qualunque momento sia stata proposta dal venditore l’azione di adempimento, anche se ciò sia avvenuto dopo l’anno dalla consegna, purché i vizi siano stati denunziati al venditore non solo entro otto giorni dalla loro scoperta, ma anche entro l’anno dalla consegna. 3. Gli argomenti proposti con il primo motivo di ricorso sembrano trovare conforto nel principio, consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui la denuncia dei vizi può essere fatta con qualunque mezzo che in concreto si rilevi idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati Cass. numero 5142/2003 S.U., numero 328/1991 numero 6326/1986 . Seppure in diverso ambito la Corte ha preso posizione anche sulla problematica della prova della ricezione di comunicazioni effettuate a mezzo fax Cass. numero 5168/2012 . Si vuole in altre parole sostenere che la decisione del ricorso potrebbe richiedere una presa di posizione sulla questione di principio posta dal secondo motivo di ricorso, in ordine alla ripartizione dell’onere della prova in caso di inadempimento del contratto di compravendita. Su tale questione, però, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha dato recentemente soluzioni contrastanti. 4. In verità la soluzione fatta propria dalla sentenza impugnata, secondo cui tale onere è a carico del compratore, è stata fino al 2013 unanime nella giurisprudenza di questa Corte. Il principio è generalmente espresso nei seguenti termini In tema di azioni di garanzia per vizi della cosa venduta, di cui agli artt. 1490 e ss. c.c., vale il principio che l’onere della prova dei difetti, assunti, riscontrabili nella cosa stessa e delle eventuali conseguenze dannose da detti difetti derivanti, nonché dell’esistenza di un nesso causale fra questi e quelle incombe al compratore che faccia valere la cennata garanzia, mentre l’onere della prova liberatoria della mancanza di colpa incombente al venditore ex art. 1493, comma 1, c.c., scatta soltanto quando la controparte abbia preventivamente dimostrato l’effettiva sussistenza della sua denunciata inadempienza Cass. numero 8963 del 1998 conf. Cass. numero 7986/1991 numero 2841/1974 . Insomma, in base a tale orientamento, l’acquirente che esercita l’azione di garanzia deve fornire la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto oggetto della domanda, con particolare riguardo alla sussistenza del vizio ed alla sua preesistenza alla conclusione del contratto, non essendo onere del venditore - di fronte ad una tempestiva denuncia - provare l’insorgenza del vizio dopo la conclusione del contratto stesso Cass. numero 1035 del 1968 . A partire dal 2013 alcune pronunce si sono consapevolmente discostate da tale orientamento, ritenuto non compatibile con il seguente principio giurisprudenziale, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la importante sentenza numero 13533 del 2001 In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione . Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni , gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento . Nell’affermare il principio le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento di obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento è sempre a carico del creditore anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento del danno. 5. Secondo Cass. numero 20110 del 2013 il vizio della cosa deve essere considerato alla stregua di un adempimento inesatto, cui applicare i principi stabiliti in via generale dalle Sezioni Unite nel 2001. Si legge nella motivazione della sentenza In particolare, occorre osservare che in tema di compravendita, l’obbligazione di dare posta a carico del venditore è di risultato, in quanto l’interesse perseguito dall’acquirente è soddisfatto con la consegna di un bene in grado di realizzare le utilità alle quali, secondo quanto pattuito, la prestazione sia preordinata. Ne consegue che all’acquirente creditore sarà sufficiente allegare l’inesatto adempimento ovvero denunciare la presenza di vizi o di difetti che rendano la cosa inidonea all’uso alla quale è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, essendo a carico del venditore debitore , in virtù del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene ove sia stata fornita tale prova, sarà allora onere del compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa, ascrivibile al venditore . . Tale soluzione è stata recepita dalla recente Cass. numero 21927 del 2017, nella quale c’è una espressa critica delle più recenti pronunce che hanno seguito il precedente orientamento Cass. 18125 del 