Alla risoluzione per inadempimento segue l’obbligo di ciascun contraente di restituzione della prestazione

Nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza dell’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili e, qualora questo non sia possibile, del suo equivalente.

La Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15705, depositata il 21 giugno 2013, affronta e risolve la più tipica controversia in materia di appalto. Il caso. L’appaltatore agisce nei confronti del committente per chiedere la risoluzione del contratto di appalto per l’inadempimento del committente, che aveva sospeso i pagamenti dopo avere corrisposto solo un primo acconto, e per ottenere la sua condanna al pagamento del prezzo delle opere già eseguite. Il committente, dal canto suo, eccepisce la sussistenza di vizi e difetti e l’applicazione di prezzi difformi rispetto a quelli convenuti, chiedendo, a sua volta, la risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’appaltatore. Entrambi i Giudici di merito non hanno dubbi nel ritenere fondata la domanda dichiarativa dell’appaltatore il committente, tanto in primo quanto in secondo grado, viene altresì condannato al pagamento di importi il Tribunale, però, li ritiene dovuti qualificando la domanda di pagamento del corrispettivo come avente natura risarcitoria la Corte d’Appello, invece, afferma la legittimità e la fondatezza della domanda così come formulata, dal momento che l’effetto retroattivo della pronuncia di risoluzione non si estenderebbe alla prestazioni già eseguite. Risoluzione e adempimento possono convivere? I Giudici di legittimità sono chiamati, quindi, a fare chiarezza sulla legittimità, da un lato, e sulla natura, dall’altro, della domanda di pagamento del corrispettivo che segua, come nel caso di specie, alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della controparte. Si chiede, cioè, se una volta pronunciata la sentenza costitutiva di risoluzione, sia ancora legittimo pretendere il pagamento del corrispettivo per prestazioni che non abbiano più, proprio per l’intervenuta risoluzione del contratto, la loro causa giustificatrice. Il corretto inquadramento alla risoluzione segue la restituzione. Gli ermellini richiamano, quindi, la costante giurisprudenza di legittimità in materia, affermando, innanzitutto, che nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza dell’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili e, qualora questo non sia possibile, del suo equivalente. La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento produce, infatti, un effetto liberatorio ex nunc rispetto alle prestazioni da eseguire, ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto alle prestazioni già eseguite. Ne consegue che l’obbligazione restitutoria non ha né può avere natura risarcitoria – come sostenuto dal Tribunale in primo grado – poiché deriva dal venir meno della causa delle reciproche obbligazioni per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione. Qualora poi gli effetti restitutori non possano essere disposti in forma specifica, il Giudice dovrà necessariamente ordinarli per equivalente ne consegue che se l’appaltatore chiede in corso d’opera la risoluzione del contratto per inadempimento del committente ed il pagamento del prezzo” in relazione alle opere già eseguite, la sentenza di merito che, come nel caso di specie, riconosciuto il fondamento della prima domanda, accolga anche la seconda qualificandola in termini di adempimento anziché di restitutio in integrum a mezzo di equivalente pecuniario, non incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c. circa la corrispondenza tra chiesto e pronunciato, trattandosi di mera qualificazione giuridica della domanda, immutati i fatti posti a suo fondamento.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 aprile - 21 giugno 2013, n. 15705 Presidente Felicetti – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 10/12/1997 la s.n.c. Electron conveniva in giudizio M M. per sentir dichiarare risolto per inadempimento del M. , un contratto di appalto concluso l'1/9/1992 e per sentirlo condannare al pagamento delle opere eseguite per un importo complessivo di lire 39.242.853 oltre interessi legali dalla messa in mora l'attrice esponeva che il convenuto che aveva corrisposto un acconto di lire 20.000.000 si era reso inadempiente rispetto all'obbligo di pagamento delle opere già eseguite per complessive lire 36.315.000 malgrado la previsione contrattuale di pagamento