Evizione di un bene aggiudicato in sede esecutiva: quali danni deve risarcire il creditore procedente?

Il fondamento dell’obbligazione risarcitoria sancita dall’art. 2921 c.c. risiede nel potere di scelta che l’ordinamento conferisce al creditore procedente di individuare i beni da sottoporre ad esecuzione forzata e nella responsabilità che egli assume assoggettando al procedimento espropriativo beni che non appartengono al debitore.

La Seconda Sezione civile della Cassazione sentenza n. 23407/16, depositata il 17 novembre , si è occupata di una articolata questione inerente l’acquisto all’asta, nell’ambito di una esecuzione immobiliare, di un bene invero non più appartenente al debitore esecutato perché già oggetto di esproprio per pubblica utilità. Il tema è anche quello dell’evizione subita dall’aggiudicatario e della responsabilità del creditore procedente e dello stimatore nominato dal giudice dell’esecuzione. Il caso. Una società immobiliare si rendeva aggiudicataria di alcuni lotti di terreno oggetto di pignoramento. Successivamente, la società aggiudicataria subiva l’evizione di un lotto in quanto lo stesso era stato in precedenza oggetto di una espropriazione per pubblico interesse da parte del Comune. In questo quadro, la società aggiudicataria citava in giudizio la banca, creditrice procedente dell’esecuzione nell’ambito della quale la vendita era avvenuta, allegando appunto la subita evizione del bene, e chiedendo la restituzione del prezzo pagato, la rifusione delle spese affrontate e il risarcimento del danno. La banca convenuta anzitutto chiedeva di chiamare in causa il professionista nominato dal giudice dell’esecuzione peraltro, nel mentre deceduto, per cui venivano citati gli eredi , chiedendo comunque il rigetto della pretesa. Il Tribunale accoglieva la domanda della società aggiudicataria, condannando la banca e gli eredi dell’esperto nominato dal giudice dell’esecuzione alla restituzione del prezzo pagato, al rimborso delle spese sostenute nel corso della procedura esecutiva e al risarcimento dei danni quantificato in circa euro 320 mila, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria. L’appello. La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla banca e il giudice d’appello, in riforma della decisione di prime cure, riconosceva non dovuta la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni di oltre 385 mila euro, come comprensiva di interessi compensativi liquidati al 5%, maggiorata della rivalutazione monetaria, e condannava la società immobiliare aggiudicataria alla conseguente restituzione da quanto ad essa corrisposto a tale titolo. Contro tale decisione il ricorso per cassazione della aggiudicataria e, in via incidentale, della banca e degli eredi dell’esperto. Il risarcimento del danno inerente la perdita del bene acquistato all’asta andava riconosciuto? Per l’aggiudicataria si trattava di un danno emergente, consistente nel pregiudizio subito per effetto della sottrazione dell’area di cui si era appunto resa aggiudicataria. E il danno a tale proposito riconosciutole dal giudice di primo grado in base ad una perizia corrispondeva al valore intrinseco della porzione immobiliare rapportato all’epoca della aggiudicazione, per cui il risarcimento andava determinato attribuendole l’equivalente monetario del bene perduto. Inoltre, il giudice d’appello non aveva considerato che il pregiudizio costituiva un danno emergente e che la natura edificatoria del lotto, unitamente alle risultanze peritali, fornivano elementi tali da permettere una valutazione sotto il profilo, quanto meno, della perdita di chance. Chance rappresentata dalla possibilità di sfruttare la natura edificatoria dell’area. Risposta negativa della Cassazione. Infatti, i giudici di merito avevano correttamente osservato che in realtà la prova del lucro cessante non era stata fornita e che il danno non poteva considerarsi conseguenza immediata e diretta dell’evizione, considerato che il mancato acquisto del terreno non comportava la perdita del diritto di edificazione, posto che tale facoltà era subordinata alla concessione dell’autorità amministrativa del resto, la porzione immobiliare in questione era stata espropriata essendo ricompresa nel piano di zona per l’edilizia residenziale pubblica, sicché l’aggiudicataria non avrebbe potuto legittimamente ottenere alcun titolo concessorio stante il vincolo di ordine generale che gravava sul lotto. Al momento dell’aggiudicazione il bene non valeva nulla, o quasi. In definitiva, al momento dell’aggiudicazione, il bene – in quanto espropriato