Quando una finestra aperta sul fondo altrui può costituire oggetto di servitù

Le luci che si aprono su fondo altrui, fra un vano e l’altro del medesimo edificio, con lo scopo di dare luce ed aria ad uno di essi, possono costituire oggetto di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia .

Lo ricorda la sentenza della Cassazione n. 23943/19, depositata il 25 settembre. La vicenda. Due coniugi, proprietari di un appartamento all’interno di un condominio denunciavano la realizzazione abusiva nel cortile condominiale di un manufatto abusivo, in particolare un gabbiotto, appoggiato al muro perimetrale del fabbricato e, per darvi arie e luce, era stata aperta una finestra nel suddetto muro perimetrale, in corrispondenza dell’appartamento dei coniugi attori, o meglio della loro veranda. Pertanto i coniugi chiedevano al convenuto la chiusura della suddetta finestra, nonostante da prove testimoniali risultasse che essa era stata aperta prima dell’acquisto del loro appartamento. Le conseguenze di una finestra preesistente, aperta su fondo altrui. In particolare i ricorrenti lamentano che la Corte di secondo grado non ha adeguatamente valorizzato la planimetria allegata al loro atto di acquisto, dalla quale non emergeva l’esistenza della finestra in questione. Si sarebbe dovuto, quindi, attribuire alla suddetta planimetria l’efficacia di prova legale” prevalente rispetto alle prove testimoniali che invece confermavano la precedente esistenza della finestra. Si censura, infatti, l’accertamento di fatto che la finestra in oggetto era già esistente nel momento in cui i coniugi acquistarono l’unità abitativa. Tale accertamento è presupposto del principio enunciato già dalla S.C. secondo cui le luci che si aprono sul fondo altrui fra un vano e l’altro del medesimo edificio, possono costituire oggetto di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia . Tale principio è applicato alla fattispecie in esame posto che è stata accertata, correttamente in sede di merito, la preesistenza della finestra rispetto alla separazione dell’appartamento acquistato dai coniugi dalla residua proprietà del controricorrente. Dunque, la questione relativa alla preesistenza della finestra era una questione preclusa nel giudizio definito con la sentenza gravata, a causa della natura chiusa del giudizio e secondo costante orientamento giurisprudenziale, nel giudizio di rinvio opera l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio. Per tali ragioni, il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 dicembre 2018 – 25 settembre 2019, n. 23943 Presidente Gorjan – Relatore Cosentino Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 14.11.86 i coniugi C.G. e G.G. , premesso di essere proprietari di un appartamento loro venduto dal sig. S.C. , posto al primo piano di una palazzina dal medesimo edificata, riferivano che il loro appartamento confinava con il cortile condominiale e con la residua proprietà del medesimo sig. S. che quest’ultimo aveva abusivamente realizzato nel cortile condominiale un manufatto in cemento definito in ricorso gabbiotto in appoggio al muro perimetrale del fabbricato e, per darvi aria e luce, aveva aperto una finestra nel suddetto muro perimetrale, in corrispondenza dell’unità immobiliare degli attori e, in particolare, di un loro ballatoio in atti qualificato anche come terrazzino o come veranda . Tanto premesso i coniugi C. e G. convenivano il sig. S. dinanzi al pretore di Enna, chiedendo, per quanto qui ancora interessa, la chiusura della suddetta finestra lucifera. Il convenuto si costituiva eccependo che detta finestra esisteva già prima dell’atto del 23.12.1981 con cui gli attori avevano da lui acquistato il loro appartamento e deduceva che il relativo mantenimento costituiva oggetto di una servitù sorta per destinazione del padre di famiglia in via riconvenzionale il sig. S. chiedeva il ripristino del ballatoio degli attori, dai medesimi abusivamente trasformato in vano abitabile, con reintegrazione della finestra lucifera da loro arbitrariamente chiusa e risarcimento del danno. Il tribunale di Enna, cui la causa era stata rimessa a seguito di declaratoria di incompetenza del pretore, condannava il sig. S. ad eliminare la finestra lucifera prospiciente sulla veranda di detti coniugi e la corte d’appello di Caltanissetta, adita dal sig. S. , confermava tale decisione con sentenza n. 250 del 9.11.09, argomentando che - trattandosi di luce irregolare, posta all’altezza di m. 2,20 dal pavimento, inferiore a quella prevista dall’art. 902 c.c., n. 2 - non sarebbe stato consentito l’acquisto della relativa servitù per destinazione del padre di famiglia. Sul ricorso per cassazione del medesimo sig.S. questa Corte, con la sentenza 28.2.13 n. 5055, annullava detta statuizione e rinviava alla corte d’appello di Catania perché quest’ultima si attenesse al principio che, con riferimento all’ipotesi in cui le luci si aprono sul fondo altrui, fra un vano e l’altro di un medesimo edificio, con lo scopo di dare luce ed aria ad uno di essi attraverso l’altro, tali aperture non costituiscono estrinsecazione del diritto di proprietà, ossia manifestazione di una facultas del diritto stesso, ma, comportando una invasione della sfera di godimento della proprietà altrui, hanno natura di ius in re aliena con la conseguenza che è possibile, a favore di chi ne beneficia, acquisire la relativa servitù per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, sempreché l’apertura si concreti in opere visibili e permanenti destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del fondo altrui per l’utilità dell’altro che si avvantaggia dell’apertura lucifera. La corte etnea, pronunciandosi in sede di rinvio, giudicava essersi costituita in favore del fondo del sig. S. una servitù per destinazione del padre di famiglia e pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda dei coniugi C. e G. di chiusura della finestra lucifera di cui si tratta e accoglieva le domande riconvenzionali del S. di arretramento o eliminazione della veranda edificata dagli attori e di risarcimento del danno, che liquidava equitativamente in Euro 3.000 all’attualità. Avverso la sentenza della corte di appello di Catania i coniugi C. e G. hanno proposto ricorso per cassazione sulla scorta di sei motivi. L’intimato S. ha presentato controricorso e ricorso incidentale sulla scorta di due motivi, rispettivamente concernenti l’omessa pronuncia sulla domanda di ripristino della finestra lucifera e la misura in cui la corte ha operato la liquidazione equitativa del danno. La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 11.12.2018, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 949 e 1079 c.c., art. 2697 c.c., comma 2, e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa dichiarando inammissibile, perché preclusa nel giudizio di rinvio, l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del sig. S. , da loro sollevata sul rilievo che il manufatto a cui la finestra in questione era destinata a dare aria e luce insisteva su un’ area condominiale. Secondo i ricorrenti la corte etnea avrebbe errato nel non ritenere la carenza di legittimazione attiva rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio. Il motivo non può trovare accoglimento, perché la corte territoriale ha fatto corretto governo del disposto dell’art. 384 c.p.c. questa Corte ha infatti già chiarito che, in ragione del carattere chiuso del giudizio di rinvio, le questioni pregiudiziali che non siano state dedotte o rilevate in sede di legittimità non possono essere esaminate nel procedimento di rinvio, nè nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongono la sentenza del giudice di rinvio cfr. Cass. n. 5131/96, Cass. n. 6292/16 . Con il secondo motivo di ricorso, riferito alla violazione e falsa applicazione degli artt. 162, 1363, 2697 e 2700 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, i ricorrenti lamentano che la corte territoriale non avrebbe adeguatamente valorizzato la planimetria allegata al loro atto di acquisto, firmata dalle parti contraenti, dalla quale non emergeva l’esistenza delle finestra in questione. In particolare, secondo i ricorrenti, la corte avrebbe dovuto attribuire alla suddetta planimetria, in quanto sottoscritta dalle parti ed allegata al rogito, l’efficacia di prova legale così a pag. 20, penultimo rigo, del ricorso prevalente rispetto alle prove testimoniali che avevano affermato la preesistenza delle finestra all’acquisto dei coniugi C. e G. . Con il terzo motivo di ricorso, riferito alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti deducono che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che, poiché la planimetria allegata al rogito di trasferimento aveva ad oggetto esclusivamente l’unità compravenduta, doveva ritenersi ininfluente il rilievo che nella stessa mancasse la rappresentazione della finestra per cui è causa. Con il quarto motivo, riferito alla violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, art. 394 c.p.c., nonché al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti si dolgono dell’errore in cui la corte territoriale sarebbe incorsa affidano al consulente nominato nel giudizio di rinvio l’incarico di accertare lo stato dei luoghi all’attualità, invece che al momento i cui essi ricorrenti acquistarono il loro appartamento. Con il quinto motivo il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che la finestra lucifera fosse tra un vano e l’altro dello stesso edificio, senza accertare se la finestra fosse aperta in un muro comune o in un muro perimetrale dell’edificio e se il manufatto realizzato dal S. insistesse su un’ area di proprietà sua o di proprietà condominiale. Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso censurano tutti, sotto diversi profili, l’accertamento di fatto - su cui si fonda la decisione impugnata che la finestra lucifera in questione era già esistente nel momento in cui i coniugi C. e G. acquistarono il loro appartamento. Detto accertamento di fatto, tuttavia, era presupposto dall’enunciazione del principio di diritto espresso nella sentenza di questa Corte n. 5055/13 che ha disposto il giudizio di rinvio definito con la sentenza qui gravata , ossia che le luci che si aprono sul fondo altrui, fra un vano e l’altro di un medesimo edificio, possono costituire oggetto di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia la Corte di cassazione, infatti, non avrebbe avuto ragione di affermare tale principio di diritto nell’ambito di questa controversia se non avesse considerato già accertata, in sede di merito, la preesistenza della finestra in questione rispetto alla separazione dell’unità immobiliare acquistata dai coniugi C. e G. dalla residua proprietà S. e ciò, del resto, si legge espressamente a pag. 10 della suddetta sentenza n. 5055/13 Con motivazione adeguata e, sulla base di un accertamento in fatto riservato al giudice di merito, la sentenza impugnata ha dato conto che, nel momento in cui i coniugi C. avevano