La Suprema Corte sul procedimento di revoca dell’amministratore di condominio

Il decreto con cui la Corte d’Appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è ricorribile in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 7623/19, depositata il 18 marzo. Il caso. La Corte d’Appello con apposito decreto, pronunciato sulla richiesta di modifica o revoca di un precedente decreto della medesima Corte avente ad oggetto il rigetto della domanda di revoca giudiziale del soggetto istante dall’incarico di amministratore di condominio, evidenziava come tale richiesta deducesse anche nuove cause di gravi irregolarità non poste alla base della domanda iniziale e come non potesse ammettersi un reclamo o un riesame contro i decreti già pronunciati in sede di reclamo. Avverso tale decreto si propone ricorso per cassazione dovendosi ammettere la revoca o la modifica del provvedimento del giudice del reclamo sia se basato su elementi sopravvenuti sia per un riesame di merito delle originarie risultanze. Il procedimento di revoca. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la Corte territoriale provvede sul reclamo avverso il decreto del Tribunale in materia di revoca dell’amministratore condominiale, poiché si tratta di un provvedimento di volontaria giurisdizione artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c. . infatti tale ricorso è ammissibile solo avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento. Per questo la Suprema Corte ribadisce che il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto che può essere reclamato alla Corte d’Appello, strutturandosi dunque come giudizio camerale plurilaterale tipico che termina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, poiché non incide su statuizioni sostanziali di diritti. A ciò consegue che il decreto con cui la Corte distrettuale provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere definitivo, non è ricorribile in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., ma può essere modificato o revocato dalla stessa Corte d’Appello, per un vizio di legittimità preesistente. Per tutte queste ragioni, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 10 gennaio – 18 marzo 2019, n. 7623 Presidente D’Ascola – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione Massimo Cerisola impugna, articolando due motivi di ricorso ex art. 111 Cost., violazione degli artt. 112 e 742 c.p.c. violazione degli artt. 742 e 91 c.p.c. , il decreto del 13 dicembre 2017 della Corte d’Appello di Roma. Tale decreto, pronunciando sulla richiesta di modifica o revoca di precedente decreto della medesima Corte d’Appello, avente ad oggetto il rigetto della domanda di revoca giudiziale di R.G. dall’incarico di amministratore del Condominio di omissis , ha evidenziato come l’istanza deducesse anche nuove cause di gravi irregolarità non poste alla base dell’iniziale domanda, e come, comunque, ai sensi dell’art. 739 c.p.c., u.c., non potesse ammettersi un reclamo o un riesame contro i decreti già pronunciati in sede di reclamo. L’intimato R.G. non ha svolto attività difensive. C.M. deduce un primo motivo di ricorso per violazione degli artt. 112 e 742 c.p.c., dovendosi ammettere, ad avviso del ricorrente, la revoca o modifica del provvedimento del giudice del reclamo sia se basato su elementi sopravvenuti, sia per un riesame di merito e di legittimità delle originarie risultanze il secondo motivo di ricorso allega la violazione degli artt. 742 e 91 c.p.c., avendo la Corte d’Appello condannato il Cerisola alle spese processuali in difetto di soccombenza. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dagli art. 1129 c.c. e art. 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo Cass. Sez. 6 - 2, 11/04/2017, n. 9348 Cass. Sez. 6 - 2, 27/02/2012, n. 2986 Cass. Sez. 6 - 2, 01/07/2011, n. 14524 Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957 . Non sono dunque ammissibili avverso il decreto in tema di revoca dell’amministratore di condominio le censure proposte sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere di discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129 c.c., comma 12, ovvero la valutazione dei presupposti legittimanti la statuizione di cessazione della materia del contendere, o, ancora, l’omesso esame di elementi istruttori che avrebbero diversamente potuto determinare il giudice del merito nella declaratoria della soccombenza virtuale cfr. in termini Cass. Sez. 2, 06/05/2005, n. 9516 . Va allora ribadito come il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla corte d’appello art. 64 disp. att. c.p.c. , e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o status cfr. Cass. Sez. 6-2, 23/06/2017, n. 15706 Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957 . Ne consegue che il decreto con cui la corte d’appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è, come detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo restando attribuita al tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti cfr. Cass. Sez. 1, 01/03/1983, n. 1540 , ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23673 . È comunque inammissibile la censura che, nel primo motivo di ricorso, C.M. rivolge al decreto impugnato, sotto forma di vizio in procedendo, diretta a sindacare la decisione sulla questione dell’ammissibilità di una revoca del decreto pronunciato dalla Corte d’Appello in sede di reclamo. Il decreto con cui la Corte d’Appello dichiari inammissibile l’istanza di modifica o revoca, ex art. 742 c.p.c., del decreto pronunciato in sede di reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio comunque non costituisce sentenza , ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111 Cost., comma 7, essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, nè il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di inammissibilità resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato arg. da Cass. Sez. 1, 05/02/2008, n. 2756 Cass. Sez. 1, 01/02/2016, n. 1873 Cass. Sez. 6-1, 07/07/2011, n. 15070 Cass. Sez. 6-2, 18/01/2018, n. 1237, non massimata . È poi infondato il secondo motivo di ricorso, che censura la condanna al pagamento delle spese, ritenendola non dovuta nel provvedimento con cui la Corte d’appello decida, come nella specie, sull’istanza di modifica o revoca del decreto in tema di revoca di un amministratore di condominio. Il secondo motivo, avendo ad oggetto esclusivamente la statuizione relativa alle spese processuali, va, invero, ritenuto ammissibile, come già detto, risultando irrilevante che essa acceda ad un provvedimento avente natura, formale, e sostanziale, di volontaria giurisdizione, non ricorribile, in quanto tale, per cassazione. Nel merito, tuttavia, la statuizione impugnata, giacché conforme al criterio della soccombenza indicato come normale dall’art. 91 c.p.c., risulta corretta. Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957, seguita dalla costante interpretazione giurisprudenziale, ha espressamente affrontato e risolto affermativamente la questione dell’applicabilità dell’art. 91 c.p.c., al procedimento camerale azionato in base all’art. 1129 c.c., comma 11, ed all’art. 64 disp. att. c.p.c., chiarendo come il principio di soccombenza si riferisca ad ogni processo, senza distinzioni di natura e di rito, e come il termine sentenza sia usato dall’art. 91 c.p.c., nell’accezione di provvedimento che, nel risolvere contrapposte posizioni, chiude il procedimento stesso innanzi al giudice che lo emette, accezione perciò comprensiva delle ipotesi in cui tale provvedimento sia emesso nella forma dell’ordinanza o del decreto si veda Cass. Sez. 2, 22/10/2013, n. 23955 . Agli effetti del regolamento delle spese processuali la soccombenza può poi ben essere determinata, anziché da ragioni di merito, da ragioni di carattere processuale tra cui, come nel caso in esame, l’assunta inammissibilità della domanda. Il ricorso va perciò rigettato. Non occorre provvedere sulle spese di questo giudizio di cassazione, in quanto l’intimato R.G. non ha svolto difese. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater,- dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.