Si rifiuta di stipulare il definitivo in mancanza della misurazione reale del bene: il comportamento è legittimo

Poiché il contratto preliminare è regolato non solo dalle sue clausole, ma anche dalle norme integrative della disciplina del contratto, tra le quali quella dell’art. 1538 c.c., è legittimo il rifiuto della stipulazione del contratto definitivo da parte del promittente compratore che pretenda la riduzione del prezzo opponendo, con fondamento o, comunque, senza colpa, che la misura reale del bene è inferiore ad un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto.

Il caso. Due soggetti sottoscrivevano un contratto preliminare con il quale gli stessi si impegnavano a stipulare successivamente un atto di compravendita avente ad oggetto un fabbricato di grandi dimensioni. Il Tribunale di Livorno, interpellato da entrambe le parti i giudizi difatti, erano stati riuniti , dichiarava risolto per inadempimento imputabile alla promissaria acquirente il preliminare stipulato, sostenendo che non era fondata la pretesa di quest’ultima di ottenere la corrispondente riduzione del prezzo ex art. 1538 c.c., essendo risultato che l’immobile aveva una superficie non inferiore ad un quinto rispetto a quella indicata nel contratto. Il giudice di prime cure precisava inoltre che non era addebitabile al promittente venditore il rifiuto di partecipare alla misurazione del fabbricato, in quanto lo stesso non vi era obbligato né per legge, né dal contratto. Ad essere inadempiente era invece la controparte che, in relazione alla domanda ex art. 2932 c.c., aveva offerto in giudizio il saldo del prezzo di vendita non comprensivo degli interessi. La Corte d’appello,adita da parte soccombente, ribaltava la pronuncia di primo grado, la quale disponeva il trasferimento della proprietà dell’immobile in favore dell’appellante subordinatamente al versamento del residuo prezzo. In particolare, i giudici territoriali osservavano che il rifiuto del promittente venditore di consentire alla promissaria acquirente la misurazione dell’immobile prima della stipulazione del contratto definitivo, era ingiustificato, costituendo inadempimento dell’obbligo di buona fede. Parte soccombente proponeva ricorso per cassazione e nel resistere, il promissario acquirente proponeva ricorso incidentale. Il promittente venditore è tenuto a partecipare alla misurazione del bene immobile? In primo luogo il promittente venditore adduce che ai sensi dell’art. 1537 c.c., il diritto del promissario acquirente di accedere al fondo per controllare le misure e i dati riportati nel preliminare, non imponeva necessariamente che a tale operazione partecipasse anche il promittente venditore stesso e, pertanto, non poteva ravvisarsi nel suo comportamento la violazione dei canoni di buona fede e correttezza. Ad ogni modo si sottoponeva alla Suprema Corte il quesito se, nella fattispecie de quo , il rifiuto del promittente venditore di partecipare alla nuova misurazione del bene configuri una violazione dei principi di cui all’art. 1375 c.c La verifica della consistenza del bene va effettuata con valutazione ex ante. A dire dei giudici di legittimità il diritto di verificare la consistenza dell’immobile promesso, esiste o non esiste alla stregua della nozione generale di buona fede, che va sì applicata al caso concreto, ma con valutazione da compiere ex ante , sulla base della situazione prospettata e prospettabile prima del giudizio. Da ciò ne discende che la successiva verifica giudiziale per cui la differenza tra la superficie riportata in contratto e quella effettiva del bene non supera il limite di tolleranza previsto, per la vendita a corpo dall’art. 1538 c.c., non è di per sé un argomento per negare l’esistenza a monte dell’obbligo di protezione e del diritto che vi è correlato. Poiché il contratto preliminare è regolato non solo dalle sue clausole, ma anche dalle norme integrative della disciplina del contratto, tra le quali quella dell’art. 1538 c.c., è legittimo il rifiuto della stipulazione del contratto definitivo da parte del promittente compratore che pretenda la riduzione del prezzo opponendo, con fondamento o, comunque, senza colpa, che la misura reale del bene è inferiore ad un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto. Ad ogni modo, l’accertamento di tale colpa del promissario