Sciolto il contratto, cade ogni vincolo tra le parti

In tema di risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare posizioni soggettive relative al contratto risolto giacché ogni pretesa o eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5529 del 10 marzo 2014. Il fatto. Una coppia sulla base di una scrittura privata denominata mandato unico di vendita”, autorizzava una società alla vendita di un immobile a terzi, la stessa corrispondeva agli attori solo parte del prezzo, venendo meno così, anche se parzialmente, agli obblighi contrattuali. Pertanto convenuta in giudizio, la società si opponeva al decreto ingiuntivo chiedendone la revoca, e inoltre chiedeva che venisse compensata con il suo credito dovuto al risarcimento danni, preteso con domanda riconvenzionale, per intervenuto recesso dal contratto preliminare. Il giudice adito accoglieva l’opposizione e per effetto revocava il decreto ingiuntivo, seguiva poi l’appello della coppia. La Corte appellata, accoglieva il gravame con conseguente riviviscenza del decreto stesso. La Corte di merito evidenziava che dal tenore letterale della scrittura de qua , denominata mandato unico di vendita, risultava conferito dagli appellanti un mandato alla vendita che implicitamente, ma necessariamente, presupponeva la risoluzione consensuale del contratto preliminare di compravendita intervenuto tra le parti, che era stata accettata dalla società sia perché la stessa lo aveva ammesso in corso di causa sia perché vi aveva dato esecuzione, sia pure parziale, per quanto riguardava l’obbligazione che scaturiva a suo carico. Conseguentemente ricorreva per cassazione la società. Se il vincolo negoziale non c’è più La Corte di Cassazione ritiene pacifico che nel caso di specie il contratto inter partes è stato oggetto di risoluzione per mutuo consenso, anteriormente al giudizio. Pertanto, a parere dei giudici, è evidente che deve trovare applicazione il principio ormai incontrastato in giurisprudenza, secondo cui in tema di risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la realizzazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare posizioni soggettive relative al contratto risolto giacché ogni pretesa od eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto. vengono meno le obbligazioni ad esso connesse. In altri termini, lo scioglimento del contratto a seguito di esercizio legittimo della relativa facoltà dei contraenti, produce la caducazione delle obbligazioni scaturenti da contratto risolto relative alla prosecuzione del rapporto, anche se nessun effetto liberatorio esplica in ordine ad eventuali aspetti di responsabilità per un corretto adempimento relativo a prestazioni già eseguite. A questa stregua, nel caso specifico, l’obbligo a vendere l’immobile oggetto del preliminare che si postula a carico della ricorrente, stante l’esercizio della facoltà di sciogliere il contratto esercitata dai contraenti con scrittura privata, non poteva sorgere, non avendo le parti alcun diritto a disporre del bene medesimo, caducato ogni legame con l’esercitato recesso dal preliminare. Concludendo, la Corte, ammette che i giudici di merito non hanno fatto buon governo dei principi in relazione a quanto detto, pertanto il ricorso deve essere accolto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 novembre 2013 - 10 marzo 2014, n. 5529 Presidente Goldoni - Relatore Falaschi Svolgimento del processo In data 16 luglio 1993 G.L. e L.P. ottenevano dal Presidente del Tribunale di Varese decreto ingiuntivo nei confronti della EDILSICILIA s.n.c. per complessive £. 38.000.500, oltre interessi, sulla base di scrittura privata del 29.7.1992, denominata mandato unico di vendita con il quale, avendo raggiunto con la società ingiunta accordo risolutivo del preliminare di vendita del 25.2.1991, relativo ad immobile sito in Daverio, avevano autorizzato la società alla vendita del bene a terzi per il prezzo di £. 100.000.000, con versamento a loro di £. 88.500.000, di cui però solo £. 50.000.000 erano state corrisposte. Con atto di citazione notificato il 24 settembre 1993 l'ingiunta società proponeva opposizione avverso il d.i. eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione e l'incompetenza territoriale del Tribunale adito, nel merito, contestando di dovere la maggiore somma, per cui chiedeva la revoca dell'ingiunzione e comunque chiedeva venisse compensata con il suo credito dovuto al risarcimento dei danni, preteso con domanda riconvenzionale, per intervenuto recesso dal contratto preliminare. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza degli opposti, il giudice adito, concessa la provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio, espletata prova testimoniale, accoglieva l'opposizione e per l'effetto revocava il d.i., con rigetto della riconvenzionale. In virtù di rituale appello interposto dai L.P., con il quale lamentavano che il giudice di prime cure non avesse ritenuto provato che la scrittura di mutua risoluzione del preliminare fosse frutto di concorde volontà delle parti, la Corte di appello di Milano, nella resistenza della società appellata divenuta nelle more ditta individuale , accoglieva il gravame, con conseguente rigetto dell'opposizione e riviviscenza del d.i., rigettata l'eccezione di incompetenza territoriale, riproposta dalla appellata. A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale premetteva che la sottoscrizione apposta dal geom. G.T. sulla scrittura in contestazione non comportava alcuna obbligazione a carico della EDILSICILIA, essendo pacifico anche agli appellanti che lo stesso era un mero dipendente della società, né a carico del T., che con detta sottoscrizione si era limitato a ricevere l'atto, in assenza del legale rappresentante della società. Tanto precisato, la corte di merito evidenziava che dal tenore letterale della scrittura de qua, denominata mandato unico di vendita, risultava conferito dagli appellanti un mandato alla vendita che implicitamente, ma necessariamente, presupponeva la risoluzione consensuale del contratto preliminare di compravendita intervenuto fra le parti, che era stata accettata dalla EDILSICILIA sia perché la stessa lo aveva ammesso in corso di causa v. pagg. 2 e 3 atto di citazione in opposizione sia perché vi aveva dato esecuzione, sia pure parziale, per quanto riguardava l'obbligazione economica che a suo carico scaturiva. Aggiungeva che andava riconosciuto valore confessorio all'affermazione contenuta nell'atto di citazione del 15.9.1993 laddove con l'espressione 'la parte mandataria', che pure costituiva un refuso essendo incontestato che si trattasse della parte mandante, era previsto che la Edilsicilia dovesse rimborsare alla parte mandataria £. 88.500.000, accordo che era stato ratificato dalla società con i successivi versamenti effettuati in favore di L. e P. di £. 50.000.000 nel periodo 29.10.1992/26.1.1993, per cui la società andava riconosciuta debitrice della residua somma richiesta in sede monitoria. Del resto nell'atto introduttivo la Edilsicilia non aveva negato la sua esposizione, ma aveva sostenuto che ad ella spettasse un risarcimento, indicato in £. 20.000.000, per recesso unilaterale dal contratto preliminare da parte dei promissari acquirenti, per cui aveva formulato domanda riconvenzionale, non riproposta in appello. Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso EDILSICILIA s.n.c. ora Impresa Individuale S.A. , affidato a quattro motivi, al quale hanno resistito i L.P. con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1703, 1710, 1351, 1418, 1422 e 1346 c.c. per avere erroneamente la corte di merito qualificato come mandato a vendere la scrittura privata del 29.7.1992, in primo luogo per non essere i resistenti proprietari dell'appartamento sito nello stabile di via Fiume in Daverio avendo stipulato solo un preliminare di vendita in data 25.3.1991 in secondo luogo, imprecisa la dizione mandato unico di vendita, in quanto il mandato sarebbe stato conferito dal non proprietario al proprietario, per essere il mandato nullo ex art. 1418 c.c. per contrarietà a norme imperative e/o in relazione all'art. 1346 c.c. per impossibilità, illiceità e indeterminatezza del suo oggetto. A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto è possibile nonché giuridicamente e validamente configurabile un mandato a vendere conferito al proprietario di un bene immobile da parte di un promissario acquirente di tale immobile che abbia già rinunziato agli effetti meramente obbligatori scaturenti dal precedente preliminare di vendita?. Con il secondo motivo viene dedotta omessa e/o insufficiente motivazione su fatto decisivo dal momento che il presunto, anomalo contratto di mandato non sarebbe mai stato eseguito e ciò nonostante si pretenderebbe una somma ipotizzando una responsabilità della mandataria ex art. 1710 c.c, ritenendosi colposa la mancata vendita per £. 100.000.000 di un appartamento che l'anno prima era stato valutato dalle medesime parti £. 70.500.000. Ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. viene evidenziato come il fatto controverso sia la presunta responsabilità della Edilsicilia che presuppone una qualche colpa e come manchi al riguardo una sufficiente motivazione, idonea cioè a giustificare la decisione assunta al riguardo dalla corte milanese. Con il terzo motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1703, 1399 e 2730 c.c., oltre ad insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, per non essere stato il mandato sottoscritto da alcun legale rappresentante della Edilsicilia, per cui non si sarebbe realizzata la fattispecie di cui all'art. 1703 c.c., che presuppone il concorso di volontà dei due contraenti, non essendo pacificamente parte il T., come ammesso dallo stesso giudice del gravame, e l'uso della forma scritta, in considerazione dell'oggetto considerato. E', altresì, erroneo parlare di ratifica da parte di Edilsicilia, come fanno i giudici milanesi, e ciò per vari motivi in primo luogo, perché non ricorre la figura del falsus procurator, tale non essendo il T. in secondo luogo, perché anche l'eventuale ratifica avrebbe dovuto avvenire ex art. 1399, comma 1, c.c. con l'osservanza delle forme prescritte per la conclusione del contratto. Prosegue parte ricorrente che sotto il profilo motivazionale sarebbe evidente l'arbitrarietà ed illogicità dell'asserzione secondo cui la prova della conclusione del mandato sarebbe costituita anche dai versamenti effettuati in favore dei resistenti per £. 