2013 e Cass. numero 3042/2015, non massimata. A queste pronunce si rimprovera di avere richiamato acriticamente un filone di giurisprudenza formatosi in epoca anteriore a Cass., Sez. unumero numero 13533/2001, da cui invece, prescinde del tutto. In sostanza, detti precedenti non hanno esaminato la portata dell’importante pronuncia delle Sezioni unite rispetto al tipo contrattuale sub iudice, come invece hanno fatto la già citata Cass. numero 20110/2013 per la compravendita, nonché Cass. numero 19146/2013 in tema di appalto con argomentazioni certamente sovrapponibili al caso in esame, stante l’affinità funzionale tra gli artt. 1495 e 1667 c.c. . Ritiene quindi il Collegio di doversi muovere nel solco dell’insegnamento delle Sezioni unite più volte richiamato, e di dover dare continuità al principio affermato da Cass. numero 20110/2013 . . 6. Il parallelismo fra appalto e vendita sarà approfondito in seguito, mentre per il momento preme rimarcare che la tesi secondo cui l’onere della prova dei vizi è a carico del compratore è fatta propria, pure dopo il 2001, oltre che dalle pronunce citate da Cass. numero 21927 del 2017, anche da Cass. 23060 del 2009, che merita una particolare considerazione perché la regola di distribuzione dell’onere della prova è messa in relazione con la natura della garanzia per i vizi della cosa venduta, cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa del venditore medesimo richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno. Si impone a questo punto una disamina della giurisprudenza della Corte sulla natura di tale garanzia. 7. Si ritiene generalmente che la garanzia per evizione e garanzia per vizi delle cose abbiano un fondamento giuridico unitario. Esse costituiscono rimedi apprestati dall’ordinamento giuridico per eliminare nel contratto di vendita lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore. L’alterazione dell’equilibrio del sinallagma funzionale fa sorgere la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica dell’acquirente quale era prima dell’acquisto. Le garanzie, tanto quella per evizione quanto quella per vizi, operano indipendentemente dalla colpa del venditore, che è requisito necessario solo se il compratore richieda il risarcimento integrale dei danni cioè comprensivo dell’interesse positivo e in relazione al quale opera la presunzione di cui all’art. 1218 c.c., avente carattere generale ed applicabile all’inadempimento contrattuale in genere Cass. numero 5686/1985 . La garanzia per evizione consegue al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, indipendentemente dall’eventuale colpa o buona fede del venditore e non è neppure esclusa dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile futura causa di evizione, qualora questa si verifichi Cass. numero 6491/1986 numero 4853/1993 numero 3020/1996 numero 20165/ 2005 numero 20877/2011 numero 5561/2015 . Mutatis mutandis, la garanzia per i vizi - da riferire ai soli vizi che esistevano prima della conclusione del contratto Cass. numero 4382/1985 - sussiste per il solo fatto di non avere il venditore trasmesso una cosa in condizioni normali, cioè esente da vizi essa ha la finalità di assicurare l’equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma, a prescindere da ogni indagine sulla colpa del venditore Cass. numero 987/1975 . In questo caso non spetta al compratore l’azione generale di risoluzione contrattuale, con conseguente rilevanza della colpa ai fini del giudizio di inadempimento, ma si applicano le speciali norme di cui agli artt. 1492 e ss. c.c. Cass. numero 6234/2000 . La protezione del compratore si realizza attraverso la riduzione del prezzo azione c.d. estimatoria o quanti minoris e la risoluzione del contratto azione c.d. redibitoria . Tali rimedi operano nei limiti del ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto Cass. numero 14431/2006 numero 4388/1985 . Essi esauriscono la tutela del compratore, al quale non è accordata l’azione di esatto adempimento per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta o la sua sostituzione della cosa. Ciò si spiega perché l’obbligazione principale del venditore non ha per oggetto neppure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta Cass. numero 4382/1985 numero 4980/1983 numero 4565/1979 . L’azione di esatto adempimento non compete al compratore neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica. Invero tale rimedio gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene Cass., S.U., 19702/2012 . L’azione di esatto adempimento è negata anche se il venditore