acquirente è rimesso al giudice di merito, la cui decisione non è sindacabile in sede di legittimità, ovviamente se sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici. Il rifiuto del promittente venditore è illegittimo. Nella fattispecie è da condividere, secondo la Suprema Corte, quanto sostenuto dai giudici territoriali ovvero che, il rifiuto operato dal promittente riguardante la misurazione del bene prima della stipula del definitivo era da considerarsi ingiustificato, posto che la misurazione da un lato corrispondeva ad un rilevante interesse della promissaria acquirente e, dall’altro, non pregiudicava in alcun modo la situazione e i diritti del promittente venditore. Sulla scorta delle suddette argomentazioni, la Corte di Cassazione respinge il ricorso proposto compensando le spese di giustizia.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 maggio – 5 settembre 2013, n. 20393 Presidente Oddo – Relatore Manna Svolgimento del processo Provvedendo su due giudizi riuniti, l'uno instaurato da R.O. e proseguito dagli eredi di lui, R.S. e L. , l'altro introdotto da Ra.Gi. , il Tribunale di Livorno dichiarava risolto per inadempimento di quest'ultima il contratto preliminare con il quale R.O. aveva promesso di vendere a Ra.Gi. un fabbricato, sito in , della superficie di 2.990 mq. per il prezzo di 1.725.000.000 del vecchio conio. Riteneva, in particolare, il giudice di primo grado che, trattandosi di vendita a corpo e non a misura, ed essendo risultato che l'immobile aveva una superficie non inferiore di un quinto rispetto a quella indicata nel contratto, non era fondata la pretesa della promissaria acquirente di ottenere la corrispondente riduzione del prezzo ex art. 1538 c.c. che non era addebitarle al promittente venditore il rifiuto di partecipare alla misurazione del fabbricato, non essendovi obbligato né per legge, né per contratto che era, invece, inadempiente la Ra. , la quale, in relazione alla domanda ex art. 2932 c.c., aveva offerto in giudizio il saldo prezzo di vendita non comprensivo, però, degli interessi, che al momento ammontavano ad oltre il 50% della sorte capitale. Da qui l'importanza dell'inadempimento della promissaria acquirente e la risoluzione del contratto. Tale pronuncia, impugnata da Ra.Gi. , era ribaltata dalla Corte d'appello di Firenze con sentenza n. 1867 del 30.11.2006, resa nella contumacia di R.S. . Respinta sia la domanda di risoluzione per inadempimento della promissaria acquirente, sia la domanda di riduzione del prezzo ai sensi dell'art. 1538 c.c., la Corte distrettuale disponeva il trasferimento della proprietà dell'immobile in favore dell'appellante, subordinatamente al versamento del residuo prezzo. In particolare, la Corte fiorentina riteneva infondata l'eccezione, formulata da R.L. , d'inammissibilità dell'appello per inesistenza della notificazione. Osservava al riguardo che la citazione in appello era stata notificata a R.L. due volte la prima presso l'avvocatessa Palamidessi, nella cancelleria del Tribunale di Livorno, la seconda presso lo studio del difensore domiciliatario avv. Silvio Monti. Osservava, quindi, che la prima notificazione era da qualificarsi inesistente, in quanto l'avvocatessa Palamidessi non era mai stata procuratrice di R.S. e L. , ma solo loro domiciliataria difensore con procura essendo l'avv. Bonistalli e al momento della notificazione non era più iscritta all'albo degli avvocati per di più, ella aveva studio professionale in Livorno, sicché non era comprensibile la ragione della notifica dell'appello nella cancelleria del Tribunale. Quanto alla seconda notificazione, la Corte d'appello rilevava che sebbene l'avv. Silvio Monti avesse rinunciato al mandato e fosse stato sostituito da altro difensore nel processo di primo grado, tale notificazione doveva ritenersi nulla e non già inesistente, e pertanto sanata dalla costituzione in giudizio di R.L. quanto a R.S. , invece, la Corte toscana disponeva la rinnovazione della notifica, poi regolarmente eseguita . Nel merito, i giudici d'appello, ritenuto condivisibile il criterio utilizzato dal Tribunale per misurare la superficie dell'immobile promesso in vendita, criterio che aveva tenuto conto anche della quota delle parti comuni, osservavano che il rifiuto del promittente venditore di consentire alla promissaria