Il difetto della caldaia fa saltare l’affare: il danno subito va dimostrato

Il difetto dello strumento impedisce all’azienda di produrre pannelli di nuova generazione senza interrompere quella ordinaria. Viene così persa una importante commessa, ma per ottenere il risarcimento dei danni bisogna dimostrare anche l’esistenza di commesse relative ai pannelli ordinari.

Il caso. Una società fornisce ad un’altra una caldaia. Purtroppo però, lo strumento presenta qualche problema e le due società finiscono davanti al giudice. L’attrice sostiene che l’inadeguata fornitura della nuova caldaia abbia comportato l’impossibilità di avviare, oltre la produzione ordinaria, la produzione di pannelli di nuova generazione comportando la perdita di una importante commessa e chiede dunque di essere risarcita. Le sentenze di primo e secondo grado sono di segno opposto. La domanda viene respinta in primo grado, ma è accolta in appello dove il danno è quantificato in 464.000 euro. Si arriva dunque in Cassazione. La società fornitrice della caldaia lamenta il fatto che non sia stata effettuata la verifica delle scritture contabili della controparte perché non fornite dalla stessa e inoltre la mancata considerazione dei dati aziendali nel periodo di riferimento nella determinazione del ritenuto danno. Il Tribunale ha motivato la sua decisione sostenendo che l’attrice avesse mancato di superare l’onere della prova circa il danno. La Corte territoriale, invece, ha sostenuto che non fosse necessario dimostrare l’esistenza di ordinativi relativi ai pannelli tradizionali oggetto dell’ordinaria produzione dell’azienda. I dati relativi all’ordinaria produzione andavano acquisiti. La Suprema Corte rileva come i giudici di secondo grado abbiano presunto non solo la continuazione della produzione di materiali ordinari, ma anche che questa fosse stata continuativamente richiesta dai clienti in misura tale da non assorbire la produzione di tutti gli impianti e che la scelta di risolvere il contratto con il nuovo cliente fosse stata la migliore scelta imprenditoriale in relazione alle possibilità produttive di quell’anno. La sentenza va cassata. Tuttavia, i giudici di appello non potevano adagiarsi sulla ipotesi che comunque la committente avesse prodotto pannelli normali in misura pari agli anni precedenti, poiché questo assunto non era ipotesi meramente congetturale, ma circostanza di fatto fondamentale, documentabile con dati oggettivi, facilmente acquisibili . Del resto una verifica probatoria si imponeva a maggior ragione a fronte di una sentenza di primo grado che aveva specificamente rimproverato a parte attrice, odierna resistente, la mancata prova del danno di cui chiedeva il ristoro . Per questo motivo la Suprema Corte, con la sentenza n. 3126/12 depositata il 29 febbraio scorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 novembre 2011– 29 febbraio 2012, n. 3126 Presidente Piccialli – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 Con sentenza 16 marzo 2006, la Corte d'appello di Venezia, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla Tecnopanelli snc avverso la sentenza del tribunale di Verona del 6 agosto 2001, condannava la Bano Caldaie srl al risarcimento in favore della appellante di una somma di Euro 464.000 circa. La Corte d'appello quantificava in tale misura il danno arrecato alla Tecnopanelli dalla errata fornitura di una caldaia, in conseguenza della quale aveva dovuto rinunciare a una commessa di pannelli di legno richiestile della società tedesca Holz. Bano srl ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 21 luglio 2006, resistito con controricorso dalla Tecnopanelli snc. La compagnia assicuratrice Winterthur spa, a suo tempo chiamata in causa e costituitasi nei giudizi di merito, è rimasta intimata. Motivi della decisione 2 Il ricorso è soggetto ratione tempoxis alla disciplina novellatrice di cui al d. lgs n. 40/2006. 3 Con il primo motivo parte ricorrente Bano srl lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 cpc in relazione all'art. 360 n. 3 . Sostiene che la pronuncia di condanna al risarcimento dei danni si fonderebbe sulla asserita mancata contestazione delle voci di danno indicante dall'appellante e deduce che il principio di non contestazione trova applicazione solo nel processo del lavoro. A conclusione del motivo formula due quesiti di diritto, miranti a far affermare che la prova del quantum del danno da inadempimento di obbligazioni contrattuali ex art. 1223 CC debba essere fornita dal creditore non tramite un giudizio ipotetico , ma sulla base di un rigoroso giudizio di probabilità, caratterizzato da previsioni fondate su situazioni già esistenti e dimostrate e non soltanto dedotte . Afferma inoltre che non sussisterebbe alcun onere di contestare nello specifico ogni fatto dedotto ex adverso e che la contestazione, per quanto generica, impedisca di far ritenere provate le circostanze sostenute dall'istante. 3.1 Si tratta di quesito inammissibile. In primo luogo esso è privo di qualsiasi riferimento concreto al caso di specie, requisito indispensabile perché un quesito formulato ex art. 366 bis cpc possa essere preso in esame Cass. 9477/09 Su 7433/09 , risolvendosi altrimenti in un'astratta affermazione giuridica e non nella individuazione della regola specificamente utilizzabile per la definizione della controversia esaminata e risolta dal giudice d'appello sulla base di altra norma mal interpretata o male applicata. 3.2 In secondo luogo la censura non è congrua rispetto alla ratio della sentenza, che non risulta fondata su un'errata concezione dell'onere di contestazione specifica, giacché soltanto la quantificazione dell'utile, indicato in 918 milioni viene argomentativamente rafforzata con riferimento a questo concetto, di talché non è ad un errore di diritto, ma a un vizio di motivazione su un aspetto della decisione che deve essere portata la critica. Sono per contro fondati secondo e terzo motivo di ricorso. 4 Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione al fatto controverso costituito dalla mancata considerazione delle contestazioni in merito alla quantificazione del danno operato dalla Tecnopannelli. La Bano caldaie sostiene di aver sempre contestato i fatti addotti dalla Tecnopannelli e indica gli atti difensivi nei quali erano contenute le specifiche contestazioni, adducendo che non era stata effettuata la verifica delle scritture contabili benché richiesta al c.t.u. dal giudice di primo grado, perché la resistente Tacnopannelli non aveva fornito al consulente la documentazione necessaria al raffronto dei dati utili. Il terzo motivo lamenta vizi di motivazione in relazione alla mancata considerazione dei dati aziendali nel periodo di riferimento nella determinazione del ritenuto danno . Se si considera la precisa rubrica di questo motivo e la parte finale della censura precedente, si ha un quadro riassuntivo sufficientemente preciso, anche in relazione all'art. 366 bis cpc, delle censure motivazionali, da esaminare congiuntamente, che colgono senz'altro nel segno. La domanda risarcitoria, dipendente dalla inadeguata fornitura della nuova caldaia, verteva sul pregiudizio conseguente alla asserita impossibilità di avviare, oltre la produzione ordinaria, la produzione di pannelli di nuova generazione finger point , perdendo la commessa Holz e quindi l'utile da essa previsto. La domanda era stata respinta dal giudice di primo grado per mancato superamento dell'onere della prova . Era quindi mancata, secondo la prima sentenza, la prova dell'esistenza di commesse tradizionali, oltre quella Holz, non controversa, tali da concretizzare effettivamente la perdita. 4.1 La sentenza impugnata, per contraddire la precedente, ha infatti ritenuto pag 10 che la Tecnopannelli non dovesse fornire la prova dell'esistenza di ordinativi relativi ai pannelli tradizionali. Ha affermato che il mantenimento di tale fonte di guadagno era presumibile, data la mancanza di qualsivoglia indizio di segno contrario , dal fatto che un'attività normale non sarebbe stata lasciata improvvisamente per una nuova, forte di un solo ordine. Ha aggiunto che sarebbe stato possibile l'avvio della nuova produzione anche senza la cella terza di essiccazione, ma che ciò avrebbe portato all'interruzione della produzione tradizionale. Orbene, l'ipotesi che l'attività tradizionale sia continuata a pieno regime, fonda, come evidenziato in ricorso, una motivazione insufficiente e illogica in ordine alla quantificazione del pregiudizio lamentato. La presunzione che può reggere la motivazione circa l'entità e non l'esistenza del danno può nascere invero da fatti noti e non, come in questo caso, da illazioni circa il comportamento astrattamente prevedibile in capo al danneggiato. Giova infatti osservare che la entità di commesse produttive di un certo materiale non può dirsi certa, per l'imprenditore, anno per anno, essendo si possibile il mantenimento degli standard di produttività, ma altrettanto frequente una diminuzione, anche temporanea, delle commesse. 4.2 Inoltre, in considerazione del passaggio a produzione di nuova generazione, anche solo l'eventualità che questa scelta potesse corrispondere ad evoluzioni del mercato non più remunerative per le vecchie produzioni, rendeva labile la ipotesi formulata dalla Corte di appello. Essa, senza, a quanto consta questa Corte non ha accesso ai documenti di causa, ma può e deve fondarsi sulle carenze evidenti delle sentenze e sulle deduzioni degli atti difensivi , il minimo corredo di documentazione circa la esistenza di commesse ordinarie e la possibilità di cumulare - sia pure in periodi sfalsati - l'una e l'altra produzione soddisfacendo gli ordinativi, ha raggiunto apodittiche conclusioni. Ha infatti presunto non solo a che sia continuata la produzione di materiali ordinari, ma anche che b essa fosse quantitativamente stata richiesta dai clienti in misura tale da assorbire la produzione di tutti gli impianti c che la scelta di risolvere il contratto con il nuovo cliente sia stata la migliore scelta imprenditoriale , in relazione alle possibilità produttive di quell'anno. Siffatta conclusione poteva essere invece raggiunta solo previa rigorosa prova che erano stati acquisiti ed esitati ordini relativi alla produzione tradizionale, tali da impedire di avviare la nuova produzione, sia pure parzialmente, eliminando o riducendo la perdita del contratto Holz. 4.3 I giudici di appello non potevano adagiarsi sulla ipotesi che comunque la committente avesse prodotto pannelli normali in misura pari agli anni precedenti, poiché questo assunto non era ipotesi meramente congetturale, ma circostanza di fatto fondamentale, documentabile con dati oggettivi, facilmente acquisibili. Di questi dati la parte asseritamente danneggiata era nella piena disponibilità e quindi doveva produrli per dimostrare l'entità del danno conseguente alla mancata fornitura completa del nuovo impianto. Da essi la sentenza non poteva prescindere. La contestazione allegata da parte ricorrente si riferisce infatti puntualmente ed opportunamente alla verifica delle scritture contabili, invano a quanto consta sollecitata, premessa indispensabile per quelle anche ulteriori acquisizioni probatorie ordinativi, acquisti di materiali, fatture di vendita, etc. necessarie a dimostrare che il danno da mancata produzione si fosse effettivamente verificato. Tale esigenza probatoria si imponeva a maggior ragione a fronte di una sentenza di primo grado che aveva specificamente rimproverato a parte attrice, odierna resistente, la mancata prova del danno di cui chiedeva il ristoro, circostanza questa che rende evidente la insufficienza di una ricostruzione alternativa puramente ipotetica, del tutto inadeguata a fronte dell'assenza di documentabili, se esistenti, riscontri positivi della tesi preferita. L'indagine del giudice di rinvio, in quanto compatibile con l'assolvimento tempestivo degli oneri probatori, nel rispetto delle preclusioni eventualmente maturate, dovrà valutare con completezza tutti i periodi indicati come rilevanti dalle parti, onde verificare se vi sia stato slittamento di forniture o altra soluzione imprenditoriale che abbia vanificato o attutito l'ipotesi lesiva prospettata da parte controricorrente, restando cosi opportuna la sollecitazione in proposito formulata in ricorso, relativa ad anni successivi al 1995. La sentenza impugnata va cassata e la causa rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Venezia per nuova motivazione in ordine all'esistenza ed all'eventuale entità del danno oggetto di controversia. In sede di rinvio la Corte territoriale liquiderà le spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo e terzo motivo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.