sia in colpa. Correlativamente il compratore non può avvalersi neanche dell’eccezione di inadempimento Cass. numero 2484/1972 n 726/1970 . Generalmente la giurisprudenza della Corte tiene distinte le azioni di garanzia previste dall’art. 1492 c.c. dall’azione di risarcimento del danno per i vizi della cosa venduta art. 1494 c.c. , che rappresenta la sanzione per l’inadempimento colposo o doloso del venditore ed importa che il medesimo è tenuto a risarcire al compratore tutto l’interesse positivo in base alle regole generali sull’inadempimento contrattuale Cass. numero 987/1975 cit. diversamente le azioni di garanzia operano nei limiti dell’interesse negativo fra le tante Cass. numero 4388/1985 cit. . La colpa consiste nell’aver conosciuto i vizi o nell’averli ignorati per negligenza al momento del contratto. La colpa è presunta, conformemente alla regola generale dell’art. 1218 c.c., con la conseguenza che incombe sul venditore la prova liberatoria, ossia di avere ignorato i vizi nonostante l’uso della ordinaria diligenza Cass. numero 7863/1995 numero 4464/1997 numero 13593/2004 numero 2891/1984 . L’azione risarcitoria è cumulabile sia con la domanda di risoluzione del contrato sia con quella di riduzione del prezzo e può essere esercitata anche da sola Cass. numero 3190/1981 numero 4382/1985 , sempre che, in tal caso ricorrano tutti i presupposti dell’azione di garanzia e, quindi, siano dimostrate la sussistenza e la rilevanza dei vizi ed osservati i termini di decadenza e prescrizione e, in genere, tutte le condizioni stabilite dalla legge per l’esercizio di tale azione Cass. numero 15481/2001 numero 15104/2000 numero 4980/1983 . È stato già anticipato che la garanzia non è sostitutiva dei rimedi a carattere generale previsti per i contratti Cass. 5686/1985 cit. numero 14431/2006 cit. . Al di fuori dei fatti che conducono all’evizione e dei vizi e dei difetti che esistevano prima della conclusione del contratto, gli altri inadempimenti del venditore e del compratore danno luogo, di massima, a una responsabilità ordinaria per inadempimento regolata in tutto e per tutto dalle disposizioni di diritto comune. 8. Così identificate in estrema sintesi le caratteristiche della garanzia per vizi nella giurisprudenza della Suprema Corte, si tratta di verificare se la soluzione accolta dalle Sezioni Unite nel 2001 sul tema dell’onere della prova in tema di inadempimento imponga, per ciò solo, di rivedere il precedente orientamento ma ripreso anche dopo il 2001 in base al quale spetta al compratore dimostrare il vizio e la sua preesistenza alla vendita, mentre spetta al venditore dimostrare invece i fatti che per legge impediscono, escludono o estinguono i rimedi della garanzia. Questo Collegio, investito della questione in relazione a una domanda di risoluzione giustificata da vizi della cosa, ritiene di assumere sul punto un approccio più problematico e diverso da quello di Cass. numero 21927 del 2017 e di Cass. numero 18125/2013, le quali non hanno avuto dubbi nel ritenere che il principio di diritto affermato nel 2001 giustifichi di per sé l’imposizione dell’onere a carico del venditore. A un attento esame gli argomenti utilizzati dalle Sezioni Unite, confrontati con le caratteristiche che la giurisprudenza riconosce alla garanzia nella vendita, sembrano richiedere una riflessione ulteriore. 9. Le Sezioni Unite nel 2001 hanno innanzitutto posto l’accento sul principio di presunzione di persistenza del diritto tale principio desumibile dall’art. 2697 c.c., in virtù del quale, una volta provata l’esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava sul debitore l’onere di provare il fatto estintivo, costituito dall’adempimento, deve ritenersi operante non solo quando il creditore agisca per l’adempimento, nel qual caso deve provare soltanto il titolo contrattuale o legale del suo diritto, ma anche nel caso in cui, sul comune presupposto dell’inadempimento della controparte, agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno . È stato chiarito che la giurisprudenza concepisce le azioni di garanzia quali rimedi volti a ripristinare l’equilibrio sinallagmatico violato. In questo quadro i vizi danno luogo a uno speciale regime di responsabilità del venditore, non riconducibile alla disciplina generale dell’inadempimento. In verità intorno alla natura degli istituti della garanzia nella vendita sono state proposte una molteplicità di costruzioni diverse di quella accolta dalla giurisprudenza. Autorevolissima dottrina ritiene che la violazione della garanzia dia luogo a una ordinaria