La riduzione del patrimonio del debitore non giustifica, automaticamente, il recesso da parte della banca

In materia di riduzione delle garanzie bancarie, spetterà al debitore provare l'adeguatezza del patrimonio e l'istituto di credito dovrà documentare unicamente la riduzione della garanzia. Tuttavia, spetterà al giudice anche mediante CTU , verificare se la riduzione patrimoniale corrisponde a quella tipizzata in contratto, tanto, al fine di evitare che il recesso fondi su ragioni arbitrarie.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17291/16, depositata il 24 agosto. Il caso. Un istituto di credito ed un privato stipulavano contratto di affidamento in conto corrente. L'accordo, unitamente al correntista, veniva sottoscritto da altre persone fisiche in qualità di fideiussori. La banca esercitava diritto di recesso e attivava decreto ingiuntivo contro il debitore principale ed i fideiussori. Nel giudizio di opposizione, il Tribunale, confermava la pretesa creditoria e respingeva le difese del debitore. La Corte territoriale confermava la decisione del primo giudice e ribadiva che la giusta causa del recesso doveva essere, anche in assenza di sconfinamenti in conto corrente, individuata nella riduzione del patrimonio del debitore principale e dei fideiussori oltre che nella non provata sufficienza del patrimonio residuo. Il debitore ha proposto ricorso per cassazione. Il recesso della banca. La S.C. ha chiarito che occorre distinguere l'ipotesi di contratto di affidamento generico dal contratto di affidamento con garanzie tipizzate. In tale seconda ipotesi, il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell'ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate - Cass. n. 9321/2000. Riduzione patrimoniale e prova dell'insufficienza. I Giudici di legittimità hanno ribadito che la riduzione del patrimonio del debitore e/o quello dei garanti, non legittima il recesso automatico dal contratto, perché, è necessaria la prova di insufficienza del patrimonio posto a garanzia del credito. L'onere della prova grava sul debitore e, ove voglia attivarsi giudizialmente, la banca non è tenuta a provare preventivamente la menomazione della garanzia. Pertanto, in giudizio, spetterà al debitore provare l'adeguatezza del patrimonio e l'istituto di credito dovrà documentare unicamente la riduzione della garanzia. Tuttavia, spetterà al giudice, verificare se la riduzione patrimoniale corrisponde a quella tipizzata in contratto, tanto, al fine di evitare che il recesso fondi su ragioni arbitrarie. Nel caso di specie, il debitore ingiunto ha affermato la sufficienza del patrimonio e, contestualmente, chiesto una CTU per determinarne il controvalore ma, detta istanza, è stata respinta dalla Corte territoriale che si è limitata ad affermare la non provata sufficienza del patrimonio. La S.C. ritiene la decisone della Corte d’appello non adeguata per assenza di verifica di consistenza patrimoniale. Con queste argomentazioni la sentenza impugnata è cassata con rinvio ad altro giudice.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 luglio – 24 agosto 2016, n. 17291 Presidente Giancola – Relatore Genovese Svolgimento del processo 1. La Corte d’appello di Lecce, per le questioni qui ancora aperte, ha respinto l’impugnazione proposta dal signor C.A. correntista affidato del Banco di Napoli SpA , e suo debitore principale, in ordine al recesso, esercitato dalla Banca, dal contratto di affidamento in conto corrente ed alla conseguente richiesta di pagamento del saldo, nei riguardi della sentenza del Tribunale di Brindisi che, decidendo dell’opposizione al decreto ingiuntivo proposto da costui, unitamente ai suoi fideiussori, aveva accolto l’opposizione, revocato il monitorio ma condannato i debitori al pagamento, in favore della Banca, di una somma di danaro oltre che del 70% delle spese processuali. 2. La Corte territoriale, investita della rivisitazione del primo giudizio, ha - per quello che qui ancora interessa in ordine alla questione della revoca per giusta causa dell’affidamento in conto corrente -, dichiarato legittimo il comportamento della Banca e condannato l’odierno ricorrente al pagamento delle ulteriori spese del grado. 