Canna fumaria lesiva del decoro architettonico del condominio

In tema di decoro architettonico, costituisce innovazione lesiva del lustro del fabbricato condominiale, non solo quella che alteri le linee architettoniche, ma anche quella che si rifletta in maniera negativa sull’aspetto armonico di esso.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 17102/18 depositata il 28 giugno. Il caso. La società ricorrente, essendo proprietaria di un locale sito al piano terreno e adibito a pub, in un fabbricato condominiale, aveva appoggiato una canna fumaria al muro condominiale a distanza minore di tre metri dal balcone dell’appartamento degli attuali residenti, proprietari di un appartamento ricompreso nel medesimo edificio. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, ordinava la rimozione della canna fumaria, poiché la considerava una costruzione a tutti gli effetti e come tale risultava applicabile l’art. 907 c.c La vera lesione del decoro architettonico. È orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione . Per questa ragione la Suprema Corte rigetta il ricorso, accogliendo la ratio decidendi della Corte territoriale, la quale ha considerato la canna fumaria un’inserzione architettonica di rilevante impatto che incide negativamente sul decoro architettonico del palazzo condominiale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 15 febbraio – 28 giugno 2018, n. 17102 Presidente Orilia – Relatore Tedesco Fatto e diritto Rilevato in fatto La presente controversia trae origine dal fatto che in un edificio in condominio la società ricorrente, proprietaria di un locale al piano terreno, adibito a pub, aveva appoggiato una canna fumaria al muro condominiale a distanza minore di tre metri dal balcone dell’appartamento degli odierni resistenti, proprietari di un’unità immobiliare compresa nel medesimo edificio. La Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva ordinato la rimozione della canna fumaria. Per la cassazione della sentenza la società C.D. & amp C. S.a.s. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Ambedue le parti hanno depositato memoria. Considerato in diritto 1. La corte d’appello ha riconosciuto che la canna fumaria costituiva costruzione, facendo discendere da tale qualificazione l’applicabilità dell’art. 907 c.c Secondo la corte di merito, se la distanza prevista dalla norma non è osservata, non c’è spazio per una valutazione discrezionale in ordine all’entità della limitazione che ne deriva alla veduta del vicino. Tale ratio decidendi è oggetto del primo motivo di ricorso, con il quale si sostiene al contrario che l’applicazione dell’art. 907 cit. non è automatica, ma implica esattamente quella valutazione discrezionale, di incidenza del manufatto sulla veduta, che la corte d’appello ha ritenuto di non fare. La corte d’appello ha inoltre affermato che non poteva applicarsi al conflitto inter partes l’art. 1102 c.c Tale ragione del decidere è oggetto del secondo motivo. La ricorrente sostiene che la corte d’appello, prima di negare l’applicabilità della norma in base al rilievo che la canna fumaria, al pari dell’appartamento dei ricorrenti, costituiva oggetto di proprietà esclusiva, avrebbe dovuto chiedersi se l’appoggio della canna fumaria non costituisse legittimo uso della cosa comune da parte del condomino, in conformità ai consolidati principi giurisprudenziali in materia di condominio. La corte d’appello ha infine riconosciuto che la canna fumaria pregiudicava il decoro architettonico dell’edificio, in base al rilievo che essa larga cm 30 e altra oltre tredici metri è inserzione architettonica di rilevante impatto, capace di interferire negativamente pur sui modesti canoni architettonici espressi dall’edificio, così come appare nelle fotografie in atti di prime cure di parte appellante . Tale ragione della decisione è oggetto del terzo motivo. 2. Si impone in via prioritaria l’esame del terzo motivo, che è infondato perché volto evidentemente a censurare una valutazione di merito insindacabile in cassazione. Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione Cass. 10350/2011 . Nello stesso tempo, l’apprezzamento compiuto su questo punto dalla corte d’appello si atteggia quale autonoma ratio decidendi, suscettibile di giustificare da sola la decisione, conseguendone pertanto l’inammissibilità degli altri motivi, in applicazione del principio secondo il quale qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa Cass. n. 2108/2012 . 3. In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge dichiara ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.