responsabilità del venditore per inadempimento, regolata dalle norme sulla vendita e dalla disciplina generale in quanto compatibile con tali norme. Ma pure nell’ambito di tale diversa configurazione, rimane valido il rilievo che l’inadempimento non si correla a una obbligazione del venditore da adempiere dopo la stipulazione. L’inadempimento trova origine in un fatto anteriore che ha già impedito la realizzazione dell’effetto traslativo nei termini programmati dal contratto. In termini incisivi è stato osservato che l’imperfetta attuazione dell’effetto reale costituisce il venditore in una situazione di inadempimento fin dal momento della conclusione del contratto. Non sembra quindi configurabile un diritto del compratore di cui sui si possa presumere la persistenza oltre il termine di scadenza dell’obbligazione. Secondo le Sezioni Unite la domanda di adempimento, la domanda di risoluzione per inadempimento e la domanda autonoma di risarcimento del danno da inadempimento si collegano tutte al medesimo presupposto, costituito dall’inadempimento . Ciò giustifica omogeneità del regime dell’onere probatorio per le tre azioni previste dall’art. 1453 c.c., che consegue, fra l’altro, ad una interpretazione delle norme che vengono in gioco l’art. 1453 c.c. in relazione agli artt. 1219 e 2697 c.c. secondo un criterio di ragionevolezza . Inoltre le azioni di adempimento e di risoluzione sono poste dall’art. 1453 c.c. sullo stesso piano, tanto è vero che il creditore ha facoltà di scegliere fra l’una o l’altra azione . Neanche queste considerazioni sono automaticamente riferibili alla violazione della garanzia per vizi nella vendita, come concepita dalla giurisprudenza della Corte. Intanto non è accordata al compratore di cosa affetta da vizi l’azione di esatto adempimento il punto è controverso in dottrina . Inoltre solo il risarcimento del danno richiede la colpa del venditore art. 1494, comma 1, c.c. , mentre risoluzione del contratto e riduzione del prezzo ne prescindono. Se la cosa è viziata il venditore è soggetto all’iniziativa del compratore, intesa a ottenere la risoluzione o la modificazione del contratto Cass., S.U., 19702/2012 cit. , anche se egli abbia fatto quanto era umanamente possibile per raggiungere il risultato, contando esclusivamente il fatto obiettivo che il compratore non ha ricevuto la cosa esente da vizi. L’ultimo argomento proposto dalle Sezioni Unite del 2001 fa leva sul principio di riferibilità o vicinanza della prova. In base ad esso l’onere della prova si deve in ogni caso porre al soggetto nella cui sfera si è prodotto l’inadempimento e che quindi è in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, sia quella diretta all’adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del danno, fornendo la prova del fatto estintivo azionato, costituito dall’adempimento . Tale argomento, oggetto di particolare richiamo ad opera delle pronunce favorevoli a estendere alla garanzia per vizi la soluzione giurisprudenziale del 2001, è in verità forse quello più problematico e per rendersene conto è utile approfondire il parallelismo fra vendita e appalto proposto da Cass. 21927 del 2017 a sostegno di tale estensione. 10. Cass. 21927 del 2017 ha affermato che l’estensione del principio del 2001 sarebbe stato operato da Cass. 19146/2013 anche in materia di appalto spetterebbe quindi all’appaltatore convenuto provare l’esattezza del proprio adempimento. In verità, in riferimento al contratto d’appalto, il riconoscimento dell’applicabilità del principio affermato dalle Sezioni Unite del 2001 non è opera di Cass. 19146 del 2013, ma di Cass. numero 936 del 2010. Diversamente, Cass. 19146 del 2013 non ha proposto una soluzione generalizzata sul tema del riparto dell’onere della prova, ma ha operato una distinzione secondo che sia intervenuta o meno l’accettazione dell’opera l’onere di provare l’esattezza dell’adempimento è a carico dell’appaltatore solo fino a quando l’opera non sia stata accettata, mentre - una volta intervenuta la verifica - è il committente che l’ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica a dovere dimostrare l’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate , in sintonia con il principio di vicinanza della prova. Rispetto al contratto di compravendita, Cass. 21946 del 2013 dà per massima consolidata e non contraddetta che l’onere della prova dell’esistenza dei vizi l’art. 1490 c.c. incomba sul compratore. Pertanto, diversamente dall’assunto di Cass. numero 21927 del 2017, il ragionamento proposto in tema di appalto da Cass. 21946 del 2013, in