e assoggettato a finalità pubblicistica – era privo di valore intrinseco correlato alla sua attitudine edificatoria, non potendo essere destinato dai privati a quei fini speculativi che incidono significativamente sulla quotazione dell’area nel mercato immobiliare. Il fondamento della responsabilità del creditore procedente. Gli Ermellini precisano che il fondamento dell’obbligazione risarcitoria sancita dall’art. 2921 c.c. risiede nel potere di scelta che l’ordinamento conferisce al creditore procedente di individuare i beni da sottoporre ad esecuzione forzata e nella responsabilità che egli assume assoggettando al procedimento espropriativo beni che non appartengono al debitore. Non è allora possibile lamentare il mancato conseguimento del profitto dato dalla inesistente natura edificatoria del lotto che si origina dalla precorsa espropriazione del bene, originariamente appartenente al debitore esecutato, in quanto il danno, a norma dell’art. 1223 c.c., deve essere conseguenza immeditata e diretta dell’illecito non della situazione, estranea alla condotta contra jus del danneggiante, che ne costituisce il presupposto. L’errata decisione in punto quantificazione dell’obbligazione restitutoria. La decisione d’appello impugnata è stata invece cassata laddove prevedeva, accogliendo la domanda restitutoria della banca creditrice procedente , la condanna al pagamento della somma di euro 385 mila comprensiva di interessi compensativi liquidati al 5% e alla rivalutazione monetaria, oltre interessi legali dal giorno del pagamento fino al soddisfo. Così facendo la Corte d’appello ha finito non solo per cumulare, nella statuizione restitutoria, quanto costituiva oggetto del negato risarcimento del danno e quanto competeva all’aggiudicataria a titolo di rimborso di quanto pagato per l’acquisto dell’area, ma ha anche errato nel ragguagliare l’importo che doveva essere restituito a quello che la banca avrebbe dovuto versare in forza della sentenza di primo grado.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 giugno – 17 novembre 2016, n. 23407 Presidente Matera – Relatore Falabella Svolgimento del processo Patur Immobiliare s.a.s. di T.L. e C. si rendeva aggiudicataria in data 8 ottobre 1985 di alcuni lotti di terreno siti in omissis , già in proprietà di S.A.E.S. s.p.a. lotti che erano stati oggetto di una procedura esecutiva immobiliare in danno di quest’ultima società. Con atto di citazione dell’8 maggio 1990 la stessa Patur conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Napoli l’Istituto Bancario San Paolo, creditore procedente della suddetta esecuzione forzata, lamentando l’evizione di un lotto di circa 5880 mq. riportato in catasto alla particella [], foglio X, particella XX ciò in quanto il lotto in questione era stato in precedenza oggetto di espropriazione per pubblico interesse da parte del Sindaco del Comune di Frattamaggiore con decreto del 22 ottobre 1979. Chiedeva pertanto la restituzione del prezzo pagato, la rifusione delle spese affrontate e il risarcimento del danno sofferto. La banca convenuta nella cui posizione successivamente subentrata Banco di Napoli s.p.a. resisteva alla domanda chiedendo di chiamare in causa l’ing. L.L. , quale esperto nominato dal giudice dell’esecuzione a norma dell’art. 568 c.p.c Stante il decesso del suddetto perito, ne venivano citati in giudizio gli eredi, collettivamente e impersonalmente. Il Tribunale, in accoglimento della domanda attrice, condannava la banca e gli eredi L. , in solido tra loro, alla restituzione della somma di Euro 58.408,36, quale prezzo pagato per l’acquisto del cespite, al rimborso della somma di Euro 5.841,61, a titolo di spese sostenute da Patur nel corso della procedura esecutiva e al risarcimento dei danni quantificati in Euro 320.825,77, oltre interessi e rivalutazione monetaria. La sentenza era impugnata dall’istituto di credito e nella fase di gravame si costituivano la società vittoriosa in primo grado e S.L. , nella qualità di unico erede di L. , la quale proponeva appello incidentale deceduta pure quest’ultima, il processo era interrotto e poi riassunto, proseguendo nei confronti di S.F. , successore mortis causa della suddetta L. . Con sentenza depositata il 28 gennaio 2012, la Corte di appello di Napoli, in riforma dell’impugnata pronuncia, riconosceva non dovuta la somma di Euro 385.075,74, come comprensiva di interessi compensativi liquidati al 5%, maggiorata della rivalutazione monetaria e condannava Patur alla conseguente restituzione di quanto ad essa corrisposto in accoglimento dell’appello