Gli oneri del Comune per la fornitura di acqua potabile

In tema di somministrazione di acqua potabile da parte del Comune, l’addebito del costo all’utente, secondo il criterio del minimo garantito, non può basarsi su una previsione contenuta nel regolamento comunale emanato ad hoc, ma richiede un’apposita delibera comunale che ne fissi i parametri.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 16269/18 depositata il 20 giugno. Il caso. Il Tribunale di Agrigento, adito in secondo grado, condannava il Comune al pagamento di una somma di denaro in favore dell’utente a titolo di canone per la fornitura di acqua potabile individuato forfettariamente , anziché sulla base dell’effettivo consumo. Ricorre così in Cassazione il Comune, il quale afferma di aver depositato in primo grado sia il regolamento comunale sia numerosi provvedimenti attraverso cui sarebbe stato individuato l’importo del canone annuale. La delibera comunale ad hoc e l’obbligo di inserzione delle clausole. Per la somministrazione di acqua potabile da parte del Comune, l’addebito al consumatore non può basarsi su una previsione programmatica contenuta nel regolamento comunale attraverso cui il Comune indica in maniera eterogenea le tariffe di utenza, ma richiede una specifica delibera comunale che ne fissi i parametri dell’ an e del quantum , importanti al fine di consentirne l’inserimento automatico nel contratto di fornitura, ex art. 1339 c.c Infatti, il Comune ricorrente nel caso di specie, pur avendo presentato in giudizio il regolamento comunale e numerosi altri provvedimenti, sulla base dei quali sarebbe stato individuato l’importo del canone annuo di fornitura dell’acqua potabile, non ha specificato la natura e il contenuto dei suddetti provvedimenti. Per questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 8 maggio – 20 giugno 2018, n. 16269 Presidente Amendola – Relatore Scoditti Fatto e diritto Rilevato che S.C. convenne in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Agrigento il Comune di Aragona chiedendo la condanna alla ripetizione della somma di Euro 1.472,66 pagata dal 2003 al 2010 a titolo di canone per la fornitura di acqua potabile forfettariamente individuato, anziché sulla base dell’effettivo consumo. Il convenuto propose domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dei canoni idrici 2011-2014. Il giudice adito rigettò la domanda ed accolse quella proposta in via riconvenzionale. Avverso detta sentenza propose appello il S. . Con sentenza di data 14 novembre 2016 il Tribunale di Agrigento accolse l’appello, condannando il Comune di Aragona al pagamento della somma di Euro 1.034,68 oltre interessi e rigettando la domanda riconvenzionale proposta dal Comune. Osservò il Tribunale che il contratto, risalente al 1993, era scaduto nel 2002, in epoca precedente al periodo cui si riferivano i canoni idrici in contestazione, mentre il regolamento idrico comunale era in vigore dal 2003, e che la previsione nel regolamento del consumo minimo convenuto , calcolato a forfait, postulava un’esplicita accettazione dell’utente, sicché illegittima era la previsione di un tale addebito in assenza di specifica pattuizione. Aggiunse che oggetto di contestazione da parte dell’appellante era l’ammontare dell’effettivo consumo dell’acqua fornita e che, quanto al canone mensile di disinquinamento, il Comune non aveva dimostrato la presenza di alcun impianto depurativo funzionante, non potendosi tale prova evincere da determinazioni sindacali di stanziamento di fondi per il depuratore le quali non dimostravano che il depuratore funzionasse correttamente. Ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Aragona sulla base di un motivo e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità di parte del motivo, per il resto manifestamente infondato. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. È stata presentata memoria. Considerato che con il motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1339 cod. civ. in combinato disposto con gli artt. 36 e 37 del regolamento idrico comunale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ Osserva il ricorrente che irrilevante era la scadenza del contratto a fronte della mai contestata somministrazione dell’acqua potabile e del pagamento del canone annuo, sicché il nuovo contratto di somministrazione doveva intendersi concluso per tali fatti concludenti. Aggiunge che ricorreva l’inserzione automatica delle norme del regolamento comunale artt. 36 e 37 , data la necessità dell’inserzione automatica ai sensi dell’art. 1339 cod. civ. in relazione alla fruizione dell’acqua potabile il cui prezzo è fissato dalla legge, e che erano stati depositati sia il regolamento comunale che i numerosi provvedimenti attraverso cui era stato individuato l’importo del canone annuale. Osserva inoltre che è stata offerta la prova documentale dell’esistenza dell’impianto di depurazione ed in particolare le determinazioni sindacali sul servizio di manutenzione e ripristino rete idrica, fognaria ed impianto depuratore . Aggiunge infine che l’erroneità delle statuizioni del Tribunale comporta la cassazione del capo di rigetto della domanda riconvenzionale. Il motivo, composto in realtà da una serie di sub-motivi, è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato. La censura relativa alla conclusione di nuovo contratto per fatti concludenti attiene al giudizio di fatto del giudice di merito, rispetto al quale non risulta proposta specifica denuncia di vizio motivazionale. In mancanza di una siffatta censura è precluso l’esame del giudizio di fatto in sede di legittimità. Attiene al giudizio di fatto, ed è inammissibile per le ragioni appena indicate, anche la censura relativa all’esistenza dell’impianto di depurazione, peraltro fondata su elementi probatori valutati dal giudice di appello, nella sede della valutazione di merito, in modo divergente rispetto a quanto esposto dal ricorrente. Manifestamente infondato è il motivo di censura relativo all’inserzione automatica delle norme del regolamento comunale. In tema di somministrazione di acqua potabile da parte del Comune, l’addebito all’utente, non già in base al consumo effettivo, ma secondo il criterio del minimo garantito , non può basarsi su di una previsione programmatica contenuta nel regolamento comunale con cui venga ammessa l’eterodeterminazione delle tariffe di utenza da parte dell’ente comunale, ma, al contrario, richiede una specifica delibera comunale che ne fissi i parametri dell’ an e del quantum , imprescindibili al fine di consentirne l’inserimento automatico ex art. 1339 cod. civ. nel contratto di fornitura Cass. 17 marzo 2015, n. 5209 31 marzo 2017, n. 839, relativa proprio ad una controversia in cui era parte l’odierno Comune ricorrente e nella quale era stato allegato il medesimo regolamento . Il ricorrente afferma che sono stati depositati in primo grado sia il regolamento comunale che i numerosi provvedimenti attraverso cui sarebbe stato individuato l’importo del canone annuale, ma in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. non ha specificato natura e contenuto di tali provvedimenti si veda negli stessi termini Cass. 22 maggio 2017, n. 12870, ove ricorrente per analogo motivo di ricorso era l’odierno Comune ricorrente . Da quanto precede segue il mancato accoglimento del motivo di ricorso anche per ciò che concerne la domanda riconvenzionale. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.