Accertamento dell’inadempimento contrattuale

Al fine di verificare l’inadempimento delle parti nei contratti di compravendita immobiliare occorre prendere in esame il peso delle diverse obbligazioni reciproche.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22372/18, depositata il 13 settembre. La vicenda. Il caso in oggetto principia con la sottoscrizione di alcuni contratti preliminari di vendita immobiliare tra due società. Nell’ambito di tale negozio giuridico la parte promissaria venditrice si era obbligata a prestare alcune fideiussioni a tutela della controparte, mentre la promissaria acquirente aveva l’obbligazione di pagare il prezzo pattuito entro un termine definito dalle parti come essenziale e soggetto a clausola risolutiva espressa. Nel corso dell’esecuzione degli accordi la venditrice ometteva di prestare le fideiussioni dovute e la parte promissaria acquirente cessava ogni pagamento. La prima, quindi, dichiarava risolti i contratti per mancato adempimento delle obbligazioni di pagamento entro il termine essenziale e tratteneva le somme sino ad allora versate. Il Tribunale, adito con ricorso ex art. 702- bis c.p.c., aveva dichiarato risolti i contratti preliminari di vendita accertando il mancato pagamento delle somme dovute entro i termini da parte della promissaria acquirente. La società soccombente, quindi, impugnava tale provvedimento dinanzi alla Corte d’Appello competente. La Corte, all’esito del giudizio, respingeva l’impugnazione proposta dalla parte. La società promissaria acquirente, stante la duplice soccombenza agiva in Cassazione. La ricorrente agisce con un ricorso basato su tre doglianze. Al fine di ottenere la riforma della decisione d’appello il soccombente proponeva ricorso fondato su tre motivi di diritto. Con il primo motivo il ricorrente contestava come la Corte d’Appello avesse preso atto della sussistenza di un termine contrattuale in capo alla parte promittente venditrice che avrebbe dovuto fornire le fideiussioni pattuite entro trenta giorni dalla sottoscrizione degli accordi. Contrariamente a quello relativo ai pagamenti, però, tale termine non era stato considerato come essenziale dal Giudice. Il ricorrente contestava quindi questa presunta difformità di valutazione. Il secondo motivo, invece, era fondato sulla presunta omissione di un fatto decisivo del giudizio e in particolare la mancata restituzione degli assegni consegnati dalla promissaria acquirente alla promittente venditrice. Da ultimo, la terza doglianza concerneva una contestazione sulla presunta inconciliabilità tra la ritenzione della caparra da parte della controparte e le sue domande di risoluzione dei contratti e di rimborso del danno. Il processo terminava con il rigetto integrale del ricorso. Con la sentenza in commento la Suprema Corte rigettava integralmente il ricorso proposto dalla società soccombente in grado di appello. Nel testo della sentenza citata si leggeva, preliminarmente, che i tre motivi di ricorso – esaminati congiuntamente – erano da considerarsi come infondati. Secondo la Cassazione il ricorrente aveva commesso un errore in diritto citando nel proprio ricorso l'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134 in quanto tale norma consentiva di ricorrere in Cassazione al fine di denunciare l’omesso esame da parte del giudice di merito di un fatto storico la cui esistenza sia pacifica dall’esame del testo della relativa sentenza e che sia stato oggetto di discussione, qualora l’esame di tale fatto avrebbe potuto portare ad un esito differente della lite. Nel caso in questione, tuttavia, la società ricorrente distorce tale normativa e invoca nel proprio ricorso una nuova e diversa valutazione di una circostanza già debitamente esaminata dal Giudice di merito, chiedendo alla Cassazione un giudizio di merito che è del tutto alieno rispetto al compito del Giudice di Legittimità. In particolare la parte ricorrente contesta come la Corte d’Appello non abbia valutato come essenziale, alla stregua del termine assegnato al ricorrente per effettuare i versamenti, il termine non rispettato dalla controparte per procurarsi le fideiussioni pattuite. Secondo la Corte d’Appello, che pure aveva esaminato la circostanza, tale accadimento non costituiva una obbligazione essenziale nell’economia del contratto considerato nel suo complesso. Affermava infatti la Cassazione che nei contratti con prestazioni corrispettive, laddove ciascuna parte è tenuta alla sua prestazione solo in quanto l’altra adempia contemporaneamente