quanto fondato sul principio di vicinanza della prova, dovrebbe portare a identificare nel compratore la parte gravata dall’onere di dare la prova del vizio, secondo l’orientamento tradizionale. Sembra quasi intuitivo che, fra i due contraenti, chi si trova nella miglior posizione per dimostrare l’esistenza del vizio è proprio il compratore che fa valere la garanzia, il quale ha per definizione la disponibilità fisica della cosa. Si ricorda che la mancata consegna della cosa da parte del venditore non dà luogo all’azione di garanzia, bensì soltanto all’ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento la quale è svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione, cui invece sono soggette l’azione di garanzia e l’azione per mancanza di qualità Cass. numero 1260/1981 . 11. Nell’estendere la soluzione anche all’ipotesi di inesatto adempimento le Sezioni Unite del 2001 menzionano in via esemplificativa, quali figure che integrano la nozione, anche divergenze qualitative dei beni , espressione letteralmente idonea a comprendere anche la cosa viziata. Tuttavia tale inciso, in quanto inserito nell’ambito di una soluzione proposta con esclusivo riferimento alla disciplina ordinaria dell’inadempimento, non pare sufficiente a ritenere che il problema in esame sia stato affrontato e risolto dalle Sezioni Unite già nel 2001. È stato ampiamente chiarito che, secondo la Corte, i vizi danno luogo a uno speciale regime di responsabilità del venditore, non riconducibile alla disciplina generale. Solo per completezza di esame si ricorda che la disciplina della vendita contempla, accanto ai vizi della cosa, la mancanza delle qualità promesse o delle qualità essenziali art. 1497 c.c. In proposito questa Corte ha affermato che In tema di compravendita, il vizio redibitorio art. 1490 c.c. e la mancanza di qualità promesse o essenziali art. 1497 c.c. , pur presupponendo entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa medesima, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un’altra. Vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono, a loro volta, dall’ipotesi della consegna aliud pro alio, la quale ricorre quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso, o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti cd. inidoneità ad assolvere la funzione economico - sociale , facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto Cass. numero 244/1997 numero 13925/2002 . Senza che sia necessario approfondire i criteri usati per distinguere le singole fattispecie di possibili anomalie materiali, è sufficiente porre l’attenzione sul fatto che, per la mancanza di qualità, l’art. 1497 c.c. prevede la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tollerabilità stabiliti dagli usi, osservati peraltro i termini di decadenza e di prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c. Se ne deduce che i rimedi posti a tutela del compratore non sono quelli della garanzia per vizi, ma quelli ordinari di cui agli art. 1218 e 1453, fondati sulla colpa del venditore Cass. numero 10922/2005 numero 639/2000 . Il punto, però, non è pacifico in dottrina e neanche in giurisprudenza. Cass. numero 12301/2000 riconosce al compratore l’azione di riduzione del prezzo, come rimedio di carattere generale, anche in casi di mancanza di qualità ed esclude la rilevanza della riconoscibilità del difetto. A sua volta Cass. numero 8102/2015, in riferimento alle qualità promesse, accorda al compratore l’eccezione di inadempimento a prescindere dalla responsabilità del venditore, essendo meritevole di tutela l’interesse dell’acquirente a non eseguire la prestazione in assenza della controprestazione e a non trovarsi in situazione di disuguaglianza rispetto all’alienante . 12. In conclusione la presente fattispecie coinvolge questioni rispetto alle quali la giurisprudenza ha offerto di recente soluzioni contrastanti e, nello stesso tempo, della massima importanza nell’applicazione della disciplina della vendita e cioè se il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza numero 13533 del 2001 sia applicabile in tema di garanzia per vizi della cosa venduta in particolare all’azione redibitoria esperita nel caso di specie o se la configurazione dei rimedi, quale emerge dall’esame della giurisprudenza, giustifichi una soluzione diversa. Appare dunque opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente di questa Corte, ai sensi dell’art. 374, comma secondo, c.p.c., ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. P.Q.M. rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.