incidentale, rigettava, poi, la domanda spiegata dal Banco di Napoli e da Patur nei confronti del terzo chiamato. La sentenza è stata impugnata per cassazione da Patur con ricorso articolato in due motivi resistono con controricorso il Banco di Napoli, che ha svolto un ricorso incidentale basato su di un unico motivo, e S.F. . Sono state depositate le memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione degli artt. 2921, 1223 e 2043 c.c., nonché dell’omessa e insufficiente motivazione su di un punto essenziale della controversia. Rileva che il danno di cui era stato richiesto il risarcimento, costituito dalla perdita del bene acquistato, integrava un danno emergente, consistente del pregiudizio subito da essa istante per effetto della sottrazione dell’area di cui si era resa aggiudicataria rileva in proposito che il danno riconosciutole in prime cure sulla scorta della valutazione peritale corrispondeva al valore intrinseco della porzione immobiliare rapportato all’epoca dell’aggiudicazione, onde il risarcimento andava determinato attribuendole l’equivalente monetario del bene perduto. La Corte distrettuale, secondo la ricorrente, aveva mancato di considerare che il pregiudizio rapportato al valore intrinseco dell’area evitta costituiva un danno emergente e che la natura edificatoria del lotto, unitamente alle risultanze peritali, fornivano elementi di valutazione atti a configurare la ragionevole certezza di un danno rappresentato quantomeno dalla perdita di chance chance costituita dalla possibilità di sfruttare la natura edificatoria dell’area oppure, in caso di esproprio, di conseguire la relativa indennità, commisurata a quanto liquidato dal giudice di prime cure. Il motivo non ha fondamento. Mette conto qui di rilevare che la Corte di merito ha osservato che il primo giudice non aveva in alcun modo motivato le ragioni per le quali a Patur spettasse il ristoro di un lucro cessante il giudice dell’impugnazione ha precisato che la restituzione della somma pagata per l’aggiudicazione del bene, maggiorata delle spese affrontate, degli interessi compensativi e della rivalutazione monetaria copriva l’intera area del danno, inteso come interesse negativo, che l’appellata aveva subito a seguito dell’evizione. Lo stesso giudice dell’impugnazione ha poi rilevato che la prova del lucro cessante non era stata fornita e che il danno non poteva considerarsi conseguenza immediata e diretta dell’evizione, giacché il mancato acquisto del terreno non comportava la perdita del diritto di edificazione, posto che questa facoltà era subordinata alla concessione dell’autorità amministrativa e l’odierna ricorrente non aveva dimostrato di esserne divenuta titolare ha osservato, anzi, che la porzione immobiliare in questione era stata espropriata, essendo ricompresa nel piano di zona per l’edilizia residenziale pubblica ai sensi della l. n. 167/1962, sicché Patur non avrebbe potuto legittimamente ottenere alcun titolo concessorio stante il vincolo di ordine generale che gravava sul lotto. La tematica del risarcimento del danno trova ingresso, nella fattispecie portata all’esame di questa Corte, in quanto la sentenza impugnata ha specificamente riconosciuto la colpa del creditore procedente cfr. pag. 7 del provvedimento e tale accertamento non è stato impugnato. Va osservato, in proposito, che l’art. 2921 c.c., nel prevedere che l’acquirente della cosa espropriata, ove ne subisca l’evizione, possa ripetere il prezzo non ancora distribuito o quello oggetto di distribuzione nel caso in cui questa sia intervenuta , fa salva la responsabilità del creditore procedente per i danni. In tema di evizione del bene oggetto di vendita forzata, dunque, trova fondamento applicativo il criterio che è stato affermato dalla giurisprudenza con particolare riguardo alla previsione di cui all’art. 1483 c.c. in base ad esso, la garanzia per evizione ha la funzione di eliminare lo squilibrio delle prestazioni determinato dall’inadempimento del venditore la garanzia opera, dunque, nei limiti del ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto anche in mancanza di colpa del venditore la colpa è invece necessaria allorché il compratore chieda il risarcimento integrale dei danni, comprensivo anche dell’interesse positivo Cass. 22 giugno 2006, n. 14431 Cass. 27 gennaio 1998, n. 792 Cass. 6 novembre 1986, n. 6491 per l’applicazione del principio all’evizione di cui all’art. 2921 c.c., cfr. Cass. 12 febbraio 2015, n. 2750, in motivazione . In altri termini, nell’ipotesi di evizione totale, il venditore deve normalmente risarcire al compratore