3. Il giudice di appello, infatti, ha respinto l’impugnazione sul punto affermando che il recesso era stato operato per giusta causa e giustificato motivo atteso che, se era vero che il debitore principale non aveva sconfinato dagli affidamenti, era altresì vero che sia lui che i fideiussori avevano compiuto atti di disposizione del proprio patrimonio sì da diminuire la garanzia del credito, rendendo oltremodo più difficoltoso l’eventuale suo recupero, cosicché il comportamento della Banca era risultato né pretestuoso né arbitrario ma tenuto in buona fede, richiedendo il rientro dagli affidamenti entro il termine di 15 giorni. 3.1. Secondo il giudice distrettuale, inoltre, non vi era la prova e comunque essa non riteneva che il residuo patrimonio immobiliare dei debitori costituisse garanzia ampia ed idonea per il recupero del credito bancario. 4. Avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi di censura. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso errata applicazione degli artt. 1845, 1175 e 1375 c.c. art. 360 n. 3 c.p.c. il ricorrente pone a questa Corte il seguente principio di diritto Se sia legittimo il recesso dal contratto di apertura di credito tra l’amministratore e la banca allorché non ricorra l’insolvenza di quest’ultimo e prima che sia stata verificata l’insolvenza dei suoi garanti. Se qualsiasi atto dispositivo del debitore e dei garanti comportino una diminuzione delle garanzie tale da legittimare il recesso . 2. Con il secondo mezzo errata interpretazione degli artt. 1936 e ss. c.c. art. 360 n. 3 c.p.c. il ricorrente pone a questa Corte il seguente principio di diritto Se sia legittimo il recesso dal contratto di apertura di credito prima di aver richiesto il pagamento ai garanti . 3. Con il terzo Errata interpretazione degli effetti contrattuali a seguito della morte del fideiussore Mancata e/o errata e/o parziale applicazione degli artt. 1943, co. 2, e 1899, co. 2, c.c. e abuso del diritto la ricorrente pone alla Corte il seguente quesito di diritto Se, alla morte del fideiussore, sia legittimo il recesso dal contratto di apertura di credito, garantito anche da altra fideiussione, prima di aver richiesto all’amministrato il supplemento di garanzia degli artt. 1943, co. 2, e 1844, co. 2, c.c. . 4. Con il quarto vizio di motivazione, abnorme e/o errata e/o parziale interpretazione degli atti acquisiti al processo Errata e/o mancata applicazione dell’art. 1461 c.c Mancata ammissione e/o motivazione del diniego di CTU la ricorrente pone alla Corte il seguente quesito di diritto Se atti di disposizione patrimoniale da parte del debitore e del garante, costituiscano, sic et simpliciter, giusta causa di recesso dal contratto di apertura di credito in mancanza di prova sull’idoneità del patrimonio del debitore e del garante, a soddisfare il credito della banca entro i limiti dell’affidamento. Se il giudice del merito per non incorrere nel vizio di omessa pronuncia, non debba motivare in ordine al diniego della richiesta di CTU e/o in ordine agli elementi di fatto su cui è fondata la sua decisione . 5. Con il quinto omessa decisione in ordine alla ricorrenza del principio di abuso del diritto il ricorrente pone alla Corte il seguente quesito di diritto Se ricorra l’abuso del diritto e siano violati i doveri di buona fede e correttezza nella esecuzione del contratto allorquando l’Istituto di credito eserciti il diritto di recesso dal contratto di apertura di credito, prima di aver esperito gli opportuni tentativi per evitare di danneggiare irreparabilmente l’amministrato. Se il giudice di merito debba fondare la sua decisione in materia tenendo presenti quali siano i principi regolatori ed i presupposti dell’abuso del diritto . 6 . I motivi primo e quarto, tra di loro strettamente connessi debbono essere trattati congiuntamente ed accolti, risultando fondati. 7. I detti mezzi sollevano, con diversità di accenti e di argomenti, la questione di quando può dirsi che la decisione della Banca di recedere dal rapporto di affidamento in conto corrente, secondo quando afferma la giurisprudenza di questa Corte, possa dirsi del tutto imprevista o arbitraria . 7.1. Infatti questa Corte Cass. Sez. 1, Sentenze nn. 9321 del 2000 e 4538 del 1997 ha enunciato il principio di diritto secondo cui in caso di recesso di una banca dal rapporto di credito a tempo determinato in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell’ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate . 7.2. I richiamati mezzi di ricorso pongono il problema della dimostrazione della giustificazione posta a base della decisione di recesso dal rapporto di affidamento, da parte dell’istituto di credito, avendo la Corte territoriale a p. 8 della motivazione escluso che vi fosse la prova che, a seguito degli atti di disposizione posti in essere dai debitori principale e fideiussori e del conseguente indebolimento della garanzia patrimoniale generica, il residuo loro patrimonio immobiliare costituisse idonea garanzia per l’eventuale recupero del credito della Banca ed anzi ritenendo formata la prova contraria. 7.3. Osserva la Corte, dando continuità all’indirizzo ermeneutico espresso altresì dalla sentenza n. 4538 del 1997 , secondo cui il debitore il quale agisca per far dichiarare arbitrario l’atto di recesso di una banca dal rapporto di affidamento di credito e, in particolare, per far affermare che il recesso non sia stato rispettoso della regola della giusta causa in quanto prevista dal contratto stipulato dalle parti ha l’onere di allegare che le giustificazioni date dalla banca non risultano ragionevoli, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale, così come residuata dopo gli atti dispositivi compiuti. 7.4. Al riguardo, si osserva, che la Banca, per esercitare il suo diritto di recesso, ovviamente, non deve accertare e dimostrare che sussista un vero e proprio stato di insolvenza dei debitori peraltro di difficile affermazione, essendo materia riservata all’Autorità giudiziaria che, al riguardo, provvede con le forme e le garanzie dell’istruttoria prefallimentare in quanto, in tal modo si richiederebbe ad essa, irragionevolmente, di recuperare il proprio credito quando questo sia divenuto addirittura irrecuperabile. 7.5. Tuttavia, è altrettanto vero che il giudice deve verificare che le previsioni di esercizio della giusta causa siano tali da risultare non impreviste o arbitrarie , tenuto conto che, nella specie, il correntista, pacificamente, non aveva mai superato il limite dell’affidamento concesso dall’istituto di credito come ammette la stessa Corte territoriale , tenendo pertanto un comportamento corretto e rispettoso dell’accordo negoziale. 7.5.1. A tal uopo, infatti, è vero quanto afferma il ricorrente che non basta un qualsiasi atto di disposizione del proprio patrimonio perché il creditore bancario possa dirsi, a giusto titolo, allarmato dal comportamento del suo debitore, anche se il carattere non allarmante dell’atto di disposizione patrimoniale compiuto deve essere dimostrato da parte di quest’ultimo, laddove agisca per far dichiarare come arbitrario l’atto di recesso della banca. 7.5.2 . Nella specie, infatti, la Corte territoriale ha motivato il rigetto dell’impugnazione e della domanda del debitore della Banca affermando che non vi era la prova della idoneità della garanzia residua offerta, a seguito delle cessioni da operate dai debitori, con una ratio decidendi che risulta essere stata efficacemente aggredita dall’odierno ricorrente e debitore principale il quale, dopo aver allegato con la analitica specificazione dei cespiti oggetto del patrimonio, suo e dei fideiussori , la consistenza di tali beni, posti a presidio degli obblighi assunti con la Banca, ha vanamente richiesto - nel caso che del loro valore si dubitasse - una CTU volta all’apprezzamento degli stessi. 7.5.3. Nella specie, nel dubbio sulla valutazione del patrimonio residuo immobili e terreni in OMISSIS , ed in mancanza di ulteriori allegazioni di allarme circa la solvibilità dei debitori, il giudice di merito avrebbe dovuto quantomeno disporre una CTU estimativa, allo scopo di verificare - sia pure indirettamente - l’affermazione dell’esistenza di indici apprezzabili relativi al comportamento arbitrario del creditore istituzionale. 7.5.4. Orbene, non solo il giudice distrettuale non ha disposto tale CTU ma ha affermato, senza alcuna effettiva motivazione, l’esistenza in atti della prova dell’insufficienza del patrimonio dei debitori, senza specificare le ragioni, con una evidente carenza motivazionale, tale da farla qualificare come vera e propria motivazione apparente. 8. In conclusione, il primo ed il quarto motivo di ricorso devono essere accolti, assorbiti i restanti, con ciò determinandosi la cassazione della sentenza, con rinvio della causa, anche per le spese di questa fase del giudizio, alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione. P.Q.M. Accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase del giudizio, alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione.