Modifica della proprietà esclusiva del condomino e divieto di alterare la destinazione della cosa comune

La realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva, facendo anche uso delle parti comuni, rimane sottoposta, ex art. 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune e al divieto di impedire agli altri partecipanti di farne pari uso secondo il loro diritto.

Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 4909/20 depositata il 24 febbraio. Interventi sul terrazzo. Un Condominio conveniva innanzi al Giudice di Pace i condomini Tizio e Caio domandando che fosse accertata l’illegittimità degli interventi da questi effettuati sul terrazzo dell’immobile di loro proprietà ed ordinato il ripristino dello stato originario dei luoghi. A parere del Condominio, infatti, i lavori di avanzamento del terrazzo dell’immobile a filo del muro perimetrale di facciata, con annessione del cornicio e della parte di gronda, erano stati eseguiti in violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c Il Giudice di Pace rigettava la domanda rilevando che i suddetti interventi non avessero alterato la destinazione della cosa comune e che non avessero impedito agli altri partecipanti di farne uso. Avverso la decisione il Condominio proponeva appello davanti al Tribunale di Milano che, riformando la sentenza, accertava l’illegittimità delle opere realizzate sul terrazzo dell’appartamento di proprietà di Tizio e Caio e li condannava al rispristino dello stato dei luoghi originario. Avverso la decisione del Tribunale, i condomini propongono ricorso in Cassazione lamentando che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che le opere realizzate nell’edificio abbiano interessato parti comuni dello stabile, posto che la gronda non è stata modificata, avendo mantenuto la sua funzione di raccolta dell’acqua piovana proveniente dal terrazzo di loro proprietà esclusiva. Lamentano inoltre i condomini che il Tribunale ha erroneamente ravvisato violazione della simmetria e del decoroso nell’intervento sul parapetto del balcone, costituendo questo parte della facciata dello stabile. Destinazione d’uso. La Cassazione, ritenendo infondati i motivi di ricorso, osserva che la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva, ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta art. 1102 c.c. al divieto di alterare la destinazione della cosa comune e al divieto di impedire agli altri partecipanti di farne pari uso secondo il loro diritto. Il compito di accertare se l’opera realizzata dal singolo condomino sia conforme o meno alla destinazione della parte condominiale spetta al giudice di merito, la cui decisione, se adeguatamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità. Nel caso concreto, rileva la Suprema Corte, il Tribunale ha congruamente motivato le ragioni per cui ha ritenuto che la realizzazione delle opere eseguite dai condomini abbia alterato la destinazione d’uso ed impedito agli altri di fare uso della cosa stessa. Inoltre, la Cassazione osserva che il parapetto rappresenta una parte della facciata del palazzo e ha una funzione estetica, essendo elemento decorativo ed ornamentale. Pertanto, se i balconi dell’edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, il rivestimento del parapetto e della soletta, se svolgono prevalentemente una funzione estetica per l’edificio, sono beni comuni, essendo elementi decorativi che rendono il palazzo esteticamente gradevole. Dunque, se il condomino esegue opere sui propri beni facendo anche uso di beni comuni, deve utilizzare le parti comuni nei limiti previsti dall’art. 1102 c.c Innovazione lesiva del decoro architettonico. Infine, viene chiarito dalla Cassazione che è un’innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi ex art. 360 n. 5 c.p.c., non potendosi attribuire, tra l’altro, decisiva, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 c.c., al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate . Alla luce di quanto chiarito, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 24 ottobre 2019 – 24 febbraio 2020, numero 4909 Presidente D’Ascola – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione Pa. Ge. e Iv. Br. hanno presentato ricorso, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza numero 3740/2018 del Tribunale di Milano, depositata in data 3 aprile 2018. Resiste con controricorso il Condominio di via omissis . Con atto di citazione notificato in data 23 febbraio 2012, il Condominio di via omissis convenne, dinanzi al Giudice di pace di Milano, Pa. Ge. e Iv. Br., chiedendo l'accertamento della illegittimità degli interventi da questi ultimi effettuati sul terrazzo dell'immobile di loro proprietà nella specie, dell'avanzamento del terrazzo a filo del muro perimetrale di facciata, con annessione del cornicione e della parte di gronda che lo attraversa , sito nello stabile di via omissis , poiché eseguiti in violazione degli artt. 1102 c.c. e 1120 c.c. e del regolamento condominiale, in assenza di alcuna autorizzazione chiesero, inoltre, una pronuncia di condanna al ripristino dello stato dei luoghi originario, con contestuale autorizzazione rilasciata al Condominio per intervenire direttamente nell'esecuzione delle relative opere, in caso di inerzia dei convenuti, nonché la vittoria di spese del giudizio. Con sentenza