il danno, nei limiti del cd. interesse negativo, costituito dalla restituzione del prezzo, dal rimborso delle spese della vendita e dai frutti, che l’acquirente abbia dovuto corrispondere a colui dal quale sia stato evitto, oltre gli accessori e le spese giudiziali tuttavia, qualora si accerti che abbia agito con dolo o con colpa, in riferimento alla particolare causa che ha determinato l’evizione, il venditore è obbligato al risarcimento integrale del danno, comprensivo anche del lucro cessante, ponendosi la causa di evizione sullo stesso piano giuridico dell’inadempimento Cass. 17 settembre 2015, n. 18259 Cass. 14 aprile 1994, n. 3470 . Ciò posto, la Corte di merito ha correttamente preso in esame la questione circa l’accrescimento di valore che il lotto non avrebbe ricevuto per effetto della sua edificazione in quanto l’accertamento peritale richiamato dall’odierno ricorrente - e fatto proprio dal giudice di prime cure - si basa, con tutta evidenza, proprio su di una stima del bene che tiene conto dell’apprezzamento che ad esso sarebbe derivato dall’attività costruttiva. Per rendersene conto è sufficiente osservare che, nel computo di detto valore il C.T.U. ebbe a prendere in considerazione i costi di costruzione cfr. gli stralci dell’elaborato tecnico riprodotti a pagg. 12 ss. del ricorso . Ora, incontroverso che al momento dell’aggiudicazione il fondo acquistato dalla ricorrente più non appartenesse alla debitrice esecutata, per essere lo stesso stato oggetto di espropriazione per pubblico interesse alcuni anni prima la stessa ricorrente riferisce, infatti, che l’espropriazione risaliva al 1979 laddove l’aggiudicazione ebbe luogo nel 1985 . Come si accennato, la Corte di appello ha evidenziato che l’espropriazione si attuò in seguito all’inclusione dell’area nel piano di zona previsto dalla l. n. 167/1962. Viene quindi in questione il procedimento ablatorio, previsto dall’art. 9, ult. co. della detta legge, cui erano soggette le aree incluse nel piano aree asservite alla speciale programmazione urbanistica delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, nonché opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico art. 1 della legge . Discende da ciò che al momento dell’aggiudicazione il bene, in quanto espropriato e assoggettato alla nominata finalità pubblicistica, era privo di un valore intrinseco correlato alla sua attitudine edificatoria, non potendo essere destinato dai privati a quei fini speculativi che incidono significativamente sulla quotazione dell’area nel mercato immobiliare. La Corte distrettuale ha quindi correttamente escluso di poter prendere in considerazione il pregiudizio patrimoniale commisurato all’accrescimento di valore che il lotto avrebbe conseguito per effetto di una potenziale attività costruttiva. Il vero è che nel prospettare il frustrato impiego del fondo ai fini edilizi la ricorrente finisce per riconnettere il danno al dato della pregressa espropriazione per pubblico interesse, quasi ad ipotizzare che il pregiudizio non si sarebbe prodotto se il bene non fosse stato espropriato trascurando con ciò di considerare che, sul piano giuridico, il danno ingiusto non dipende da detta evenienza, quanto, piuttosto, dall’incauta condotta del creditore procedente. Infatti il fondamento della obbligazione risarcitoria sancita dall’art. 2921 c.c. risiede nel potere di scelta che l’ordinamento conferisce al creditore procedente di individuare beni da sottoporre ad esecuzione forzata e nella responsabilità che egli assume assoggettando al procedimento espropriativo beni che non appartengono al debitore Cass. 21 luglio 1969, n. 2724 . Non è allora possibile lamentare il mancato conseguimento del profitto dato dalla inesistente natura edificatoria del lotto che si origina dalla precorsa espropriazione del bene, originariamente appartenente al debitore esecutato, in quanto il danno, a norma dell’art. 1223 c.c., deve essere conseguenza immediata e diretta dell’illecito non della situazione, estranea alla condotta contra jus del danneggiante, che ne costituisca il presupposto. Con il secondo motivo è lamentata violazione delle norme di cui agli artt. 568 e 64 c.p.c. e 2043 c.c., oltre che omessa e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo. Ad essere censurata è l’affermazione del giudice del gravame secondo cui L.L. non era stato incaricato di procedere al controllo della titolarità dei beni in capo al debitore esecutato e quindi di aggiornare, al momento della vendita, la certificazione ipocatastale affermazione, questa, sostenuta dal rilievo