Immobile intestato al padre ma pagato dal figlio: la nuora è ammessa a provare la simulazione

L’accordo simulatorio con il quale un bene è acquistato da un coniuge durante il matrimonio ed intestato al padre, può essere provato senza limitazioni probatorie dall’altro coniuge che sia rimasto estraneo al patto, in quanto terzo pregiudicato.

In questi termini si è pronunciata la Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1737 depositata il 24 gennaio 2013, nell’ambito di un giudizio volto ad accertare la simulazione del contratto di compravendita di un immobile, sottoscritto dal padre, ma il cui prezzo di acquisto era stato interamente pagato dal figlio. Il caso un acquisto contestato. Nell’anno 1998 l’istante citava innanzi al Tribunale civile di Milano il venditore di un immobile, il suocero –acquirente - ed il marito, con il quale era in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale dei beni, al fine di sentir accertare la simulazione dell’atto pubblico. Assumeva, a tal uopo, che effettivo acquirente doveva essere considerato il coniuge, il quale aveva corrisposto il prezzo di acquisto con denaro comune e chiedeva di poter dimostrare dette circostanze, attraverso la prova testimoniale. In via subordinata, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda principale, chiedeva la condanna del suocero al pagamento, in suo favore, della metà degli importi relativi al prezzo di acquisto del bene ed alla manutenzione ordinaria e straordinaria effettuata dal marito sull’immobile, a partire dalla data del rogito. Mentre il venditore restava contumace, nel primo grado di giudizio si costituivano sia il padre, che chiedeva il rigetto delle avverse pretese, sia il figlio, che aderiva alle conclusioni della moglie. I giudici milanesi, tuttavia, rigettavano entrambe le richieste attoree e la pronuncia veniva integralmente confermata dalla Corte territoriale, all’esito dell’appello interposto dalla soccombente, nella contumacia di tutti i convenuti in primo grado. La moglie è terzo pregiudicato? I giudici del gravame, invero, rigettavano le pretese dell’attrice rilevando, innanzitutto, che la prova della simulazione poteva essere offerta solo con la controdichiarazione, trattandosi di contratto per il quale è prevista la forma scritta ad substantiam , e non con l’invocata prova orale. Evidenziavano, poi, come ella non rivestiva la qualità di terzo creditore, non potendo vantare un autonomo diritto di credito rispetto al contratto simulato pertanto, non poteva essere comunque ammessa a provare la simulazione che, ex art. 1415 c.c., può essere legittimamente invocata solo da colui che abbia visto effettivamente leso un proprio diritto. Al più, secondo la tesi della Corte, ella avrebbe dovuto sostenere e provare che l’acquisto era avvenuto con denaro comune, così da assumere la veste di acquirente effettiva detta prova, tuttavia, non era stata fornita e la domanda, pertanto, non poteva essere accolta. Avverso la sentenza di appello, l’istante ha proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione, articolato in due motivi di diritto con il primo ha lamentato la violazione degli artt. 177, 1415 e 1417 c.c., per non essere stata considerata terza pregiudicata rispetto all’azione di simulazione, con conseguente facoltà di provare la simulazione stessa, senza limitazioni istruttorie. Con il secondo motivo ha, inoltre, dedotto il vizio di motivazione con riferimento all’asserita mancata indicazione della causa petendi in fatto. Sì, se in regime di comunione legale non partecipa al negozio. La Suprema Corte ha accolto il primo motivo, con assorbimento del secondo, e cassato con rinvio la sentenza di appello. La pronuncia in esame ha stabilito che se il coniuge è in regime di comunione legale dei beni e non partecipa al negozio simulato va, a tutti gli effetti, considerato soggetto terzo in quanto tale è legittimato a far valere la simulazione quando essa pregiudichi i suoi diritti. Il pregiudizio deve essere rinvenuto nell’impoverimento del patrimonio comune e nella sottrazione dei diritti conseguenti alla comproprietà sul bene. Sulla base di tali premesse, la Corte ha riconosciuto che l’istante poteva e doveva essere ammessa a provare la simulazione dell’atto di compravendita sottoscritto dal suocero, senza alcuna limitazione probatoria, così come prescritto dal dettato dell’art. 1417 c.c