a stati di avanzamento e l'invio della contabilità sin dal Dicembre 1993 e l'avviso che essa attrice avrebbe sospeso i lavori in caso di mancato pagamento. Il convenuto contestava la domanda, eccepiva l'esistenza di vizi e difetti e l'applicazione di prezzi difformi rispetto a quelli convenuti chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento dell'appaltatrice. Il Tribunale di Rimini con sentenza del 18/4/2003 dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento del committente che condannava a pagare l'importo di Euro 14.532,32 in base alla stima del CTU sul valore delle opere realizzate e con detrazione dell'importo di lire 1.858.678 a titolo di costi per l'eliminazione delle difformità e di lire 3.107.480 per minor pregio dell'impianto a causa del materiale impiegato. Il Tribunale qualificava come domanda risarcitoria la domanda di pagamento del corrispettivo. Il M. proponeva appello al quale resisteva la società Electron. La Corte di Appello di Bologna con sentenza del 26/9/2006 riduceva a Euro 4.357,96 l'importo dovuto dal M. alla Electron confermando nel resto la sentenza appellata e condannando l'appellante al pagamento delle spese del grado. La Corte di Appello ha osservato che le censure del M. alla CTU erano inammissibilmente generiche che il giudice di primo grado aveva erroneamente qualificato la domanda di Electron come domanda risarcitoria perché Electron poteva vantare il diritto al pagamento delle opere già eseguite, come richiesto, non già a titolo di risarcimento, ma, per l'effetto retroattivo della pronuncia di risoluzione che non si estende alle prestazioni già eseguite che non era giustificabile l'interruzione dei pagamenti da parte del M. perché le modalità contrattuali di pagamento a stato di avanzamento erano state di fatto superate nel corso dell'esecuzione dell'appalto, essendo invece rilevante che il M. per circa tre anni si fosse rifiutato di effettuare pagamenti ulteriori rispetto a quelli già effettuati pari a L. 20.000.000 nonostante che l'appaltatrice avesse maturato un ulteriore credito di circa lire 8.500.000, avanzando riserve ingiustificate - che il M. doveva ritenersi parte soccombente e quindi era tenuto al pagamento delle spese processuali a favore di Electron. M M. propone ricorso affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso Electron s.n.c che propone ricorso incidentale fondato su un motivo e condizionato al mancato rigetto del primo motivo di ricorso principale. Motivi della decisione Preliminarmente devono essere riuniti il ricorso principale e quello incidentale ai sensi dell'art. 335 c.p.c. in quanto proposti contro la stessa sentenza. 1. Con il primo motivo la ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1458 c.c. e sostiene - che erroneamente sarebbe stata ritenuta l'ammissibilità della congiunta domanda di risoluzione del contratto e di adempimento - che il contratto di appalto non è un contratto ad esecuzione continuata con la conseguenza che la risoluzione opera retroattivamente e non se ne può chiedere l'adempimento per le prestazioni già eseguite - che pertanto non poteva essere pronunciata condanna dell'odierno ricorrente a pagare il saldo di quanto già eseguito, mentre una domanda di risarcimento non era mai stata proposta. Il ricorrente formula quesito diretto a stabilire - se vi è stata violazione degli artt. 1453 e 1458 c.c. - se le domande avversarie siano inammissibili - se la risoluzione del contratto di appalto abbia o meno efficacia retroattiva. 1.1 Con l'unico motivo del ricorso incidentale la società Electron s.n.c. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1367 c.c. nonché degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. e il vizio di motivazione sostenendo che erroneamente la Corte di Appello di Bologna ha interpretato la propria domanda di condanna come domanda di adempimento dell'obbligo di pagare il corrispettivo dell'appalto, mentre la domanda, correttamente interpretata, doveva essere intesa come diretta ad ottenere il risarcimento per equivalente dovuto per l'inadempimento, commisurato, ai soli fini dell'accertamento del quantum, al credito maturato per il corrispettivo. La ricorrente incidentale formula quesito diretto a stabilire se, premesso quanto sopra precisato, vi sia stata violazione delle regole di interpretazione della domanda giudiziale e se vi sia stato vizio di motivazione. 