50.000.000. A corollario del motivo vengono posti i seguenti quesiti di diritto può ritenersi integrata la figura contrattuale del mandato a vendere un immobile laddove non ci sia un documento sottoscritto sia dal mandante che dal mandatario? Può ammettersi una ratifica ex art. 1399 c.c. laddove viene nel contempo escluso che ricorra un atto compiuto per conto di un soggetto rappresentato da un soggetto che non si qualifica come rappresentante? Può ammettersi ex art. 1399, 10 comma una ratifica per facta concludentia di un contratto che per la sua validità richiede ad substantiam la forma scritta? A conclusione della denuncia di vizio motivazionale ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. viene evidenziato come al riguardo la motivazione sia insufficiente o addirittura omessa in quanto non vengono esposte le ragioni in forza delle quali i predetti versamenti siano da imputarsi ad una supposta esecuzione del mandato come detto, non giuridicamente configurabile per vari e concorrenti motivi piuttosto che agli effetti restitutori scaturenti dalla pacifica riconosciuta dalla Corte d'Appello risoluzione consensuale del preliminare del 25.3.1991. Con il quarto motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione dell'art. 2730 c.c., nonché omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto ad avviso dei giudici milanesi il mandato per cui è causa sarebbe stato oggetto di confessione da parte della Edilsicilia che aveva sottoscritto la procura apposta all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo del 15.9.1993, senza tenere conto né della forma solenne necessaria per il mandato a vendere immobili, oltre a non essere specificamente conosciuto dall'opponente il contenuto dell'atto di opposizione. Come vizio motivazionale è dedotto il mancato esame da parte dei giudice del gravame di numerosi altri elementi di giudizio di segno contrario, elencati con le lettere a, b, c, d, e, f. Al riguardo parte ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto è ammissibile una confessione riguardante un atto che esige la forma scritta ad substantiam quale un mandato a vendere immobili ? Possono ravvisarsi dichiarazioni confessorie in senso stretto della parte in un atto difensivo sottoscritto dal legale, nel quale la firma della parte compare solo in calce alla procura rilasciata a favore dell'avvocato? I quattro motivi del ricorso - concernenti la qualificazione della scrittura privata del 29.7.1992, in ordine alla esistenza o meno di un mandato a vendere - esprimono censure strettamente connesse e, pertanto, ne è opportuno l'esame congiunto. Orbene, essi sono fondati soltanto nel senso e nei limiti delle considerazioni che seguono. È senz'altro pacifico in causa, per stessa ammissione dell'odierna ricorrente, che il contratto inter partes è stato oggetto di risoluzione per mutuo consenso, anteriormente al giudizio. È evidente, pertanto, che deve trovare applicazione il principio di diritto - assolutamente incontrastato presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte di legittimità - secondo cui in tema di risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare posizioni soggettive relative al contratto risolto giacché ogni pretesa od eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto in tema di risoluzione, cfr Cass. 30 agosto 2005 n. 17503 . In altri termini, lo scioglimento del contratto a seguito dell'esercizio legittimo della relativa facoltà dei contraenti produce la caducazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto risolto relative alla prosecuzione del rapporto, anche se nessun effetto liberatorio esplica in ordine ad eventuali aspetti di responsabilità per un corretto adempimento relativo a prestazioni già eseguite Cass. 6 agosto 1997 n. 7270 . In altri termini, lo scioglimento del contratto elimina tutti quei diritti e quegli obblighi cui le parti erano tenuti prima dell'esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto e che nella permanenza del vincolo negoziale non hanno avuto esecuzione essi difatti sono correlati comunque alla realizzazione del risultato finale del contratto, per cui non rivestono una loro autonomia, che li fa incidere ex se su specifici interessi dei contraenti diversi da quello cui tende lo scopo finale del contratto. A questa stregua, nella specie, il preteso obbligo a vendere l'immobile oggetto del preliminare che si postula a carico della EDILSICILIA, stante l'esercizio della facoltà di sciogliere il contratto esercitata dai contraenti con la scrittura privata del 29.7.1992 qualificato quale mandato a vendere , non poteva sorgere, non avendo i ricorrenti alcun diritto a disporre del bene medesimo, caducato ogni legame con l'esercitato recesso dal preliminare. Dunque la Corte del merito non ha fatto buon governo dei principi in relazione a quanto detto, per cui sussistono sia gli estremi del vizio di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c. sia quelli del vizio di cui al n. 5 dello stesso articolo. Nel senso sopra esposto riceve cassazione la denunziata sentenza ed il giudice del rinvio, che viene indicato in altre sezione della stessa Corte di Milano, dovrà valutare, alla luce dei principi enunciati, le rispettive posizioni di dare ed avere delle parti conseguenti allo scioglimento del vincolo negoziale. Allo stesso giudice viene riservata la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.