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 ottobre 2012 – 24 gennaio 2013, n. 1737 Presidente Oddo – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 27/4/1998 P L. conveniva in giudizio P P. , G.M P. e T.V. chiedendo l'accertamento della simulazione di un contratto con il quale nel 1979 G.M P. , padre di P. , aveva acquistato un immobile da V T. l'attrice, premesso di essere coniuge di P P. in regime di comunione dei beni, assumeva che il contratto di compravendita era simulato e che l'effettivo acquirente era il proprio coniuge P P. . In via subordinata l'attrice, sul presupposto che il proprio coniuge si era accollato tutte le spese afferenti all'acquisto dell'appartamento e alla sua manutenzione ordinaria e straordinaria, a partire dalla data del rogito, chiedeva condannarsi P.G.M. al pagamento in suo favore della metà dei relativi importi. L'alienante T. restava contumace, l'acquirente P.G.M. chiedeva il rigetto delle domande e il coniuge P.P. aderiva alle domande dell'attrice. Con sentenza del 27/8/2001 il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande della L. e la Corte di appello di Milano con sentenza del 20/7/2005 rigettava il suo appello nel procedimento di appello rimanevano contumaci tutti gli appellati. La Corte di Appello rilevava - che la dedotta simulazione relativa poteva essere provata trattandosi di contratto per il quale è prevista la forma scritta ad substantiam nei rapporti tra le parti solo con la controdichiarazione e non con la prova orale richiesta dall'attrice - che l'attrice non poteva essere considerata terza creditrice come tale ammessa alla prova della simulazione con qualsiasi mezzo perché il suo preteso credito, pregiudicato dalla simulazione non sussiste se non in funzione dell'efficacia del negozio in tesi simulato e, quindi, non ha carattere di autonomia rispetto al contratto oggetto di simulazione, ma si identifica con la comproprietà pro indiviso dell'immobile - che legittimati a far valere la simulazione ai sensi del comma 2 dell'art. 1415 c.c. non sono i terzi indistintamente, ma solo i terzi i cui diritti sono pregiudicati dalla simulazione. Sotto quest'ultimo profilo, la Corte distrettuale osservava che la L. non poteva vantare un diritto attuale sul patrimonio che intendeva implementare con l'accertamento della sua proprietà del proprio coniuge in tesi acquirente e, nel caso in cui avesse voluto sostenere che l'acquisto era avvenuto con denaro appartenente alla comunione, essa avrebbe assunto la qualità di parte {acquirente effettiva, fittiziamente interposta dei contratto con effetto ex tunc, con conseguente onere di fornire la prova della simulazione. - che in nessun atto del processo era stato indicato quale fosse la fonte del credito vantato nei confronti del suocero, così che la causa petendi era rimasta indeterminata precludendo una valutazione positiva della fondatezza della pretesa. L.P. propone ricorso affidato a due motivi. Sono rimasti intimati P P. , G.M P. e T.V. . Motivi della decisione In ordine ai quesiti di diritto formulati dalla ricorrente si rileva che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data anteriore all'entrata in vigore dell'art. 366 bis c.p.c. inserito dall'art. 6 D.Lvo n. 40/2006 e ora abrogato che imponeva a pena di inammissibilità la formulazione del quesito di diritto pertanto le disposizioni contenute nella menzionata norma non sono applicabili in questo processo. 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 111, 1415, comma 2 e 1417 c.c. e sostiene che doveva essere considerata terza pregiudicata rispetto all'azione di simulazione in quanto era rimasta estranea al negozio simulato e che, stante 1J disposto dell'art. 177 c.c., essa vantava un diritto sul patrimonio comune e, quindi, non poteva esserle precluso il diritto di provare la simulazione senza limitazioni probatorie formula un quesito volto a stabilire se il coniuge in regime di comunione legale possa considerarsi terzo creditore nell'esercizio dell'azione di simulazione rispetto all'acquisto, da parte dell'altro coniuge, di un bene immobile acquistato con fondi comuni. 1.1 Il motivo è fondato e il giudice di appello non poteva precludere alla ricorrente la prova testimoniale sul presupposto che non fosse terza rispetto alla simulazione. La ricorrente, infatti., non ha partecipato alla stipulazione del contratto di vendita, non risulta avere preso parte all'accordo simulatorio che intende provare e neppure aveva la possibilità, essendo estranea all'accordo, di procurarsi una prova scritta del medesimo pertanto deve essere considerata soggetto terzo. L'art. 1415 comma 2 c.c. attribuisce al terzo la legittimazione a far valere la simulazione quando questa pregiudichi i suoi diritti v'è pregiudizio quando l'apparenza dell'atto incide negativamente sulla posizione giuridica del terzo collegata alla situazione concreta posta in essere dai contraenti v.,in motivazione, Cass. 30/3/200b n. 6651 . Non può essere esclusa la legittimazione, quale terzo con la conseguente libertà di prova , del coniuge, in comunione legale che sui bene acquistato dall'altro coniuge acquista ex lege la comproprietà solidale, ma che non può far valere l'acquisto alla comunione perché per effetto della simulazione è attribuita ad altri l'apparente titolarità del bene in altri termini, nella fattispecie, la simulazione da provarsi, ai sensi dell'art. 1417 c.c. senza le limitazioni ritenute dalla Corte territoriale impoverisce il patrimonio della comunione legale e sottrae al coniuge il diritto che g]i attribuisce l'art. 177 lett. a c.c. e i diritti conseguenti alla comproprietà sul bene come ad esempio abitarlo senza dovere pagare un canone di locazione all'apparente proprietario, come pare desumersi dall'esposizione del fatto contenuta nel ricorso, oppure partecipare all'amministrazione comune come le riconosce l'art. 180 c.c. . 2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa o insufficiente motivazione in relazione al rigetto della domanda, subordinata, di pagamento del 50% delle somme erogate dal proprio marito in costanza di matrimonio, attingendo dai fondi comuni, per l'acquisto dell'appartamento e per la gestione dei medesimo e sostiene che se il bene non è entrato in comunione, l'intestatario si è arricchito delle spese inerenti e che il giudice di appello, trascurando il suo dovere di applicare al fatto esposto la pertinente normativa, essendo suo compito qualificare la domanda proposta, non ha motivato o ha insufficientemente motivato la conclusione per la quale l'attrice non avrebbe indicato la causa petendi in fatto. 2.1 Il motivo è assorbito dall'accoglimento del primo motivo e dalla conseguente cassazione della sentenza di appello in quanto attiene alla domanda di rimborso di delle spese l'acquisto del bene e per le spese di gestione, tutte asseritamente sostenute con denaro comune che era stata proposta in via subordinata il caso di mancato accoglimento della domanda principale di simulazione relativa. 3. In conclusione deve essere accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento dei secondo motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio anche per le spese a. diversa sezione della Corte di Appello di Milano che pronuncerà osservando il principio di diritto secondo il quale il coniuge in regime di comunione legale ed estraneo all'accordo simulatorio è legittimato, in quanto terzo pregiudicato, a far valere e a provare senza limitazioni, probatorie la simulazione per effetto della quale, in tesi, un bene, non personale, acquistato dall'altro coniuge durante il matrimonio è intestato a persona diversa. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.