secondo cui a norma degli artt. 568 e 569 c.p.c. all’esperto nominato dal giudice è normalmente demandata la sola stima dei beni staggiti, presupponendosi già accertata la titolarità di essi in capo al creditore procedente. Sostiene la ricorrente che al professionista era stato conferito un ulteriore mandato di procedere alla formazione di tre lotti proprio in quanto si era rilevato che parte dell’area era stata occupata dal Comune. In esecuzione di tale incarico il perito aveva attestato, nella propria relazione, che l’area di 5.880 mq., che qui interessa, era libera, laddove, invece, il lotto in questione era stato espropriato dal Comune fin dal 1979, come del resto era stato accertato dal C.T.U. nominato nel corso del presente giudizio. L’art. 64 c.p.c. prevedeva del resto la responsabilità civile del consulente d’ufficio anche per i casi di colpa lieve e la responsabilità dello stesso aveva natura aquiliana, per cui sussisteva anche nei confronti dei terzi. Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni. Anzitutto esso è carente di autosufficienza, in quanto si fonda sul richiamo di un documento la relazione di stima redatta dall’ing. L. nel corso del procedimento esecutivo rispetto al quale non risulta assolto l’onere, prescritto dall’art. 366, 10 co., n. 6, c.p.c., di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale sia stato acquisito il documento in questione ed in quale fascicolo di parte esso si trovi, e ciò al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli, d’ufficio o di parte Cass. 12 dicembre 2014, n. 26174 Cass. 7 febbraio 2011, n. 2966 Cass. 3 luglio 2009, n. 15628 . Oltretutto, il documento in questione riprodotto in un brevissimo stralcio a pag. 29 del ricorso , laddove esso avrebbe dovuto essere trascritto nella sua integrità in modo da consentire alla Corte una compiuta valutazione circa la decisività dello scritto sul punto cfr, Cass. 28 febbraio 2006, n. 4405 in senso sostanzialmente conforme, tra le tante Cass. 28 giugno 2006, n. 14973 Cass. 8 settembre 2006, n. 19305 Cass. 20 febbraio 2007, n. 3920 Cass. 16 febbraio 2007, n. 3651 Cass. 11 giugno 2007, n. 13619 Cass. 30 luglio 2010, n. 17915 Cass. 31 luglio 2012, n. 13677 Cass. 3 gennaio 2014, n. 48 . In secondo luogo, la decisione assunta dalla Corte di appello di Napoli si incentra su di un apprezzamento che è insindacabile in questa sede tale apprezzamento verte sul fatto che al professionista era stato demandato di procedere alla sola stima dei beni pignorati e di suddividere i terreni in lotti distinti al fine di pervenire a una più conveniente vendita di ciascuno di essi, mentre non vi era alcuna traccia di un incarico avente ad oggetto il controllo della titolarità dei beni in capo al debitore esecutato. Il che come correttamente ritenuto dal giudice del gravame - era pienamente coerente con la disciplina vigente, posto che la stima degli immobili pignorati non implicava l’accertamento del titolo di proprietà. In proposito, va qui ricordato che, a norma dell’art. 567 c.p.c., il creditore che richiede la vendita tenuto ad allegare l’estratto catastale e i certificati delle iscrizioni e delle trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nel ventennio anteriore, ovvero un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari è quindi ben possibile che, proprio in quanto è il creditore procedente a dover documentare l’inesistenza di iscrizioni trascrizioni pregiudizievoli, l’incarico conferito all’esperto non ricomprenda le verifiche presso il conservatore dei registri pubblici immobiliari. D’altra parte, se la nomina dell’esperto fosse finalizzata a questo esame, certo imprescindibile nell’economia del procedimento esecutivo, non si comprenderebbe la ragione per la quale l’incarico previsto dall’art. 568 c.p.c. abbia carattere meramente facoltativo, come riconosciuto da giurisprudenza risalente - ma mai contraddetta - di questa Corte cfr. Cass. 4 maggio 1963, n. 1098 . Con l’unico motivo di ricorso incidentale il Banco di Napoli denuncia violazione degli artt. 112 c.p.c. e dell’art. 1223 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. L’impugnazione investe la statuizione restitutoria contenuta nella sentenza della Corte partenopea si duole la ricorrente per incidente che il giudice di appello avesse erroneamente ritenuto che l’importo di 385.075,74, menzionata dalla sentenza di primo grado, fosse già comprensivo degli interessi compensativi al 5% interessi che invece erano stati oggetto di separata liquidazione da parte del Tribunale. La censura merita accoglimento. La sentenza