Il locale semi-interrato soffre di umidità di risalita? A pagarne le spese è il proprietario

Il condominio non è tenuto a provvedere in caso di danni arrecati da umidità di risalita unico responsabile è il proprietario.

Il condominio non risponde dei danni provocati dall'umidità di risalita al locale semi-interrato. Spetta al proprietario farsi carico dei necessari interventi di manutenzione atti a eliminare, o quantomeno a mitigare, il fenomeno. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25239 del 29 novembre, lancia la ciambella di salvataggio al Condominio chiamato sul banco degli imputati dal proprietario di un locale semi-interrato. Oggetto dello scandalo l'umidità di risalita che affligge l'immobile imponendo l'esecuzione di costosi lavori di manutenzione. Si tratta di un problema ricorrente. Gran parte del patrimonio immobiliare italiano è costituito da immobili di vetusta costruzione, basti pensare che il Bel Paese è caratterizzato da una miriade di centri storici risalenti al medioevo. Le costruzioni più datate, purtroppo, sono afflitte dal fenomeno dell'umidità di risalita determinato dalla mancanza o dall'inefficiente sistema di isolamento delle murature. A causa della capillarità, l'umidità presente naturalmente nel sottosuolo risale lungo le fondamenta manifestandosi nelle murature delle unità immobiliari poste a livello più basso. L'ampiezza del fenomeno, ben noto ai tecnici, è influenzato principalmente dalla quantità di acqua presente nel sottosuolo e dalla porosità e capacità assorbente” dei materiali impiegati per la costruzione. Inutile dire che l'inconveniente affligge principalmente i locali semi-interrati non solo perché, ovviamente, più vicini al sottosuolo ma – anche e soprattutto – perché tali locali, più di altri, sono scarsamente areati. Il proprietario dell'umidità risponde il condominio. Nel caso in esame il proprietario di un locale seminterrato lamenta proprio fenomeni di umidità da risalita” ed affronta il problema secondo uno prospettiva inconsueta. Partendo dal presupposto che il problema è determinato dalla carente o totale impermeabilizzazione del corpo di fabbrica, cita in giudizio il Condomino perché, quale custode, risarcisca il danno lamentato. La costruzione, in verità, sembrerebbe a prima vista un po' azzardata se non addirittura fantasiosa. Ad ogni buon conto la tesi trova un proprio fondamento nell'art. 2051 c.c. e viene accolta dal Tribunale. Di conseguenza, il condominio viene condannato all'esecuzione delle opere indicate dal CTU, nonché al risarcimento del danno quantificato in 30mila euro. Le infiltrazioni sono risarcibili se superano la normale tollerabilità. Ovviamente la controparte non si arrende e la sentenza di primo grado viene appellata dal Condominio. La Corte di appello ribalta l'esito del giudizio e respinge la richiesta risarcitoria applicando al caso di specie l'articolo 844 c. c. in materia di immissioni. Come ben noto, la norma legittima l'azione del proprietario che subisce delle immissioni derivanti dal fondo del vicino purché queste superino la soglia della normale tollerabilità”. Il giudice di appello, fornendo una interpretazione estensiva del concetto di immissione”, qualifica l'umidità di risalita causa conclamata dei lamentati fenomeni come una immissione molesta. Il risarcimento, nel caso in esame, non sarebbe dovuto in quanto le lamentate immissioni nocive non sarebbero tali da superare la soglia della normale tollerabilità. Il parere del Consulente Tecnico di Ufficio. Secondo il C.T.U., il fenomeno lamentato dall'attore sarebbe addebitabile non tanto ad un difetto di costruzione dell'edificio, quanto alla tecnica costruttiva utilizzata per realizzare l'immobile che, evidentemente, era di vetusta costruzione . Il problema, comunque, sarebbe stato accentuato dal comportamento del proprietario-attore. Quest'ultimo avrebbe omesso di garantire la sufficiente areazione dell'immobile ed il necessario ricambio d'aria. Originariamente, afferma il CTU, il locale era adibito a magazzino qualora la destinazione dell'immobile fosse rimasta tale, il fenomeno dell'umidità non avrebbe procurato grossi problemi essendo compatibile” con tale destinazione. Il proprietario lamentava il fenomeno solo perché, recentemente, aveva mutato la destinazione d'uso del bene trasformandolo in un locale commerciale. Per dirla in breve, c'era una sorta di concorso di colpa”. Il condominio risponde quale custode? A questo punto la causa si trasferisce tra gli scanni di Piazza Cavour. Il proprietario chiama gli Ermellini ad esprimersi su un quesito di diritto il condominio, quale custode, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino danno alla proprietà esclusiva del singolo condomino? Il Giudice capitolino respinge la tesi del proprietario-ricorrente. Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale avrebbe colto nel segno rigettando la domanda risarcitoria. L'unico errore sarebbe ravvisabile nell'applicazione dell'art. 844 c.c. e, quindi, delle norme in materia di immissioni nocive. Ad entrare in gioco sarebbe, invece, il classico” art. 2051 c.c. danno da cose in custodia a cui aveva fatto ricorso il Tribunale. La norma prevede che il custode della cosa risponda dei danni prodotti a terzi salvo - ovviamente - il caso fortuito. Nella fattispecie in esame, la sentenza del giudice di appello deve intendersi corretta quando ritiene che il lamentato fenomeno sia imputabile principalmente alle tecniche costruttive in uso all'epoca della costruzione dell'edificio. Tali tecniche, comunque, erano pur sempre idonee se rapportate all'originaria destinazione d'uso dell'immobile magazzino sarebbe stato il cambio di destinazione d'uso ad accentuare il fenomeno procurando la reazione del proprietario. In ogni caso, sarebbe stato possibile limitare i danni garantendo una maggiore areazione dei locali. Il fenomeno, in sostanza, si sarebbe aggravato proprio a causa del comportamento negligente? del proprietario. Tale comportamento ovvero il cambio di destinazione d'uso dell'immobile e la mancata areazione avrebbe interrotto il nesso causale esistente tra la cosa” e l'evento dannoso” innescando il caso fortuito. Una volta acclarata l'esistenza del caso fortuito, occorre escludere la responsabilità del Condominio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 – 29 novembre 2011, n. 25239 Presidente Morelli – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. A G. proprietario di un locale seminterrato, prima adibito a magazzino e poi a locale commerciale - conveniva in giudizio il condominio, di cui faceva parte l'immobile, lamentando infiltrazioni di acqua e umidità derivanti dai muri comuni. Il giudice di primo grado condannava il condominio, quale custode ex art. 2051 cod. civ., alla realizzazione delle opere ritenute necessarie dal consulente tecnico per impedire le infiltrazioni, oltre al risarcimento del danno Euro 30.000,00 per il mancato utilizzo del locale. 2. La Corte di appello di Perugia rigettava le domande attoree sentenza del 10 settembre 2008 . 3. Avverso la suddetta sentenza, G. propone ricorso per cassazione con un unico motivo. Resiste con controricorso il Condominio di via omissis . Motivi della decisione 1. La Corte di merito ha rigettato le domande sulla base delle seguenti essenziali argomentazioni. Deve escludersi la responsabilità del condominio ex art. 2051 cod. civ. per l'assenza del danno ingiusto, requisito logicamente anteriore all'insorgenza dell'onere a carico del custode della prova liberatoria del caso fortuito. Le infiltrazioni di umidità provenienti da terreno condominiale possono astrattamente configurare un danno ingiusto se superano il limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ., che ne condiziona l'illiceità. Se tale limite non è superato il danneggiato è tenuto a subirle. Il consulente tecnico ha ricondotto le infiltrazioni alla mancanza di impermeabilizzazione delle pareti controterra e alla mancanza di aereazione e in sede di appello ha chiarito che la presenza di umidità nelle pareti interrate fosse tollerabile per la originaria destinazione a magazzino. Dalle valutazioni del ctu si ricava che, una volta cambiata destinazione, con aggravamento delle infiltrazioni per la mancata aerazione dei locali, le infiltrazioni eccedano tale limite di tollerabilità. Sulla base dei criteri previsti dall'art. 844 cod. civ., deve ritenersi che il G. debba tollerare le infiltrazioni provenienti dalle fondamenta e dal terreno condominiale, considerato che queste si producono per l'effetto delle risalenti tecniche di costruzione, all'epoca socialmente accettate anche in considerazione della destinazione a magazzino, con