L’opposizione allo stato passivo può avere ad oggetto il solo accertamento del credito insinuato

Il contratto di conto corrente bancario, privo di data certa, non è opponibile al fallimento e risultano, comunque, nulle le clausole di tale contratto che prevedano la corresponsione di interessi superiori al tasso legale, determinati secondo uso piazza”, e degli interessi sugli interessi.

Così si è pronunciata la VI sezione Civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 4567/16, depositata il 9 marzo, dopo che era stata chiamata a pronunciarsi su un’opposizione ex art 98 l.fall. proposta da una banca. Il caso. Con opposizione ex art. 98 l.fall., un istituto di credito si è rivolto al Tribunale di Venezia al fine di ottenere l’ammissione allo stato passivo di una società dichiarata fallita, per un credito di euro 56.083,92, derivante dallo scoperto del conto corrente acceso nel 1985. Nel giudizio di merito veniva affermata l’inopponibilità al fallimento del contratto di conto corrente, privo di data certa, prodotto dalla banca e, all’esito della Ctu, rilevato che anche il credito relativo al periodo documentato dagli estratti conto era insussistente, in quanto il conto presentava un saldo attivo a favore della correntista. Nella perizia, infatti, il consulente aveva evidenziato l’ applicazione di interessi superiori a quelli legali, applicati dalla banca, ed era stato, per questo, chiamato a rideterminare il quantum debeatur , depurandolo dagli interessi ultralegali ed anatocistici, a partire dal saldo zero del primo estratto. Il decreto è stato impugnato dalla creditrice innanzi alla Suprema Corte, con ricorso affidato a due motivi di diritto, sui quali è stato deciso in camera di consiglio, con ordinanza ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c Contratto di conto corrente bancario. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 2704 c.c., 115 c.p.c., 98 e 99 l.fall., deducendo che l’eccezione di mancanza della data certa del contratto di conto corrente bancario era inammissibile, in quanto tardivamente sollevata dal curatore e che, in ogni caso, la certezza della data era ricavabile dalla fusione intervenuta tra i due istituti bancari creditori, avente efficacia dal 1.1.1990. La doglianza è stata ritenuta inammissibile, in quanto le clausole di tale contratto che prevedevano la corresponsione di interessi superiori al tasso legale erano nulle e tale difetto è rilevabile anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, ivi compreso il giudizio di Cassazione. Del pari, ha aggiunto l’ordinanza, ogni doglianza appare infondata, poiché non vi è termine di decadenza per l’eccezione ex art. 2704 c.c Con il secondo motivo l’istituto di credito ha denunciato la violazione degli artt. 2697, 2935 c.c. e 61, comma 2, del d.l. n. 225/2010, contestando la rideterminazione del credito operata dal ctu, a partire dal saldo zero del primo estratto conto. Sul punto, la Corte ha dichiarato, in parte, l’infondatezza delle doglianze e, in parte, la loro inammissibilità in particolare, è stato precisato che non può più discutersi l’applicabilità dell’art. 2, comma 61, della l. n. 10/2011, in quanto la norma è stata dichiarata incostituzionale. In ordine al quantum debeatur , ha rilevato che ben avrebbe potuto la banca provare, in via documentale, che il contratto di conto corrente aveva avuto esecuzione e che residuava un debito da scoperto in capo alla fallita, nonostante la mancanza di data certa le impedisse di conseguire, verso la massa, gli effetti negoziali propri delle clausole in esso contenute. Tuttavia, la produzione dei soli estratti del conto corrente ha condotto a calcolare detto importo in base all’ordine cronologico ed agli importi delle operazioni elencate in detti estratti, ma partendo da un tasso zero e non già dal saldo passivo riportato dal primo estratto conto allegato. Ciò perché non vi era prova che detto saldo corrispondesse ad un credito effettivo maturato sino ad allora dall’opponente e non fosse, piuttosto, la risultante di illegittime maggiorazioni derivanti dall’addebito di interessi anatocistici. Peraltro, detta interpretazione è risultata sicuramente più favorevole alla banca, posto che il giudice ben avrebbe potuto respingere la domanda, ritenendo preclusa ogni possibilità di ricalcolo, in mancanza di prove da parte dell’istituto sul saldo effettivo del conto. La Corte, infatti, ha ricordato che l’oggetto del giudizio di opposizione è unicamente l’accertamento della effettiva sussistenza del credito insinuato e non altro. Per tali ragioni, aderendo alle conclusioni del relatore, il Collegio ha rigettato il ricorso e condannato l’istituto i credito al pagamento delle spese processuali