la propria, tranne che, o per pattuizione espressa o per la natura del contratto, non sussiste l’esigenza di un diverso regolamento temporale per l’adempimento delle due prestazioni, in caso di denuncia di inadempienze reciproche come è avvenuto nella specie , è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi es alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma aggiungendo come tale accertamento non possa che essere fatto dal giudice di merito. In ragione di tale valutazione, quindi, la Corte di Cassazione ha evidenziato la correttezza del ragionamento del giudice di merito, che contemperando gli inadempimenti reciproci delle parti nei contratti summenzionati, ha evidenziato una più importante trasgressione nel comportamento tenuto dal ricorrente i mancati pagamenti delle somme nei termini previsti e ne ha fatto derivare un lecito comportamento della controparte, basato sul precetto dell’art. 1460 c.c Tale norma, che disciplina la cosiddetta eccezione di inadempimento, statuisce al primo comma che Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto , precetto sintetizzabile con il noto brocardo latino inadimplendi non est adimplendum ”. Nei contratti in oggetto, continuava la Cassazione, assumeva una importanza preponderante il mancato adempimento di una obbligazione inserita in una clausola risolutiva espressa e dotata di un termine essenziale per il suo adempimento. In conclusione, la Cassazione rigettava il ricorso proposto e condannava il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 28 marzo – 13 settembre 2018, n. 22372 Presidente Oricchio – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione La Piemonte 86 s.a.s. di C.M. & amp c. s.a.s. ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 2231/2013 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 20 novembre 2013. Resiste con controricorso la S.O.S. s.r.l. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto Celeste ha depositato le sue conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c., chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti. La controricorrente S.O.S. s.r.l. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. La Corte d’Appello di Torino ha respinto l’impugnazione avanzata dalla società Piemonte 86 s.a.s. contro l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. resa in data 11 gennaio 2011 dal Tribunale di Torino, che aveva dichiarato risolti i due contratti preliminari di compravendita immobiliare stipulati il 24 ottobre 2008 ed il 20 novembre 2008 dalla promittente venditrice S.O.S. s.r.l. con la promissaria compratrice Piemonte 86 s.a.s., accertando, sulle reciproche domande delle parti, l’inadempimento di quest’ultima alla luce della clausola risolutiva espressa contenuta nelle scritture. I giudici di secondo grado negarono la fondatezza dell’eccezione ex art. 1460 c.c. della promissaria acquirente, la quale aveva dedotto di aver sospeso i pagamenti delle seconde rate di corrispettivo stabilite a sei mesi dai preliminari, essendo la promittente alienante a sua volta inadempiente rispetto all’obbligo di rilasciare fideiussione entro trenta giorni dalla stessa data di stipula. Per la Corte di Torino fu decisivo osservare come per il rilascio della fideiussione i contratti non contemplassero un termine essenziale, a differenza di quanto fatto, invece, per i pagamenti del prezzo dovuti dalla compratrice richiamati nella clausola risolutiva espressa pattuita. D’altro canto, sottolineò la sentenza impugnata, solo dopo la comunicazione di risoluzione inoltrata il 14 ottobre 2009 dalla S.O.S. s.r.l., la Piemonte 86 s.a.s. lamentò la mancata prestazione della garanzia. Né per la Corte d’Appello aveva rilievo la mancata restituzione alla compratrice, da parte della venditrice, degli assegni versati in seguito all’intimazione dell’avvenuta risoluzione del contratto tale illegittima ritenzione del prezzo non poteva influire sulla risoluzione ormai avvenuta ai sensi dell’art. 1456 c.c. ed era stata comunque neutralizzata dalla condanna alla restituzione disposta dal Tribunale e non impugnata. Del pari, si legge nella sentenza della Corte di Torino, non valeva come rinuncia all’istanza di ritenzione della caparra ovvero come domanda risarcitoria la richiesta iniziale dell’attrice S.O.S. s.r.l. di imputare i due assegni ricevuti al rimborso del pagamento degli interessi di mutuo, richiesta comunque respinta in primo grado e non appellata. I. Il primo motivo di ricorso della Piemonte 86 s.a.s. deduce la