numero 109241/2013, depositata il 27 giugno 2013, il Giudice di pace rigettò la domanda, con compensazione delle spese processuali, rilevando come dalla documentazione prodotta in atti e dall'istruttoria esperita gli interventi eseguiti sulle parti comuni non abbiano violato l'art. 1102 c.c. o l'art. 1120 c.c. non essendo dimostrato che i suddetti interventi abbiano alterato la destinazione della cosa comune o che abbiano impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso . Con atto notificato in data 11 febbraio 2014, il Condominio di via Cimabue numero 15, Milano, propose appello in base a tre motivi 1 erroneità della decisione laddove il giudice di primo grado aveva escluso che le opere realizzate da Pa. Ge. e Iv. Br. violassero gli artt. 1102 c.c. e 1120 c.c. 2 erroneità nell'interpretazione ed applicazione dell'art. 8 lett. d del regolamento di condominio 3 erroneità della decisione di compensare le spese processuali. Pa. Ge. e Iv. Br. si costituirono in giudizio proponendo appello incidentale. Il Tribunale di Milano, con sentenza numero 3740/2018, depositata in data 3 aprile 2018, ha riformato integralmente la sentenza di primo grado, rigettato l'appello incidentale e condannato Pa. Ge. e Iv. Br. a rifondere al Condominio le spese di giudizio di entrambi i gradi del giudizio. In particolare, il Tribunale, accertata l'illegittimità delle opere realizzate sul terrazzo dell'appartamento di proprietà degli odierni ricorrenti, ha condannato i medesimi al ripristino dello stato dei luoghi originario autorizzando il Condominio, in caso di inerzia protratta oltre sessanta giorni dalla sentenza, a provvedere a tali opere direttamente . Il primo motivo di ricorso censura l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione dell'art. 1102 c.c., per avere il Tribunale di Milano erroneamente ritenuto che le opere realizzate abbiano interessato parti condominiali dello stabile, costituendo il canale di gronda porzione dell'edificio destinata all'uso comune per la sua funzione di scarico delle acque piovane provenienti dal tetto al contrario, sostengono i ricorrenti, la gronda non è mai stata modificata, avendo mantenuto la funzione di raccogliere l'acqua non piovana proveniente dal terrazzo di esclusiva proprietà dei medesimi. Col secondo motivo di ricorso si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione dell'art. 1102 c.c., per avere il Tribunale affermato che gli interventi eseguiti hanno comportato l'illegittima occupazione permanente del canale di gronda, in relazione alla parte di esso coperta dal prolungamento della soletta del terrazzo, con conseguente uso esclusivo di una parte comune per una funzione diversa rispetto a quella cui è destinato. Il terzo motivo deduce l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione degli artt. 1102 c.c. e 1117 c.c., per avere il Tribunale ravvisato una violazione della simmetria e del decoro, costituendo il parapetto del balcone parte della facciata dello stabile, ed essendo i lavori realizzati opere esterne incidenti sull'architettura dell'edificio. Col quarto motivo, i ricorrenti lamentano l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione del regolamento condominiale in relazione all'art. 360, comma 1, nnumero 3 e 5, c.p.c. Omessa pronuncia . Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere assorbito il motivo con il quale il Condominio ha contestato l'applicazione dell'art. 8 d del Regolamento condominiale da parte del giudice di pace. Secondo i ricorrenti, le opere non sono illegittime in quanto espressamente vietate dal Regolamento , e, piuttosto, avrebbero dovuto essere preventivamente autorizzate dall'assemblea per non incorrere in una violazione procedimentale, non avendo il regolamento natura contrattuale e non essendo stato approvato all'unanimità da parte dell'assemblea, ma a maggioranza semplice. In conclusione del motivo, i ricorrenti sostengono che il Tribunale abbia perseverato nell'errore poiché, nonostante il ritenuto assorbimento del motivo, non si è pronunciato sul fatto che tale censura sia stata introdotta per la prima volta in appello. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c, in relazione all'art. 375, comma 1, numero 5 , c.p.c, il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell'art. 380 bis, comma 2, c.p.c. I primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, rivelano diffusi profili di inammissibilità, e sono comunque infondati. Essi si connotano come una sollecitazione al complessivo riesame della situazione di fatto accertata dai giudici del merito. Sono inammissibili, infatti, le censure di erronea o mancata valutazione dei fatti, o di erronea motivazione, in quanto l'art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c, riformulato dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . I ricorrenti, quindi, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, numero 6, e 369, comma 2, numero 4, c.p.c. devono indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività . Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c. le considerazioni svolte nei motivi del ricorso, che si limitano a contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valenza delle risultanze istruttorie, invitando la Corte di legittimità a svolgere un nuovo giudizio sul merito della causa. Parimenti, la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva nella specie, dell'avanzamento del terrazzo con annessione del cornicione e della parte di gronda che lo attraversa , ai fini dell'utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonché a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e l'accertamento se l'opera del singolo condomino, mirante ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, sia conforme o meno alla destinazione della parte condominiale, è compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato nella specie, il Tribunale di Milano ha spiegato, a pag. 5 della sentenza, le ragioni per cui la realizzazione delle opere in questione abbia alterato la destinazione e impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto . Il terzo motivo di ricorso presenta ugualmente profili di inammissibilità e si rivela nel complesso infondato. Come spiegato dal Tribunale, il parapetto del balcone interessato dall'esecuzione delle opere da parte di Pa. Ge. e Iv. Br. costituisce parte della facciata dello stabile, in ragione della sua prevalente funzione estetica per l'edificio, così da divenire elemento decorativo ed ornamentale essenziali della facciata . La decisione del Tribunale di Milano si uniforma all'interpretazione di questa Corte. Se i balconi di un edificio condominiale non rientrano, infatti, tra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole Cass. Sez. 2, 14/12/2017, numero 30071 . E qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall'applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario che, in qualità di condomino, utilizzi le parti comuni dell'immobile nei limiti consentiti dall'art. 1102 c.c. Cass. Sez. 2 , 28/02/2017, numero 5196, relativa proprio a domanda di riduzione in pristino di un balcone sul quale erano state eseguite opere in violazione dell'art. 1102 c.c. . La precisazione in fatto su cui insistono i ricorrenti, avvertendo che la parte interessata ai lavori consistesse in una ringhiera metallica, rimane del tutto priva di decisività, giacché la natura di parte comune dei rivestimenti e degli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore di un balcone, che contribuiscano a rendere l'edificio condominiale esteticamente gradevole, può essere ravvisata con riguardo tanto a parapetti, quanto a balaustre, ringhiere e simili. Costituisce peraltro innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi ex art. 360 numero 5 c.p.c. Cass. Sez. 2, 11/05/2011, numero 10350 , non potendosi attribuire, tra l'altro, decisiva, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell'edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate Cass. Sez. 2, 16/01/2007, numero 851 . In tale rinnovato diretto apprezzamento del merito della lite i ricorrenti confidano ancora nella memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c, allorché ribadiscono che la gronda e la ringhiera coinvolte nell'intervento edilizio di ristrutturazione del terrazzo di loro proprietà non fossero beni condominiali, e ridefiniscono i particolari edilizi delle opere realizzate. Il quarto motivo di ricorso si rivela, infine, inammissibile. Il Tribunale di Milano ha ritenuto assorbito il secondo motivo di appello dedotto dal Condominio relativo all'erronea applicazione dell'art. 8 del regolamento condominiale di cui si era dibattuto anche dinanzi al giudice di pace , essendo il primo motivo sufficiente all'accoglimento dell'appello. La sentenza impugnata ha peraltro poi comunque valutato l'astratta fondatezza di tale doglianza, sostenendo come il regolamento introducesse un divieto alla realizzazione sulle proprietà individuali di ogni opera esterna che modifichi l'architettura, l'estetica o la simmetria dell'edificio ed imponesse una preventiva autorizzazione scritta in caso di realizzazione di modifiche interne ai locali di proprietà esclusiva. I ricorrenti non hanno tuttavia alcun interesse a dolersi della pronuncia resa dal Tribunale su un motivo di appello formulato dalla loro controparte e pregiudizialmente dichiarato assorbito dal medesimo giudice, il quale, dopo aver dichiarato fondato un primo motivo di gravame, distinto ed autonomo, giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, abbia non di meno esaminato l'astratta fondatezza di una ulteriore censura rimasta assorbita. L'esame del quarto motivo di ricorso non si rivelerebbe in nessun caso idoneo a determinare l'annullamento della sentenza del Tribunale di Milano impugnata, risultando comunque consolidata l'autonoma motivazione oggetto della prima censura assorbente accolta. Consegue il rigetto del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore del controricorrente nell'importo liquidato in dispositivo. Devono altresì essere liquidate le spese processuali sostenute dal Condominio di via omissis , nel procedimento di sospensione dell'esecuzione ex art. 373 c.p.c, come allegato dal medesimo controricorrente nella memoria cfr. Cass. Sez. 6 - 3, 24/10/2018, numero 26966 Cass. Sez. 6 - 3, 20/10/2015, numero 21198 . Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 - da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge nonché le spese processuali dell'incidente di sospensione davanti alla Corte di appello, che liquida in Euro 1.000,00, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.