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 1, sentenza 14 gennaio – 9 marzo 2016, n. 4567 Presidente Ragonesi – Relatore Cristiano E' stata depositata la seguente relazione 1 II Tribunale di Venezia, con decreto dei 14.2.012, ha respinto l'opposizione ex art. 98 I. fall. proposta da Italfondiario s.p.a., nella sua qualità di procuratore di Banca Popolare Fiuladria s.p.a., per ottenere l'ammissione allo stato passivo del Fallimento della Caumi di G. & amp N. s.n.c. del credito di € 56.083,92, derivante dallo scoperto del conto corrente acceso nel 1985 dalla società poi fallita presso l'allora Banca Cattolica del Veneto cui Fiuladria s.p.a è succeduta nella titolarità dei rapporto controverso a seguito di ripetute fusioni per incorporazioni e conferimenti di rami aziendali . Il giudice del merito affermata l'inopponibilità al Fallimento dei contratto di conto corrente, privo di data certa, prodotto dalla banca, e disposta ctu al fine di rideterminare ii credito della banca depurato degli interessi uitralegali ed anatocistici sostituiti dagli interessi al saggio previsto dall'art. 117 lett. a del TUB in relazione al solo periodo 1'1.00/16.2.010 documentato dagli estratti del conto, a partire dal saldo zero del primo estratto ha rilevato che secondo i calcoli del consulente, pienamente attendibili, il credito era insussistente in quanto il conto presentava un saldo attivo a favore della correntista. 2 11 decreto è stata impugnato da Italfondiario, nella qualità, con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui il Fallimento della Caumi s.n.c. ha resistito con controricorso. 2.1 Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2704 c.c., 115 c.p.c., 98 e 99 l. fall., lamenta che il contratto di conto corrente sia stato dichiarato inopponibile al Fallimento deduce, in primo luogo, l'inammissibilità dell'eccezione ex art. 2704 c.c., sollevata dal curatore solo all'atto della sua costituzione nel giudizio di opposizione, e sostiene che, in ogni caso, la certezza della data doveva ricavarsi dal fatto che la Banca Cattolica del Veneto si era fusa per incorporazione nel Nuovo Banco Ambrosiano con effetto dal l'. 1.90. li motivo appare inammissibile. Italfondiario difetta infatti di interesse a sentir accertare l'opponibilità al Fallimento dei contratto di conto corrente a suo tempo stipulato fra la s.n.c. Caumi e la Banca Cattolica del Veneto, stante la nullità, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo ivi compreso il giudizio di cassazione delle clausole di tale contratto che prevedevano la corresponsione di interessi superiori al tasso legale determinati secondo uso piazza e degli interessi sugli interessi. Le censure illustrate nel motivo andrebbero, in ogni caso, respinte. L'eccezione ex art. 2704 c.c. è infatti rilevabile dal giudice anche d'ufficio con la conseguenza che il curatore avrebbe potuto svolgerla anche oltre il termine, previsto a pena di decadenza dall'art. 99, 7° comma, I. fall., entro il quale l'ha in concreto avanzata lo stesso ricorrente ammette poi di aver depositato l'atto di fusione per incorporazione di Banca Cattolica in Nuovo Banco Ambrosiano solo in allegato alla comparsa conclusionale ne consegue, per un verso, che il tribunale ha del tutto correttamente omesso di valutare se il documento, che non poteva ritenersi ritualmente prodotto in causa, fosse idoneo a provare la data certa del contratto e, per l'altro, che la relativa questione, comportante un accertamento in fatto, non poteva essere dedotta per la prima volta nella presente sede di legittimità. 2.2 Coi secondo motivo Italfondiario, denunciando violazione degli artt. 2697, 2935 c.c. e 61,11 comma, del d.l. n. 2251010, contesta che il credito potesse essere rideterminato a partire dal saldo zero del primo estratto del conto da essa prodotto e sostituendo gli interessi contrattualmente previsti ed applicati con quelli ex art. 1171. a del TUB. Assume a riguardo che l'utilizzo del criterio del saldo zero è assolutamente arbitrario e casuale, atteso che non v'é alcuna spiegazione in base alla quale possa essere ritenuto opponibile al Fallimento soltanto l'estratto di un contratto dì conto corrente dichiarato invece inopponibile che il tribunale avrebbe inammissibilmente qualificato il documento quale confessione stragiudiziale che non v'era alcuna ragione di depurare il credito degli interessi anatocistici ove effettivamente applicati , in quanto la domanda di ripetizione di indebito avanzata in via riconvenzionale dal curatore era stata dichiarata inammissibile che, infine, il giudice avrebbe dovuto applicare l'art. 61, II comma rectius art. 2, comma 61 dei d.l. n. 2251010, aggiunto dalla legge di conversione n. 101011, a norma del quale la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. II motivo appare in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile. Va intanto rilevato che non può più discutersi dell'applicazione dell'art. 2, comma 61, della l.n. 101011, norma della quale il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale con la sentenza n. 7812012. Ciò premesso, va puntualizzato che la norma non più vigente nel nostro ordinamento è stata invocata dei tutto a sproposito dal ricorrente, in quanto, una volta dichiarata inammissibile la domanda di ripetizione di indebito avanzata