acquirente la misurazione dell'immobile prima della stipulazione del contratto definitivo era ingiustificato, costituiva inadempimento di un obbligo di buona fede e, pertanto, il rifiuto della Ra. di stipulare il definitivo di vendita fin tanto che non avesse ottenuto le misure del fondo non poteva qualificarsi come inadempimento. Di conseguenza, doveva essere emessa la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., subordinando l'effetto traslativo della proprietà del bene al pagamento del saldo prezzo entro due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. Per la cassazione di tale sentenza ricorre R.L. - che si dichiara unica erede di R.S. v. pag. 10 del ricorso -, formulando tre motivi d'annullamento. Resiste con controricorso Ra.Gi. , che propone altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi. La ricorrente ha proposto, a sua volta, controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Col primo motivo dell'impugnazione principale è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 327 e 330 c.p.c Sostiene parte ricorrente che la notifica dell'atto d'appello, effettuata presso il procuratore della parte attrice che nove anni prima, durante il processo di primo grado, aveva rinunciato al mandato ed era stato sostituito da altro difensore, debba essere considerata non nulla, ma inesistente e come tale insuscettibile di sanatoria per effetto della costituzione della parte appellata. Ed in tal senso formula il quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c. applicabile ratione temporis alla fattispecie . 1.1. - Il motivo è infondato per due concomitanti ragioni, in relazione alle quali la motivazione della sentenza impugnata va però corretta, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma c.p.c 1.1.1. - La prima risiede in ciò, che la notificazione dell'atto di appello eseguita presso l'avvocato domiciliatario il quale, successivamente alla data di deliberazione della sentenza di primo grado, sia stato cancellato dall'albo per effetto dell'irrogazione di sanzione disciplinare, con conseguente perdita dello ius postulandi del difensore ed inefficacia dell'elezione di domicilio, benché viziata, perché operata al di fuori delle previsioni dell'art. 330, primo e terzo comma, c.p.c, è nulla, e non inesistente, essendo avvenuta mediante consegna in un luogo ed a persona in qualche modo collegabili al destinatario Cass. nn. 12478/13, 58/10, 9528/09 e 27450/05 . Nella specie la prima delle due notifiche della citazione in appello è stata indirizzata presso la cancelleria del Tribunale di Livorno all'avvocatessa Palamidessi, la quale, si apprende dalla sentenza impugnata, era domiciliataria ma non difensore di R.S. e L. e al momento della notificazione era cancellata dall'albo. Il modello legale di notificazione risulta dunque vulnerato sotto il profilo topografico sempre dalla sentenza d'appello si ricava che la predetta avvocatessa aveva studio in Livorno, per cui non era applicabile l'art. 82, 2 comma R.D. n. 37/34 e sotto quello personale ma solo sotto il profilo della notifica ad un avvocato domiciliatario cancellato dall'albo, essendo diversamente privo di rilievo il fatto che questi non fosse anche difensore ma tanto l'una che l'altra causa d'invalidità non recidono, in base al superiore principio di diritto richiamato, il collegamento con la parte destinataria della notificazione, di guisa che la notificazione doveva ritenersi nulla e non già inesistente. 1.1.2. - La giurisprudenza di questa Corte - e si passa ad esaminare la seconda ragione d'infondatezza del motivo - è nel senso che la notifica dell'impugnazione, eseguita presso il procuratore cui sia stato revocato il mandato e sostituito da altro procuratore, deve considerarsi inesistente - e come tale insuscettibile di sanatoria, con conseguente inammissibilità dell'impugnazione - una volta che nel giudizio la controparte abbia avuto conoscenza legale di tale sostituzione in tal caso, infatti, la notifica effettuata al precedente difensore si compie presso persona ed in luogo non aventi alcun riferimento con il destinatario dell'atto, giacché, una volta intervenuta la sostituzione del difensore revocato, si interrompe ogni rapporto tra la parte ed il procuratore cessato, e questi non è più gravato da alcun obbligo, non operando la proroga che si