Lo ‘scoperto’ del figlio è monstre. Ecco il decreto ingiuntivo: Banca non responsabile

Proteste serrate di una donna, che si è ritrovata destinataria di un decreto ingiuntivo, da parte di un istituto di credito, a seguito della fideiussione da lei affrontata per garantire la posizione debitoria del figlio. Ma l’ipotesi che i funzionari le abbiano ‘nascosto’ i termini reali della situazione economica del figlio non regge.

Pessima ‘sorpresa’ per la madre che ha garantito, con una fideiussione ad hoc , il debito del figlio verso la Banca il ‘buco’ è davvero spropositato Ma tale situazione non è addebitabile a una – presunta – strategia ‘oscura’ della Banca, piuttosto alla scarsa attenzione prestata dalla donna alle condizioni economiche del figlio. Cass., sent. n. 3679, Prima Sezione Civile, depositata oggi Fideiussione. A scatenare la bagarre è il decreto ingiuntivo emesso ai danni di una donna – e a favore di una Banca – sulla base della fideiussione che ella si è caricata sulle spalle per ‘garantire’ i debiti del figlio, imprenditore in difficoltà. Secondo la donna, però, quella fideiussione le è stata carpita con dolo, da funzionari della Banca, i quali le avevano taciuto che il conto del figlio, debitore garantito, era già ‘scoperto’ per la somma di 200 milioni di lire al momento del rilascio della fideiussione . Conseguenziale è la opposizione avverso il decreto ingiuntivo , e, allo stesso tempo, la donna presenta domanda per l’ annullamento del contratto di fideiussione, per dolo , accompagnandola anche con una richiesta di risarcimento dei danni . Ma i giudici di primo e di secondo grado ritengono non plausibile la ricostruzione della vicenda, così come tracciata dalla donna, e confermano la legittimità del decreto ingiuntivo . Dolo. Questione chiusa? Assolutamente no! Difatti, la donna, proponendo ricorso in Cassazione, ribadisce le contestazioni – proposte, per la verità, anche in un procedimento penale – nei confronti dei funzionari della banca , i quali, sostiene, le hanno taciuto la situazione debitoria del figlio . Ma l’ipotesi del dolo , da parte della Banca, nella realizzazione della fideiussione, è troppo fragile. A dirlo, in maniera definitiva, anche i giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, evidenziano che proprio la donna ha ammesso che i funzionari le avevano detto che il figlio ‘era un po’ sotto’ con la Banca . Assolutamente impensabile, quindi, che l’istituto di credito abbia ‘strappato’ con l’inganno, alla donna, la fideiussione sul debito del figlio .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 gennaio – 17 febbraio 2014, n. 3679 Presidente – Relatore Svolgimento del processo 1. - Con la sentenza impugnata depositata il 5.7.2006 la Corte di appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stata respinta l'opposizione proposta da G.L. avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti e in favore della Banca di Credito Cooperativo di Alba, Langhe e Loero già Banca di Credito Cooperativo del Savonese-Albenga sulla base di una fideiussione che l'opponente sosteneva esserle stata carpita con dolo da funzionari della banca da lei querelati e sottoposti a procedimento penale per truffa, ancora pendente , i quali le avevano taciuto che il conto corrente del debitore garantito figlio della medesima opponente era già scoperto per la somma di lire 200.000.000 al momento del rilascio della fideiussione. La Corte territoriale ha disatteso la richiesta dell'appellante di sospensione del processo civile sino all'esito di quello penale iniziato nei confronti dei funzionari della banca perché mancava la prova dell'avvenuta costituzione di parte civile nel processo penale da parte della querelante. Nel merito ha confermato il giudizio di infondatezza del primo giudice della domanda di annullamento del contratto di fideiussione per dolo evidenziando che l'assunto dell'opponente era poco credibile nella parte in cui sosteneva che le era stata taciuta la situazione debitoria del proprio figlio, assunto contraddetto dall'affermazione contenuta nella citazione secondo la quale le sarebbe stato detto che si trattava di una formalità, però, necessaria, tenuto conto che la signora è proprietaria dell'immobile dove abita sita del valore di circa lire 400.000.000 . Non era credibile, poi, l'assunto dell'appellante di essere ignara dell'attività lavorativa del figlio mobilificio , in ciò smentita dal figlio medesimo, che era stato escusso come teste. 1.1. - Contro la sentenza di appello G.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso la banca intimata la quale ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per mancata indicazione e produzione dei documenti ex art. 366 C.P.C. Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 2.1. - Con il primo motivo la ricorrente denuncia l'erronea omissione della sospensione necessaria. Il motivo è inammissibile. Invero, la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto, ma anche attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento alcuna ragion d'essere, e traducendosi anzi in un inutile intralcio all'esercizio della giurisdizione pertanto, ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l'onere di dimostrare che quest'altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto. In difetto, manca la prova dell'interesse concreto ed attuale che deve sorreggere il ricorso, non potendo né la Corte di Cassazione né un eventuale giudice di rinvio disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di un'altra causa che non risulti più effettivamente in corso Sez. 1, n. 16992/2007 Sez. L, n. 18026/2012 . Nella concreta fattispecie la ricorrente non ha neppure indicato ex art. 366 c.p.c. il deposito dell'eventuale documentazione attestante l'attuale pendenza del giudizio penale. 2.2. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione sulle domande di annullamento della fideiussione e risarcimento dei danni. Il motivo - là dove non è inammissibile perché veicola censure in fatto non deducibili in sede di legittimità - è infondato alla luce delle stesse dichiarazioni rese in sede penale dalla ricorrente e trascritte in ricorso nella parte relativa al primo motivo. In esse si ammette che i funzionari le avevano detto che il figlio - della cui attività lavorativa la Guerra riconosce di essere al corrente perché vivevano insieme - era un po' sotto con la banca. Sul punto la sentenza impugnata è congruamente e logicamente motivata. Il ricorso, dunque, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, nella misura determinata in dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 7.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.