La Cassa di Risparmio varia il tasso di interesse unilateralmente? Può farlo ma a determinate condizioni

Comportamento illegittimo della banca che, esercitando lo jus variandi, utilizza un parametro diverso da quello pattuito e varia il tasso di interesse.

Con sentenza n. 9129/16, depositata in cancelleria il 6 maggio, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la questione alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione. Il caso. Due clienti della Cassa di Risparmio ricorrono davanti al Tribunale di Padova, contro l’istituto di credito, chiedendo la condanna a restituire loro le somme indebitamente percepite a titolo di interessi extra-legali, riguardo ad un mutuo ad essi concesso, ed inoltre al risarcimento di danno morale subito per l’acquisto di titoli effettuati dalla banca, in violazione degli obblighi di riservatezza, non essendo stata autorizzata l’operazione di investimento. La banca, costituitosi il contraddittorio, chiede il rigetto delle domande. Il Tribunale di Padova, a questo punto, condanna la medesima a restituire agli attori le somme dovute. Avverso tale sentenza la banca propone appello che viene prontamente rigettato dalla Corte di Venezia. Ricorre quindi per cassazione la banca, ma resistono con controricorso gli attori. Con il primo motivo, lamenta vizio di motivazione della sentenza impugnata, precisando che ogni conclusione della controparte, sia in primo che in secondo grado, faceva conseguire la richiesta di pagamento all’accertamento dell’inadempimento, non potendosi dunque configurare una domanda di pagamento di indebito. Con il secondo motivo lamenta un vizio di motivazione, avendo la sentenza impugnata deciso su domande nuove e diverse da quelle già formulate in primo grado. Con il terzo, lamenta ancora un vizio di motivazione, là dove il giudice a quo aveva ritenuto che, dopo la variazione del tasso da parte della banca, quello originario non era più esigibile. Con il quarto motivo, deduce vizio di motivazione stante la contraddittorietà tra l’affermazione indicata nel terzo motivo e quella contenuta nella sentenza circa l’impossibilità di una determinabilità univoca del tasso di interesse. Infine invoca la violazione degli artt. 1321, 1322, 1372 2 1419 c.c., posto che era stata pattuita tra le parti una clausola di variazione unilaterale del tasso di interesse. Va bene l’esercizio dello jus variandi, ma ancorato a criteri prestabiliti. Secondo il giudice a quo , la Cassa di Risparmio aveva concesso agli attori un mutuo con un certo tasso di interesse annuo, con la possibilità di variazione unilaterale da parte della banca, in relazione ai tassi correnti di mercato, ma che successivamente aveva applicato un diverso tasso rispetto a quanto precedentemente pattuito emergendo, tra l’altro, l’assoluta indeterminatezza del tasso inizialmente pattuito nel contratto. Per la Suprema Corte, bene ha fatto dunque il giudice a ritenere illegittimo il comportamento della banca che, esercitando il suo jus variandi , aveva utilizzato un parametro diverso da quello pattuito. E’ sicuramente ammissibile la facoltà della banca di variare il tasso unilateralmente e il principio è stato esplicitamente recepito nel contratto de quo ma, secondo la giurisprudenza ampiamente consolidata, esso deve ancorarsi a criteri prestabiliti, in modo che sia assicurata, al di fuori di ogni margine di discrezionalità, una concreta determinazione sulla base di una disciplina fissata su scala nazionale e vincolante, o comunque, con riferimento ad elementi obbiettivi ed esterni, come il tasso di cambio di una valuta concordata tra le parti. Non possono invece accogliersi gli effetti che la Corte di merito fa derivare da determinati principi, ossia l’affermazione in base alla quale, in presenza di illegittime variazioni, il tasso di interesse dovrebbe ridursi a quello legale. Solo in questi termini il ricorso va accolto. Ma ogni altra questione deve ritenersi assorbita.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 febbraio – 6 maggio 2016, n. 9129 Presidente Nappi – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 05/12/2003, B.A. e M.P. convenivano, davanti al Tribunale di Padova, la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo s.p.a., chiedendo la condanna della banca a restituire loro somme indebitamente percepite, a titolo di interessi extra legali, riguardo ad un mutuo ad essi concesso ed inoltre il solo B. al risarcimento di danno morale da lui subito per l’acquisto di titoli effettuati dalla Banca, in violazione degli obblighi di riservatezza, non essendo stata autorizzata l’operazione di investimento ed essendo falsa la firma in calce all’ordine. Costituitosi il contraddittorio, la convenuta chiedeva il rigetto delle domande. Con sentenza n. 1998 del 2007, il Tribunale di Padova condannava la banca a restituire agli attori la somma di euro 4.000,00. Avverso tale sentenza proponeva appello la banca. Costituitosi il contraddittorio, gli appellati ne chiedevano il rigetto, ei in via incidentale, accertarsi l’inadempimento della Banca, restituirsi ulteriori somme indebitamente da essa incassate nonché le somme chieste e riscosse a titolo di spread dello 0,07% aggiuntivo al tasso di interesse chiedevano infine disporsi CTU. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 03/09/2009, rigettava l’appello. Ricorre per cassazione la banca. Resiste con controricorso il B. . Deposita memoria difensiva la Banca. Motivi della decisione Con il primo motivo, la ricorrente lamenta vizio di motivazione della sentenza impugnata, precisando che ogni conclusione di controparte in primo e secondo grado faceva conseguire la richiesta di pagamento all’accertamento dell’inadempimento, e non si poteva dunque configurare una domanda di pagamento di indebito. Con il secondo, vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata aveva deciso su domande nuove e diverse da quelle già formulate in primo grado, in particolare la riduzione il tasso di interesse a quello legale, stante l’impossibilità di individuare esattamente il parametro extra legale pattuito. Con il terzo, vizio di motivazione là dove il giudice a quo aveva ritenuto che dopo la variazione del tasso da parte della banca ai sensi dell’art. 4 del contratto, quello originario non era più esigibile. Con il quarto, vizio di motivazione stante la contraddittorietà tra l’affermazione indicata nel terzo motivo e quella parimenti contenuta nella sentenza circa l’impossibilità di una univoca determinabilità del tasso di interesse. Con il quinto, violazione degli artt. 1321, 1322, 1372 e 1419 c.c., posto che era stata pattuita del tutto legittimamente tra le parti/una clausola di variazione del tasso di interesse ancorata ad un parametro specificamente determinato e che il giudice si era sostituito alle parti, modificando il tasso contrattualmente pattuito. Come si è visto, i primi quattro motivi attengono a vizio di motivazione e solo il quinto si riferisce a violazione di legge. I motivi sono comunque tutti strettamente collegati e possono essere trattati congiuntamente. Va osservato che fin dall’atto di citazione in primo grado, allegato dalla ricorrente al proprio ricorso, emerge che gli attori chiedevano condannarsi la convenuta alla restituzione delle somme indebitamente incassate dal 1990 ad oggi”, a titolo di maggior tasso di interesse preteso e pagato dagli attori rispetto ai tassi calcolati ex art. 4 del contratto di mutuo. La domanda è stata accolta dal giudice a quo che l’ha inquadrata, con motivazione adeguata e non illogica nello schema dell’azione di ripetizione di indebito, come già aveva fatto il primo giudice, con riferimento, all’evidenza, al contesto dell’atto difensivo, anche se gli attori avevano parlato pure accertamento dell’inadempimento. Né si configurano domande nuove come chiarisce con motivazione, adeguata e non illogica, la Corte di merito, la Cassa di risparmio aveva concesso agli attori un mutuo di Lire 40.000.000 con un tasso di interesse del 14,029% annuo con possibilità di variazione unilaterale da parte della banca, in relazione ai tassi correnti di mercato applicati dalle Casse di Risparmio per le nuove operazioni ipotecarie della specie a medio e lungo termine art. 4 del contratto che la banca aveva invece applicato un diverso tasso pari alla media aritmetica del tasso della lira interbancaria a tre mesi lettera, maggiorato di 0,75 cent., e dalle prime rate ABI. A seguito della CTU espletata in secondo grado era pure emersa l’assoluta indeterminatezza dal tasso pattuito in contratto. Bene ha fatto il giudice a quo a ritenere illegittimo il comportamento della banca che esercitando il suo jus variandi aveva utilizzato un parametro diverso da quello pattuito risultato quest’ultimo, tra l’altro, del tutto indeterminato . Ai sensi dell’art. 1284, terzo comma c.c., è sufficiente che gli interessi superiori alla misura legale siano determinati, come nella specie, per iscritto. Dunque il tasso iniziale del 14,029% appariva del tutto conforme alla legge. È sicuramente ammissibile la facoltà della banca di variare il tasso unilateralmente e il principio è stato esplicitamente recepito nel contratto de quo , ma, secondo giurisprudenza ampiamente consolidata tra le altre, Cass. 9080 del 2002 e, più recentemente n. 3480 del 2016 , esso deve ancorarsi a criteri prestabiliti, in modo che sia assicurata con certezza, al di fuori di ogni margine di discrezionalità, rimessa all’arbitrio del creditore, una concreta determinazione sulla base di una disciplina, fissata su scala nazionale e vincolante ad esempio il tasso unico di sconto, la cui manovra è rimessa all’autorità di vigilanza o comunque con riferimento ad elementi obbiettivi ed esterni, come il tasso di cambio di una valuta concordata tra le parti ovviamente non può essere utilizzato un criterio differente, come è avvenuto nella specie rispetto a quello pattuito. Non possono invece accogliersi gli effetti che la Corte di merito fa derivare dai principi suindicati, e cioè l’affermazione che, in presenza di illegittime variazioni, il tasso di interesse dovrebbe ridursi a quello legale legittimo il tasso iniziale del 14,029%, dovrà invece ritenersi illegittima ogni variazione unilaterale, superiore al predetto tasso, che sarà riportata a quello del 14,029%. Soccorre anche in tal caso, consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo quanto sopra indicato tra le altre, Cass. 9080 del 2002 e più recentemente n. 3480 del 2016 . Solo in questi termini va accolto il ricorso. Ogni altra questione deve ritenersi assorbita. Va pertanto cassata la sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, che, sulla base dei principi suindicati, dovrà determinare la somma dovuta dalla anca, e pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, che pure si presenterà sulle spese del presente giudizio di legittimità.