accompagna alla semplice revoca del mandato senza la nomina di nuovo difensore Cass. nn. 13477/12, 3338/09 e 3016/81 . Nella fattispecie l'avv. Silvio Monti, sebbene avesse rinunciato al mandato, continuava, tuttavia, a figurare nell'epigrafe della sentenza di primo grado come domiciliatario della parte attrice, e dalla sentenza d'appello risulta che sia stato sostituito quale difensore, ma non anche come domiciliatario, funzione, quest'ultima, astrattamente compatibile con la domiciliazione ex lege della parte presso il nuovo difensore art. 170 c.p.c. , potendo quest'ultimo domiciliarsi a sua volta presso un altro avvocato. Apparente la permanenza della funzione di domiciliatario, anche la notificazione presso l'avv. Monti deve ritenersi per di più in ipotesi nulla e non già inesistente. 2. - Col secondo motivo d'impugnazione parte ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine alla corretta indicazione della misura del bene immobile e alla richiesta di verificarla nel contraddittorio delle parti. Si sostiene che l'infondatezza della richiesta di riduzione del prezzo, acclarata sulla base di quanto emerso dalla relazione del c.t.u., rende contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata, lì dove in essa si considera non conforme a buona fede contrattuale il rifiuto di R.O. di acconsentire ad una richiesta di misurazione essa si contraria a correttezza e del tutto infondata. 3. - Col terzo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1375 c.c Sostiene parte ricorrente che era contraria a buona fede la condotta di Ra.Gi. , che per la sua professione di architetto era in grado di avere piena contezza delle obbligazioni assunte e di promuovere, sulla base di eventuali imprecisioni, un contenzioso in grado di deprezzare il bene oggetto della promessa di vendita tutto ciò al contrario del sig. R. , persona anziana e non sospettabile di intenti arbitrari o dilatori. In ogni caso, come si desume dall'omologa disposizione dell'art. 1537 c.c., il diritto del promissario acquirente di accedere al fondo per controllare le misure e i dati riportati nel preliminare non imponeva necessariamente che a tale operazione partecipasse anche il promittente venditore. Formula quindi il seguente quesito dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se il parametro di cui all'art. 1375 c.c. debba essere valutato alla luce del principio generale dell' homo eiusdem condicionis ac professionis e, in ogni caso, se nella fattispecie di cui all'art. 1538 c.c. il rifiuto del promittente venditore di partecipare alla nuova misurazione del bene configuri una violazione dei principi di cui all'art. 1375 c.c. . 4. - Entrambi i suddetti motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, non hanno pregio. 4.1. - Tra l’una e l'altra proposizione l'esistenza del diritto della parte promissaria acquirente di verificare la misura dell'immobile e l'accertato non superamento del limite di tolleranza di cui all'art. 1538 c.c. non intercorre alcuna contraddizione di logica giuridica. Al contrario, è illogico il ragionamento sotteso al motivo d'impugnazione. La buona fede contrattuale costituisce un criterio integrativo del contenuto negoziale che è fonte di obbligazioni autonome aventi ad oggetto condotte d'informazione, di solidarietà o di protezione , il cui inadempimento come può generare responsabilità per danni, così può legittimare l'eccezione dilatoria dell'altra parte del rapporto ai sensi dell'art. 1460 c.c In particolare, il diritto di verificare la consistenza dell'immobile promesso esiste o non esiste a stregua della nozione generale di buona fede, che va sì applicata al caso concreto, ma con valutazione da compiere ex ante , sulla base della situazione prospettata e prospettabile prima del giudizio. Ne consegue che la successiva verifica giudiziale per cui la differenza tra la superficie riportata in contratto e quella effettiva del bene non supera il limite di tolleranza previsto, per la vendita a corpo, dall'art. 1538 c.c., non è di per sé un argomento per negare l'esistenza a monte dell'obbligo di protezione e del diritto che vi è correlato. 