L’uso paritetico del locale comune non è impedito dall’installazione di un serbatoio privato

L’uso paritetico della cosa comune va valutato in concreto ed in relazione alla possibile utilizzazione che gli altri condomini faranno della stessa parte comune.

Stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 28111/18, depositata il 5 novembre. L’utilizzo privato” di un locale comune. Un condomino, dopo essere stato autorizzato da delibera condominiale, procedeva con l’installazione di un proprio serbatoio presso un locale comune dello stabile. Scelta non condivisa da un altro condomino il quale, ritenendo che il serbatoio non consentisse alla collettività condominiale di conseguire un uso paritetico del locale comune, domandava al giudice di merito di disporre la rimozione del serbatoio. Domanda rigettata sia in primo che in secondo grado sul fatto che prima di procedere con l’installazione, il condomino era stato autorizzato nonché il serbatoio non impediva ai rimanenti condomini di utilizzare partitamente il locale in questione. Il condomino avverso ricorre così in Cassazione deducendo la falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. assumendo inoltre che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto della relazione del CTU, dalla quale emergeva che i condomini non avrebbero potuto fare pari uso del locale occupato dal serbatoio privato in quanto, detta parte dell’edificio non avrebbe sopportato il peso di altri pesanti depositi. L’uso paritetico. La Corte di Cassazione ha sottolineato come deve essere intesa la nozione di uso paritetico della cosa comune” ex art. 1102 c.c. l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa , evidenziando che è di differente portata, ed estraneo dalla fattispecie concreta in esame, l’utilizzo ipotetico e astratto che l’intera collettività condominiale potrebbe farne della parte comune controversa. Nel caso di specie, l’utilizzo del piccolo locale, destinato a ripostiglio, non era stato compromesso dall’installazione del serbatoio privato, oggetto tra l’altro sospeso e non collocato sulla pavimentazione. Oltretutto nel giudizio d’Appello è stato rilevato che nessun altro condomino aveva manifestato alcuna attuale necessità di collocare un proprio serbatoio tale da far rilevare come ostacolo la cisterna previamente installata sicché sono da ritenere irrilevanti gli apprezzamenti tecnici esperiti. In riferimento a quest’ultima questione, gli Ermellini hanno ribadito che in sede di legittimità è indeducibile l’omesso esame di un fatto che abbia previamente costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia assunto carattere decisivo. Ritenendo il ricorso inammissibile, la Suprema Corte condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 18 luglio – 5novembre 2018, n. 28111 Presidente Orilia – Relatore Grasso Fatto e diritto ritenuto che la Corte d’appello, con la sentenza di cui epigrafe, accogliendo l’impugnazione di D.D. , in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda di A.R. , la quale aveva chiesto la rimozione di un serbatoio d’acqua del D. , collocato in un locale condominiale, sulla base, in sintesi, del seguente ragionamento - il condomino aveva fatto uso consentito della cosa comune, al quale era stato, peraltro, autorizzato da delibera condominiale, dovendosi intendere l’uso paritario non in astratto e in assoluto, ma in concreto ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorre l’A. , sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria che il D. resiste con controricorso ritenuto che con i primi tre motivi, tra loro osmotici, la ricorrente denunzia omessa motivazione su un punto decisivo , nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1102, cod. civ., assumendo che la Corte locale - non aveva tenuto conto della relazione del CTU, dalla quale si traeva che gli altri condomini non avrebbero potuto fare pari uso, perché la struttura dell’edificio non avrebbe sopportato il peso di altri serbatoi evidentemente posti in sospensione - non aveva accertato se il recipiente fosse rispettoso della delibera autorizzativa, la quale aveva prescritto che dovesse essere tale da non sottrarre spazio alla funzione comune - non era stata fatta corretta applicazione dei principi concernenti il godimento del bene comune posto che la utilizzazione effettuata dal sig. D. viola va quanto previsto dall’art. 1102, c.c. considerato che il descritto costrutto è inammissibile, per quanto segue a l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare ex multis, Sez. 2, n. 4617, 27/2/2007, Rv. 597449 b fermo restando che l’uso condominiale del piccolo locale, destinato a ripostiglio, sulla base di quanto accertato in sentenza, non era stato in alcun modo inciso dalla collocazione sospesa del serbatoio, è rimasto del pari accertato che la ricorrente, come, peraltro, gli altri condomini, non avevano alcuna attuale necessità di collocare un proprio serbatoio, impedito dalla installazione del D. , di talché gli apprezzamenti tecnici in ordine alla possibilità o meno di far luogo alla collocazione di altri serbatoi non assume rilievo c più in generale, il ricorso non coglie la ratio decidendi l’uso paritetico deve essere valutato in concreto e non in astratto e da una tale analisi emergeva che né la ricorrente, né, peraltro, altri condomini presentavano una tale esigenza d l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. In definitiva la norma in parola consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi di motivazione apparente , di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione - S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830 S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833 Sez. 62, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914 , omissione che qui non si rileva affatto, avendo la Corte di Palermo motivato la propria decisione e la evocazione della previsione di legge nella specie, l’art. 1102, cod. civ. perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi la prospettata violazione di legge, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, il quale ha ricostruito la fattispecie concreta difformemente dalle aspettative della ricorrente, di talché la prospettata violazione non può ipotizzarsi considerato che la quarta doglianza, con la quale la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92, co. 2, cod. proc. civ., assumendo, senza spiegazione di sorta, che la Corte d’appello non avrebbe dovuto condannarla al pagamento delle spese, neppure inquadrabile nel genus di motivo , in quanto priva di argomento censuratorio, è manifestamente inammissibile, diretta com’è ad esternare il mero immotivato disappunto per l’applicazione di una conseguenza di legge, derivante dal principio di soccombenza considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549 , lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi inconsistenti considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate che ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12 applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 P.Q.M. dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.