Il piano regolatore comunale può derogare alla disciplina nazionale in tema di distanze?

L’ultimo comma dell’art. 9 d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa nazionale soltanto laddove le costruzioni siano incluse nel piano particolareggiato o nella lottizzazione convenzionata, riguardando dunque solo le distanze tra edifici inclusi in quella determinata zona.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25833/18, depositata il 16 ottobre. La vicenda. Il Tribunale di Bari rigettava la domanda attorea con la quale veniva chiesto di accertare che il fabbricato costruito dai convenuti violava le distanze legali e regolamentari, con conseguente ordine di demolizione. A seguito della conferma in Corte d’Appello della pronuncia, il soccombente ricorre in Cassazione. Distanze e disciplina. Il ricorrente censura, sostanzialmente, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ovvero la zona in cui si trovava l’immobile e la relativa normativa applicabile. Secondo la regolamentazione urbanistica comunale è stato esteso a quella zona un sistema di calcolo delle distanze di 6 metri, pur non essendo previsti piani particolareggiati. La Corte territoriale ha dunque affermato legittima l’estensione di una normativa derogatoria rispetto a quella legale nonostante la zona interessata non fosse oggetto di alcun piano particolareggiato. La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ricorda il consolidato orientamento secondo cui, in tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, comma 2, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 ha efficacia di legge dello Stato ed è dunque inderogabile per quanto riguarda i limiti di densità, altezza e distanza tra fabbricati. Tale disciplina prevale dunque sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituisce per inserzione automatica . Ne consegue che, l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma fa insorgere l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma proprio di applicare immediatamente la disposizione del menzionato art. 9 . L’ultimo comma dell’art. 9 cit. consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa nazionale laddove le costruzioni siano incluse nel piano particolareggiato o nella lottizzazione, riguardando dunque solo le distanze tra edifici inclusi in quel determinato piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata. Avendo in conclusione il giudice di merito omesso di verificare che i fabbricati oggetto della domanda fossero inclusi in un piano particolareggiato, condizione che avrebbe legittimato la deroga della disciplina statale sul tema delle distanze, la sentenza impugnata merita la cassazione con rinvio a diversa sezione della Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 5 aprile – 16 ottobre 2018, n. 25833 Presidente Orilia – Relatore Besso Mercheis Fatto e diritto Premesso che Nel 1994 L.L. fu A. conveniva in giudizio Lo.Lu. fu An. , Lo.An. e L.M. rispettivamente nudo proprietario e usufruttuari del fabbricato confinante con quello di proprietà dell’attore , chiedendo al Tribunale di Bari di accertare che il fabbricato era stato costruito in violazione delle distanze legali e regolamentari e di ordinarne la demolizione, nonché di condannare i convenuti al risarcimento dei danni da egli subiti. Il Tribunale di Bari, con pronuncia depositata il 27 aprile 2010, rigettava la domanda. L’attore impugnava la pronuncia innanzi alla Corte d’appello di Bari che, con sentenza 26 settembre 2013, n. 1210, ha respinto l’appello. Avverso la sentenza L.L. fu A. ricorre in cassazione e ha depositato memoria, memoria che è inammissibile in quanto è stata depositata da difensore cui non è stata, in base alla formulazione ratione temporis applicabile dell’art. 83 c.p.c., conferita valida procura. L.L. fu An. resiste con controricorso e ha depositato memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c L’intimata L.M. non ha proposto difese. Considerato che 1. Il ricorso è articolato in tre motivi, tra loro strettamente connessi, che vanno congiuntamente esaminati a Il primo motivo lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e violazione dell’art. 112 c.p.c. la Corte d’appello non ha considerato che se alla zona B1 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Conversano, in cui si trovano gli immobili delle parti, è stata sì estesa, con l’adozione del piano regolatore generale, la normativa delle zone E1/E5 - che comprende un sistema di calcolo delle distanze calcolato in metri 6 -, non sono però stati previsti piani particolareggiati, piani particolareggiati propri delle zone E1/E5. b Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 5 della legge n. 2248/1865, all. E la Corte d’appello, nell’affermare che non si può dar seguito al sollecito di un privato di scrutinare incidentalmente lo strumento urbanistico di quel Comune per sancire la disapplicazione in parte qua non solo delle concessioni edilizie ottenute dalla sua controparte, ma addirittura anche dello strumento urbanistico retrostante , ha deciso il caso in esame sulla base di un principio opposto a quello sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, che ha affermato la diretta efficacia dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 in luogo delle norme tecniche di attuazione dei piani regolatori con esso contrastanti. c Il terzo motivo riprende, sotto il profilo della violazione di legge, il primo motivo. Esso fa valere violazione degli artt. 9 del d.m. n. 1444/1968, 41-quinquies della legge n. 1150/1942, come modificata dall’art. 17 della legge n. 765/1967, 873 c.c., 62 c.p.c. la Corte d’appello non ha considerato che l’estensione di una normativa derogatoria rispetto a quella legale, in zone che non sono interessate da alcun piano particolareggiato, si risolve in una illegittima violazione della norma imperativa. I motivi sono fondati. La Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione sulla base dei seguenti argomenti - il fabbricato degli appellati, che si trova nella zona B1 del Comune di Conversano, è posto a una distanza da quello dell’appellante che rispetta quanto imposto almeno 6 metri dai c.d. studi particolareggiati del Comune - dato che l’ultimo capoverso del terzo comma dell’art. 9 del d.m. 1444/1968 prescrive che se un Comune si dota di un piano particolareggiato può prevedere, per le zone territoriali omogenee di tale piano, distanze inferiori a quelle previste dal medesimo d.m., se ne deduce che valgono per la zona B1 le norme tecniche di attuazione degli studi particolareggiati, ossia la distanza minima di 6 metri tra edifici - concludere diversamente significherebbe giungere alla conclusione catastrofistica di disapplicare in parte qua non solo le concessioni edilizie ottenute dalla controparte, ma addirittura lo strumento urbanistico. Il ragionamento seguito dal giudice di merito non può essere accolto. Secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, comma 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica , con la conseguenza che l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma fa insorgere l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma proprio di applicare immediatamente la disposizione del menzionato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che è stata disapplicata così Cass. 23136/2016 . Quanto all’ipotesi derogatoria contemplata dall’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, essa riguarda soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata cfr. Cass., sez. un., n. 1486/1997 . Pertanto, il fatto che gli strumenti urbanistici del Comune di Conversano - che possono essere disapplicati ove contrastino con la disciplina di cui al citato art. 9, disciplina che diviene in tal caso direttamente applicabile - consentissero distanze inferiori rispetto a quelle fissate dalla norma, non è sufficiente per ritenere legittima la deroga, ma è necessario accertare, come prescrive l’ultimo comma dell’art. 9, che le costruzioni fossero incluse in un piano particolareggiato, verifica che non emerge da quanto affermato nella sentenza impugnata. 2. Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al giudice di merito che, applicato il principio sopra precisato, verificherà in concreto se la zona in cui ricadono gli immobili di proprietà delle parti era compresa in un piano particolareggiato e alla luce di tale verifica deciderà la causa. Il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa a diversa sezione della Corte d’appello di Bari, anche per la decisione circa le spese del giudizio di legittimità.