4.2. - Questa Corte ha già avuto modo di affermare che poiché il contratto preliminare è regolato non solo dalle sue clausole, quale quella sull'ammontare del prezzo dovuto, ma anche dalle norme integrative della disciplina del contratto, tra le quali quella dell'art. 1538 c.c. a norma del quale, se il prezzo è determinato in relazione al corpo dell'immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o supplemento del prezzo salvo che la misura reale sia inferiore o superiore al ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto , è legittimo il rifiuto alla stipulazione del contratto definitivo Tale principio di diritto, cui va data continuità in assenza di controargomentazioni consapevoli e adeguatamente mirate da parte ricorrente, va completato nel senso che l'accertamento di tale colpa del promissario acquirente è rimesso al giudice di merito, la cui decisione non è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici. Nella specie, la Corte fiorentina ha accertato, accogliendo il relativo motivo di gravame e con motivazione in sé logica e coerente, che il promittente venditore ebbe a rifiutare alla promissaria acquirente la misurazione del bene prima della stipula del definitivo di vendita, e che tale rifiuto era ingiustificato posto che la misurazione da un lato corrispondeva ad un rilevante interesse della promissaria acquirente, e dall'altro non pregiudicava in alcun modo la situazione e i diritti del promittente venditore v. pagg. 29-30 sentenza impugnata . La Corte territoriale, dunque, ha rilevato una situazione diversa da quella che vorrebbe parte ricorrente la quale lascia intendere che il R. non si sarebbe opposto a tale verifica, limitandosi a lasciarla alla libera iniziativa della Ra. . Tale accertamento, non contrastato da un'apposita ed autonoma censura proposta ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e diversa da quella sopra esaminata, non può essere rimesso in discussione in questa sede, sicché le critiche alla sentenza impugnata restano prive di fondamento. 5. - Con l'unico motivo di ricorso incidentale Ra.Gi. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1340,1362,1363 e 1374 c.c Sostiene parte controricorrente che la Corte territoriale da un lato ha correttamente interpretato il contratto preliminare nel senso che la misurazione dell'immobile ivi riportata si riferiva alle sole parti di proprietà esclusiva, ma dall'altro ha erroneamente ritenuto di integrarne il contenuto, sul presupposto che il trasferimento di una porzione di immobile di proprietà esclusiva determina per legge anche il trasferimento della relativa quota di proprietà comune e che quest'ultima sarebbe da includere nell'ambito di quanto negoziato, anche in considerazione di quanto ritenuto dal c.t.u., secondo il quale sarebbe consuetudine considerare anche le parti comuni dell'edificio. Formula al riguardo il seguente quesito dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se, in relazione ad una vicenda del rapporto contrattuale regolata dalle parti, ai sensi degli artt. 1340, 1362, 1363 e 1374 c.c, sussista il potere del giudice di ritenere irrilevante la volontà espressa dai contraenti interpretando e integrando il contratto facendo esclusivamente riferimento a consuetudini locali . 6. - Il motivo è infondato, perché non coglie esattamente il senso della decisione impugnata. La Corte territoriale ha ritenuto irrilevante non la volontà comune dei contraenti, ma il fatto che nel contratto essa prenda in considerazione solo la proprietà esclusiva se, infatti, il trasferimento di una porzione d'immobile in proprietà esclusiva determina, per legge, anche il trasferimento della relativa quota di proprietà comune non v'è ragione di escludere tale quota dall'ambito dell'oggetto del contratto stesso v. pag. 29 sentenza impugnata . Né è esatto che nell'operazione ermeneutica compiuta i giudici d'appello abbiano applicato consuetudini locali in violazione della gerarchia delle fonti di eterointegrazione contrattuale posta dall'art. 1374 c.c Proprio il richiamo all'effetto naturale della cessione della quota di comproprietà delle parti comuni dell'edificio dimostra il contrario, ossia la ritenuta ed applicata prevalenza della legge rispetto alle altre fonti integratici, ad essa correttamente posposte. 7. - In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti. 8. - La reciproca soccombenza delle parti è causa di compensazione delle spese. P.Q.M. La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e compensa le spese.