violazione degli artt. 1175, 1322, 1362, 1363, 1372, 1374, 1453, 1455, 1460 c.c., artt. 2 e 3 d.lgs. 122/2005, artt. 111 comma 6 Cost., 132 n. 4 e 112 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, criticando il punto della sentenza impugnata che ha qualificato come non essenziale il termine di trenta giorni dalla firma stabilito nei contratti preliminari per il rilascio della fideiussione da parte della promittente venditrice, ai fini della valutazione dell’inadempimento, invece grave, di quest’ultima, e dovendosi perciò reputare legittimo il ritardo della promissaria acquirente nel versare le seconde rate di acconto prezzo. Il secondo motivo di ricorso della Piemonte 86 s.a.s. denuncia la violazione degli artt. 1175, 1375, 1453, 1455, 2729 c.c., artt. 111 comma 6 Cost. e 132 n. 4 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, circa il mancato rilievo attribuito all’illegittima ritenzione ad opera della promittente venditrice degli assegni tardivamente versati dalla Piemonte 86 s.a.s., trattandosi di comportamento di cui tener conto ai fini della risoluzione contrattuale. Il terzo motivo di ricorso della Piemonte 86 s.a.s. allega la violazione degli artt. 1385 c.c., artt. 111 comma 6 Cost. e 132 n. 4 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, circa l’inconciliabilità fra la domanda di ritenzione della caparra per esercizio del recesso risolutorio e le domande, cumulativamente proposte in primo grado dalla S.O.S. s.r.l., di declaratoria di risoluzione del contratto e di accertamento del diritto della venditrice a trattenere l’ulteriore somma di Euro 28.000,00 portata dagli assegni, a titolo di rimborso degli interessi sulla quota mutuo. II. Non opera nel presente giudizio l’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., come invece eccepito dalla controricorrente, trovando tale norma applicazione, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, in ipotesi di giudizio d’appello introdotto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione a far tempo dal giorno 11 settembre 2012 mentre l’appello venne qui proposto con citazione del 14 febbraio 2011 . I tre motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente e si dimostrano infondati. Rivelano profili di inammissibilità le censure riferite in tutti e tre i motivi al parametro di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., giacché esso, come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134. Tale disposizione consente di denunciare per cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia , e non invece di invocare, come fa la ricorrente, una diversa interpretazione del testo dei contratti o una diversa valutazione degli elementi istruttori rispetto a quelle prescelte dai giudici del merito, in quanto i fatti storici, rilevanti in causa, sono stati comunque presi in considerazione dalla Corte di Torino, ancorché la sentenza non abbia dato ad essi lo stesso rilievo che assumono le proposte doglianze Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053 . Non sono poi immediatamente riferibili alla fattispecie per cui è causa gli artt. 2 e 3 del d.lgs. 20 giugno 2005, in quanto il rilascio obbligatorio della garanzia fideiussoria ivi prevista da parte del costruttore di immobile da costruire opera allorché sia acquirente una persona fisica e non dunque un distinto soggetto giuridico, come, nel caso in esame, una società in accomandita semplice . La Corte d’Appello di Torino ha peraltro escluso che il ritardo nel rilascio delle fideiussioni - poste a carico pattiziamente della promittente venditrice S.O.S. s.r.l. nei due contratti preliminari di compravendita immobiliare del 24 ottobre 2008 ed il 20 novembre 2008, rispetto al termine convenuto di trenta giorni dalla stipula - costituisse nell’economia dell’affare inosservanza di un’obbligazione essenziale, prevalendo su tale inosservanza l’inadempimento della Piemonte 86 s.a.s. nel pagamento delle rate di prezzo, invece contemplato in clausola risolutiva espressa della quale la venditrice si era avvalsa. Questa Corte afferma costantemente che nei contratti con prestazioni corrispettive, laddove ciascuna parte è tenuta alla sua prestazione solo in quanto l’altra adempia contemporaneamente la propria, tranne che, o per pattuizione espressa o per la natura del contratto, non sussiste l’esigenza di un diverso regolamento temporale per l’adempimento delle due prestazioni, in caso di denuncia di inadempienze reciproche come avvenuto nella specie , è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla interpretazione del testo negoziale e sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. cfr. Cass. Sez. 2, 30/05/2017, n. 13627 Cass. Sez. 3, 01/06/2004, n. 10477 Cass. Sez. 2, 05/01/1998, n. 41 . Con congrua esposizione delle argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, la sentenza impugnata ha così compiuto una valutazione comparativa delle reciproche inadempienze, in relazione alla successione logica oltre che cronologica ed al nesso causale, applicando i limiti di adeguatezza e proporzionalità sottesi al principio inadimplenti non est adimplendum, ed in quest’ottica ha apprezzato il termine pattuito dalle parti per il rilascio delle garanzie fideiussorie come non avente carattere essenziale ovvero come non perentorio, nel senso che doveva reputarsi consentito alla venditrice di offrire, fino alla domanda giudiziale, la esecuzione tardiva , concludendo per l’inidoneità del ritardo di detta prestazione a configurare causa di risoluzione dei contratti in esame. Peraltro, nei preliminari dedotti in lite i contraenti avevano presidiato con clausole risolutive espresse ex art. 1456 c.c. l’obbligazione della promissaria acquirente di pagamento degli acconti di prezzo alle scadenze stabilite, e l’esistenza di dette pattuizioni elimina, com’è noto, la necessità dell’indagine circa l’importanza del correlato inadempimento, essendo stata tale importanza valutata anticipatamente dalle parti, al punto di ricollegarvi l’effetto della risoluzione. Ora, la stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto soltanto nei casi espressamente previsti dalle parti, potendo la risoluzione comunque giustificarsi per ogni inadempimento, preventivamente stimato dai contraenti o valutato dal giudice, di non scarsa rilevanza. È tuttavia corretto assumere, come in sostanza fatto dai giudici di appello, che il mancato adempimento dell’obbligazione contemplata nella clausola risolutiva espressa assuma un rilievo preponderante in occasione del giudizio comparativo sulle reciproche inadempienze da compiersi ai sensi dell’art. 1453 c.c., stante l’originaria importanza che le parti attribuirono a quella specifica obbligazione nel prescelto assetto dei loro interessi, includendola nella clausola medesima e perciò ritenendola meritevole di una regolazione differenziata arg. da Cass. Sez. 3, 18/09/2015, n. 18320 Cass. Sez. L, 16/05/1997, n. 4369 . D’altro canto, una volta che la promittente venditrice S.O.S. s.r.l., con la comunicazione del 14 ottobre 2009, aveva manifestato l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa, e così comportato il definitivo prodursi dell’effetto estintivo dei contratti, l’accettazione degli assegni tardivamente versati dalla Piemonte 86 s.a.s. non significava ex se, come pure motivato dalla Corte di Torino con apprezzamento di fatto parimenti insindacabile in questa sede , una tacita rinuncia alla risoluzione già verificatasi, con contestuale ripristino dell’obbligazione contrattuale arg. da Cass. Sez. 2, 31/10/2013, n. 24564 Cass. Sez. 2, 22/03/2017, n. 7313 . Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, la Piemonte 86 s.a.s. non ha interesse a lamentare l’inconciliabilità della domanda di accertamento del diritto della venditrice a trattenere la somma di Euro 28.000,00, portata dagli assegni tardivamente versati, con le altre pretese azionate in giudizio dalla S.O.S. s.r.l., trattandosi di domanda comunque non accolta nel giudizio di merito. Circa la doglianza sulla contemporanea proposizione della domanda di ritenzione della caparra e della domanda di risoluzione, l’infondatezza della stessa censura discende dall’interpretazione giurisprudenziale, che viene qui ribadita, secondo cui va qualificata in termini di risoluzione per inadempimento, e non quale esercizio del diritto di recesso, la domanda con cui la parte adempiente di contratto preliminare, cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione di diritto nella specie, mediante clausola risolutiva espressa , e chieda altresì la ritenzione della caparra, nonché la condanna dell’inadempiente al risarcimento di ulteriori danni, valendo in tal caso la caparra come garanzia o acconto della pretesa risarcitoria cfr. Cass. Sez. 2, 06/06/2017, n. 14014 Cass. Sez. 2, 08/09/2017, n. 20957 Cass. Sez. 2, 03/11/2017, n. 26206 . III. Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza in favore della controricorrente, nell’ammontare liquidato in dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.