acquistato il loro immobile, erano esistenti sia la finestra lucifera che . La questione della preesistenza della finestra in questione rispetto all’acquisto dei coniugi C. e G. era dunque una questione preclusa nel giudizio definito con la sentenza qui gravata, a causa della natura chiusa di tale giudizio secondo la costante giurisprudenza di legittimità, infatti, nel giudizio di rinvio, con riferimento ai fatti che l’enunciato principio di diritto presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito, opera l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio così, da ultimo, Cass. 22989/18 . Con il sesto ed ultimo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1117 e 1122 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 secondo il ricorrente la corte avrebbe dovuto trarre convincimento dei fatti esposti provati in corso di causa che non esistevano le condizioni per ritenere applicabile l’art. 1062 c.c. . Il motivo va giudicato inammissibile perché, pur denunciando un vizio di violazione di legge, non censura una regula juris applicata dalla corte territoriale, illustrando le ragioni del relativo contrasto con le disposizioni richiamate nella rubrica, ma contesta l’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dal giudice territoriale, risolvendosi in una doglianza di merito insuscettibile di scrutinio nel giudizio di legittimità. Passando all’esame del ricorso incidentale, il Collegio ritiene fondato il primo motivo, con il quale si censura l’impugnata sentenza perché, in violazione degli artt. 112 e 384 c.p.c., avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale del sig. S. di ripristino della finestra lucifera chiusa dei coniugi C. e G. . La corte etnea ha infatti condannato i coniugi C. e G. ad arretrare la veranda fino a liberare la finestra lucifera o eventualmente - in caso di impossibilità ad arretrare - ad eliminare l’intera struttura, nonché a risarcire i danni liquidati in complessivi Euro 3.000, già liquidati in moneta attuale , senza nulla statuire sulla domanda di ripristino della finestra stessa. In effetti, come risulta dagli stralci riportati a pag. 21 del controricorso, il S. ha chiesto in giudizio il ripristino della finestra per cui è causa, e non soltanto il ripristino del ballatoio dei convenuti su cui essa si apre, sia nell’originaria domanda riconvenzionale in primo grado, sia nei successivi atti defensionali ivi compreso l’atto di riassunzione del giudizio di rinvio definito con la sentenza qui gravata . L’omessa pronuncia su tale domanda integra il vizio denunciato e quindi il motivo va accolto. Con il secondo motivo del ricorso incidentale il sig. S. si duole dell’esiguità dell’importo liquidato dalla corte d’appello Euro 3.000 in moneta attuale a titolo di risarcimento del danno conseguente alla impossibilità di godere della finestra lucifera per l’intera durata del giudizio, protrattosi per circa un trentennio nel motivo si lamenta, inoltre, il mancato riconoscimento degli interessi compensativi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno. Il motivo non può trovare accoglimento. La corte d’appello ha dato conto del criterio seguito per pervenire alla liquidazione del danno, valorizzando a la destinazione del fabbricato del sig. S. a deposito b la conservazione dell’idoneità della finestra a consentire un passaggio di luce parziale c la mancanza di prova di impossibilità di uso del locale d la durata dell’interciusione della finestra, indicata in circa un ventennio. Nel mezzo di ricorso in esame si criticano partitamente tutti gli argomenti spesi nella motivazione della sentenza, deducendo che la destinazione originaria del fabbricato era ad ufficio che l’interclusione della finestra non consentiva alcun passaggio di luce, nemmeno parziale che la privazione di aria e luce del locale non poteva non ridurne l’utilizzabilità che il giudizio era durato circa trent’anni non circa vent’anni. Al riguardo il Collegio osserva che le critiche mosse dal ricorrente incidentale alle argomentazioni di cui ai suddetti punti a , b e c si risolvono nella allegazione di circostanze di fatto che non emergono dalla sentenza gravata e non possono formare oggetto di accertamento nel giudizio di legittimità la critica concernente l’errore nell’individuazione della durata del giudizio, per contro, attinge solo uno dei criteri utilizzati dal giudice per pervenire alla liquidazione equitativa del danno e risulta pertanto priva di decisività come noto, infatti, la liquidazione del danno non è censurabile in sede di legittimità, sempre che, come si verifica nella specie, i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto cfr. Cass. 13153/17 . Quanto alla doglianza sul mancato riconoscimento degli interessi compensativi, pur essa va disattesa, dovendosi ritenere che la liquidazione equitativamente operata dalla corte d’appello già in moneta attuale fosse comprensiva anche del danno da ritardo nella corresponsione del risarcimento. In definitiva si deve respingere il ricorso principale e accogliere quello incidentale limitatamente al primo motivo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Catania, perché si pronunci sulla domanda di ripristino della finestra per cui è causa e regoli le spese del giudizio di cassazione. Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e ne rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rimette la causa ad altra sezione della corte di appello di Catania, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.