1.2 Il primo motivo del ricorso principale deve essere esaminato insieme all'unico motivo di ricorso incidentale nel quale sono proposte le stesse tematiche. Infatti il ricorrente principale censura la sentenza di appello perché ha accolto la domanda di condanna pur avendola correttamente qualificata come domanda di adempimento senza avvedersi che l'attrice, chiedendo la risoluzione del contratto, non poteva chiederne l'adempimento e l'accoglimento della domanda di condanna perché il giudice di appello, pur avendo esattamente qualificato la domanda proposta come domanda di adempimento la ricorrente incidentale, per il caso in cui si neghi al contratto di appalto la natura di contratto ad esecuzione continuata o periodica, censura la sentenza di appello perché, differentemente da quanto aveva ritenuto il primo giudice, la sua domanda era stata qualificata come domanda di adempimento invece che domanda di risarcimento per equivalente. 1.3 Per principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività art. 1458 c.c., primo comma della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l'insorgenza dell'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili e, qualora questo non sia possibile, del suo equivalente. La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento produce, infatti, un effetto liberatorio ex nunc , rispetto alle prestazioni da eseguire ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto alle prestazioni eseguite. Con la risoluzione del contratto, in forza della operatività retroattiva di essa ex art. 1458 c.c., si verifica, quindi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale restitutio in integrum tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi. L'obbligazione restitutoria non ha, pertanto, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni v., ex plurimis Cass. 19/5/2003 n. 7829 Cass. 11/3/2003 n. 3555 Cass. 14/1/2002 n. 341 Cass. 4/6/2001 n. 7470 . Ne consegue che nei contratti con prestazioni corrispettive, come quello di appalto, deve essere accolta la richiesta restitutoria relativa al valore della prestazione già eseguita che non sia stata restituita né offerta in restituzione e della quale il committente si giova in quanto il diritto scaturisce, in caso di risoluzione dall'obbligo restitutorio che scaturisce, appunto, dalla risoluzione v. Cass. 13 dicembre 1977 n. 5444 Cass. 16/3/2011 n. 6181 in sintesi, se gli effetti restitutori non possono essere disposti in forma specifica, il giudice deve necessariamente ordinarli per equivalente, secondo il principio pretium succedit in locum rei Cass. 15/5/1996 n. 4498 . In applicazione dei richiamati principi, si deve affermare che se l'appaltatore come nella specie chiede in corso d'opera la risoluzione del contratto per inadempimento del committente ed il pagamento del prezzo in relazione alle opere già eseguite, la sentenza del giudice del merito, la quale, riconosciuto il fondamento della prima domanda, accolga anche la seconda, pur rilevandone la impropria formulazione in termini di versamento del prezzo, anziché, secondo i principi della risoluzione del contratto ad esecuzione continuata o periodica, in termini di restitutio in integrum a mezzo di equivalente pecuniario, non incorre in violazione dello art. 112 cod. proc. civ., circa la corrispondenza fra chiesto e pronunciato, trattandosi di mera qualificazione giuridica della domanda medesima, fermi restando i fatti dedotti a suo fondamento cfr. Cass. 21/11/1983 n. 6946 . La Corte di Appello ha dunque correttamente applicato i principi di diritto sopra richiamati facendo discendere l'obbligo del pagamento del valore delle opere già eseguite dall'effetto retroattivo della pronuncia di restituzione, dovendosi solo correggere la motivazione nella parte in cui attribuisce all'appalto la natura di contratto ad esecuzione continuata, perché l'appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica, ma non si sottrae, in caso di risoluzione, alla regola generale, dettata dall'art. 1458 cod. civ., della piena retroattività con le conseguenze sopra precisate di tutti gli effetti, anche in ordine alle prestazioni già eseguite cfr. Cass. 6/4/2009 n. 8247 . La somma è dovuta non a titolo di adempimento, ma a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio in integrum . In conclusione, il primo motivo di ricorso principale è infondato e, così diversamente qualificata la domanda inizialmente proposta dalla società attrice, resta assorbito il ricorso incidentale condizionato. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c. e dell'art. 116 c.p.c. quanto alla valutazione dei reciproci inadempimenti e della loro importanza, tenuto conto che esso ricorrente aveva già corrisposto l'importo di lire 20.000.000 e che Electron aveva eseguito solo il 50% circa dei lavori e aveva avanzato pretese eccessive ed erano stati riscontrati, vizi, difetti e difformità ritenuta legittimità della sospensione dei lavori da parte di Electron per l'asserito inadempimento di esso ricorrente. Il ricorrente chiede a questa Corte di accertare se nella fattispecie vi è stata violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c. e del principio inadimplenti non est adimplendum in rapporto alla condotta posta in essere dalla Electron e se tale condotta sia qualificabile in termini di grave inadempienza. 2.1 Il motivo è inammissibile, sia perché non pertinente rispetto alla ragione del credito azionato come in precedenza qualificato, sia per la mancanza di un quesito ritualmente formulato il che equivale a omessa formulazione. Con il quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. il ricorrente deve domandare alla Corte se, in una fattispecie come quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito fatto , si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata Cass. Sez. Un. 5/2/2008, n. 265 nello stesso senso, da ultimo, Cass. 2/4/2009 n. 8102 in altri termini, la norma impone al ricorrente di chiarire con il quesito l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia, ossia di riportare in sintesi il fatto, la regula iuris applicata e quella che invece avrebbe dovuto essere applicata. Nulla di tutto ciò è ravvisabile nello specifico quesito che rimanda, integralmente, quanto al fatto, all'illustrazione del motivo e non indica la regula iuris che dovrebbe, a suo giudizio, essere applicata. 3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che l'acconto versato era pari a più di 2/3 dell'importo riconosciuto come dovuto alla Electron in corso di causa, a sua volta pari a 1/5 delle pretese avanzate da Electron con l'atto di citazione. 3.1 Il motivo è infondato in quanto dal motivo non è dato desumere uno specifico vizio di omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione da parte della Corte di merito, ma una mera non condivisione del giudizio sulla rilevanza economica dell'inadempimento del committente ai fini del diritto alla restituzione che è stata valutata, con scrutinio di merito, come tale non censurabile in questo giudizio di legittimità, sulla base di dati oggettivi quali il carattere meramente pretestuoso di molte riserve e la modesta rilevanza dei vizi dell'opera, tenuto conto che l'importo riconosciuto come dovuto è già stato decurtato dei costi per l'eliminazione dei difetti e per il minor pregio dell'impianto. 4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c censurando la sentenza di appello nella parte in cui lo ha individuato come parte soccombente, mentre le sue doglianze avevano trovato accoglimento con il ridimensionamento delle pretese di controparte e, in appello, anche con riferimento alla qualificazione della domanda e alla tardività dell'appello incidentale. Il ricorrente chiede alla Corte di accertare se nella fattispecie vi è stata violazione dell'art. 91 c.p.c. non sussistendo alcuna sua soccombenza, o se non siano ravvisabili giusti motivi per compensare integralmente o parzialmente le spese processuali. 4.1 Il motivo è infondato perché - in tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell'una o dell'altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l'oggetto della lite nel suo complesso Cass. 24/1/2013 n. 1703 nella fattispecie, inoltre, non v'è neppure stata soccombenza reciproca, ma mero ridimensionamento della pretesa attorea che non è configurabile come soccombenza Cass. 24/4/1987 n. 4012 Cass. 23/6/2000 n. 8532 - il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l'esito delle varie fasi, ma va considerato unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole Cass. 29/9/2011 n. 19880 Cass. 11/1/2008 n. 406 - l'identificazione della parte soccombente è rimesso al potere decisionale del Giudice di merito, insindacabile in questa sede, con l'unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa Cass. 16/6/2011 n. 13229 . 5. In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato con assorbimento del ricorso incidentale e con la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna M.M. a pagare a Electron di Menini Vincenzo & amp C. s.n.c. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.