resa dal Tribunale conteneva una condanna della banca che aveva ad oggetto Euro 58.408,36, a titolo di rimborso del prezzo di acquisto, ed Euro 5.841,61, a titolo di rimborso delle spese occorse per l’acquisto importi, questi, di cui qui oggi non si controverte, dal momento che è passata in giudicato la decisione relativa al diritto di restituzione di quanto versato da Patur per procurarsi il lotto Euro 320.825,77, importo che era stato ritenuto dovuto dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento del danno le ulteriori somme maturate per rivalutazione monetaria e interessi compensativi al annuo su quest’ultimo importo. La Corte di appello ha accolto la domanda restitutoria dell’istituto di credito disponendo la condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di 385.075,74 comprensiva di interessi compensativi liquidati al 5% e alla rivalutazione monetaria, oltre interessi legali dal giorno del pagamento e fino al soddisfo . Così facendo, però, la Corte di Napoli ha finito non solo per cumulare, nella statuizione restitutoria, quanto costituiva oggetto del negato risarcimento del danno pari a 320.825,77 e quanto competeva senz’altro a Patur a titolo di rimborso di quanto pagato per l’acquisto dell’area la sommatoria di Euro 58.408,36 e di Euro 5.841,61, pari a Euro 64.249,97 , ma ha errato nel ragguagliare l’importo che doveva essere restituito a quello che la banca avrebbe dovuto versare in forza della sentenza di primo grado giacché l’odierna controricorrente era tenuta, in forza di quel titolo, a risarcire il danno nella misura di Euro 320.825,77, oltre interessi compensativi e rivalutazione monetaria mentre doveva restare estranea alla pronuncia restitutoria l’ulteriore somma di Euro 64.249,97 - che cumulata con la prima faceva ascendere l’importo dovuto complessivo a 385.075,74 – dal momento che l’appello aveva ad oggetto il capo di sentenza relativo al risarcimento del danno pari a Euro 320.825,77, oltre interessi e rivalutazione pag. 11 della sentenza e lo stesso giudice dell’impugnazione ha inteso provvedere solo su tale aspetto della controversia cfr. pag. 16 della pronuncia di appello, ove si legge che la decisione di primo grado andava riformata nella parte in cui liquidava a Patur la somma di Euro 320.925,77, oltre interessi e rivalutazione . E da tanto discende l’errore ulteriore, consistente nell’affermare che l’importo di Euro 385.075,74 fosse comprensivo degli interessi compensativi laddove, invece, esso conglobava, come si è detto, quanto dovuto, per capitale, a titolo di rimborso e a titolo risarcitorio onde gli interessi compensativi andavano calcolati sulla minor somma di Euro 320.925,77 come giustamente precisato - si ripete - a pag. 16 della sentenza . Sul punto la sentenza merita quindi cassazione, non essendo decisivo che la banca abbia mancato di riprodurre la richiesta formulata al giudice del gravame, dal momento che, per un verso, è la stessa pronuncia di appello a evidenziare che la domanda di restituzione della banca ulteriormente esplicitata in controricorso pag. 27 concerneva le somme corrisposte in esito alla sentenza di primo grado la quale aveva anche ad oggetto la somma di Euro 320.825,77, oltre interessi compensativi e rivalutazione monetaria cfr. pag. 4 della sentenza di secondo grado e che, per altro verso, la Corte di merito non ha dato atto di alcun dissenso tra le parti in ordine agli importi versati che anzi ha evidentemente ritenuto equivalenti a quanto disposto con la condanna di primo grado . Spetterà al giudice di rinvio accertare l’ammontare della somma da restituire tenendo conto che l’importo non dovuto è quello, sopra menzionato, di Euro 320.825,77, oltre interessi compensativi e rivalutazione monetaria. È rimessa allo stesso giudice del rinvio la statuizione circa le spese del presente giudizio di legittimità tra Patur Immobiliare e il Banco di Napoli. Per quanto attiene, invece, alla posizione di S.F. , nei cui confronti il ricorso è stato respinto, va disposta, in base al principio di soccombenza, la condanna della società istante al pagamento delle spese processuali sostenute dal detto controricorrente e ciò nella misura che è liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata con riferimento al ricorso incidentale e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli anche per le spese del presente giudizio di legittimità intercorso tra Patur Immobiliare e Banco di Napoli condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di S.F. , liquidandole in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.