in giudizio dal curatore in via riconvenzionale, non v'era alcuna ragione di verificare, nel merito, se la stessa fosse anche prescritta. Palesemente errato, invece, è l'assunto di Italfondiario secondo cui l'eventuale prescrizione del credito da ripetizione di indebito, e persino la declaratoria di inammissibilità della relativa domanda, renderebbero non più contestabile il credito derivante dallo scoperto del conto corrente. La prescrizione preclude infatti l'esercizio del diritto, ma non ne esclude l'esistenza, mentre la sentenza che respinge la domanda per ragioni di rito non impedisce la riproposizione dell'azione non si comprende allora perché in un giudizio quale quello di specie, in cui spetta al creditore di provare la sussistenza e l'effettivo ammontare della propria pretesa, l'una o l'altra pronuncia dovrebbero incidere sull'accertamento demandato al giudice e libererebbero l'atto reloppone nte dall'onere di cui è gravato ai sensi dell'art. 2697 C. C. Quanto, infine, all'assolvimento di tale onere, va in primo luogo rilevato che la mancanza di data certa del contratto impediva alla banca di conseguire verso la massa gli effetti negoziali propri delle clausole in esso contenute, ma non certo di provare in via documentale, anche attraverso la produzione degli estratti, che il contratto aveva avuto esecuzione fatto, questo, neppure contestato dal curatore e che, dopo il suo scioglimento, residuava un debito da scoperto a carico della società poi fallita. Il tribunale, lungi dall'attribuire natura confessoria agli estratti dei conto, li ha dunque correttamente valutati quali documenti contabili privi di intrinseco valore negoziale in relazione ai quali, pertanto, non si poneva alcun problema di data certa , ma indicativi delle movimentazioni intervenute sul conto nei periodi di rispettivo riferimento, Altrettanto correttamente, il giudice del merito ha poi ritenuto che, in difetto di produzione integrale di tutti gli estratti del conto, il credito della banca non potesse essere calcolato che sulla scorta dei soli estratti prodotti, in base all'ordine cronologico ed agli importi delle operazioni in essi elencate, ma partendo da un saldo zero e non già dal saldo passivo riportato dal primo estratto allegato, attesa la mancanza di ogni prova che detto saldo corrispondesse ad un credito effettivo maturato sino ad allora dall'opponente e non fosse, piuttosto, la risultante di illegittime maggiorazioni derivanti dall'addebito di interessi ultralegali e di interessi sugli interessi. Va aggiunto che, così decidendo, il giudice ha optato per l'ipotesi più favorevole alla banca, in quanto ben avrebbe potuto respingere la domanda ritenendo preclusa ogni possibilità di ricalcolo, stante l'impossibilità di verificare se, alla data del 1 .1.2000, il saldo effettivo del conto una volta detratte le illegittime maggiorazioni di cui si è detto per l'intera durata del rapporto non risultasse già a credito della correntista, Considerazione, quest'ultima, che assorbe l'ulteriore argomento di Italfondiario, secondo cui il criterio utilizzato sarebbe assolutamente arbitrario e casuale il ricorrente, che non può imputare che a se stesso la mancata produzione integrale degli estratti, non tiene conto, infatti, che l'unica alternativa possibile all'adozione di tale criterio sarebbe stata quella di respingere la domanda di ammissione senza neppure disporre la ctu. Si dovrebbe pertanto concludere per il rigetto del ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne condivide le conclusioni, non utilmente contraddette dalla ricorrente nella memoria depositata, nella quale si continua a non tener conto che l'oggetto del giudizio di opposizione è unicamente l'accertamento della effettiva sussistenza del credito insinuato. il fatto che la banca abbia ricevuto, nel corso degli anni, somme superiori a quelle effettivamente dovutele in forza del contratto di conto corrente azionato conduce, dunque, di per sé, al rigetto della domanda, essendo, per contro, del tutto irrilevante che risulti in ipotesi prescritto il contrapposto diritto dei correntista e per esso del fallimento ad ottenere la ripetizione di quanto versato senza esservi tenuto e che, in conseguenza, l'istituto di credito non possa essere condannato alla restituzione dei maggiori importi indebitamente percepiti. Per il resto, la memoria non contiene alcuna critica alla relazione, né nella parte in cui illustra le ragioni di inammissibilità dei primo motivo di censura, né nella parte in cui evidenzia come, in difetto della produzione degli estratti integrali del conto, il criterio del saldo zero adottato dal giudice del merito ai fini della determinazione dell'effettiva sussistenza del credito sia da ritenersi più favorevole alla banca cfr., sul punto, Cass. nn. 214661013, 18022111, 239741010 . 11 ricorso deve, in conclusione, essere respinto. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dei spese processuali, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori dì legge.