conseguente esclusione di qualunque vizio del fabbricato conseguentemente gravano su di lui le opere per difendersi da tali infiltrazioni ritenute intollerabili con la nuova destinazione. Conferma della ragionevolezza di tale impostazione si ricava dalla circostanza che, secondo il consulente, l'intervento che il G. dovrebbe realizzare nel locale di sua proprietà una tramezzatura interna a guisa di intercapedine sarebbe più economico di eventuali opere sulle strutture comuni impermeabilizzazione delle pareti controterra, previo scavo e successivo riempimento con materiale drenante e rifacimento del marciapiede alle quali il condominio è stato condannato dal primo giudice. 2. Con l'unico motivo di ricorso si deduce travisamento dei fatti e violazione e falsa applicazione di norme di diritto, chiedendo alla Corte con il quesito se il condominio, quale custode, sia obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino danno alla proprietà esclusiva del singolo condomino, dovendosi escludere qualunque limitazione quantitativa del danno riconducibile alla normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ., anche se i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile, in ipotesi comportanti la concorrente responsabilità del costruttore-venditore. 2.1. Il motivo va rigettato perché la decisione è conforme a diritto ma, correggendo in tal senso la motivazione, deve essere rettificato l'erroneo riferimento al'art. 844 cod. civ., contenuto nella sentenza impugnata. 2.2. Palese è l'inconferenza del riferimento all'art. 844 cod. civ È sufficiente ricordare che tale norma prevede un criterio legale, quello della normale tollerabilità, per la soluzione del conflitto nascente dall'interferenza del godimento di un fondo con il godimento di un altro fondo , nel caso di immissioni di fumo, calore, rumori, e, in genere, in tutti i casi di propagazione di sostanze inquinanti. Il superamento della normale tollerabilità legittima la pretesa dell'adozione di misure antirumore, antinquinamento ecc. e, se non bastasse, della cessazione dell'attività molesta. Mentre, in un'ottica radicalmente diversa, l'art. 2051 cod. civ. - sul quale si fonda l'azione intrapresa dal G. - disciplina la responsabilità per danni causati da cose in custodia. 2.3. Ricondotta la soluzione della controversia nell'ambito proprio dell'art. 2051 cod. civ., il rigetto della domanda, ritenuto dalla Corte di merito, è conforme a diritto. È costante nella giurisprudenza della Corte il principio secondo cui la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. sussiste in relazione a tutti i danni cagionati dalla cosa, sia per la sua intrinseca natura, sia per l'insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, il quale può essere rappresentato - con effetto liberatorio totale o parziale - anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno da ultimo Cass. 7 aprile 2010 n 8229 . 2.3.1. Nella specie, il giudice del merito, al di là dell'inappropriato riferimento alle infiltrazioni tollerabili, sulla base della consulenza tecnica, ha ritenuto che le infiltrazioni provenienti da parti comuni dell'edificio, da cui scaturiva l'umidità del locale di proprietà esclusiva, erano riconducibili alle tecniche in uso all'epoca della costruzione dell'edificio, tecniche idonee rispetto alla destinazione dello stesso a magazzino, e alla mancanza di aereazione con la mancata aereazione del locale, conseguente al mutamento della destinazione di uso da magazzino a locale commerciale, le infiltrazioni si erano aggravate. In tale modo, ha accertato che il fatto del danneggiato, costituito dal mutamento di destinazione d'uso - impedendo la normale aereazione del locale seminterrato, le cui caratteristiche costruttive erano compatibili con tale aereazione - ha avuto efficacia causale tale da interrompere il nesso tra la cosa e l'evento dannoso, integrando il caso fortuito richiesto dalla legge perché il proprietario custode sia esente da responsabilità. 3. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del presente giudizio. Le argomentazioni delle sentenza di appello hanno ragionevolmente fatto sorgere nel ricorrente l'aspettativa di un esito favorevole della controversia. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso compensa integralmente le spese processuali del giudizio di cassazione.